A Fano mons. Trasarti utilizza la grammatica della Misericordia

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Molti fedeli hanno partecipato al pellegrinaggio dalla Basilica di san Paterniano alla Cattedrale di Fano in occasione dell’apertura della Porta della Misericordia, con un gesto di misericordia: mons. Armando Trasarti, vescovo della diocesi di Fano, Fossombrone, Cagli e Pergola, ha varcato questa Porta insieme a Collins e il suo bambino Divane, salvati da Medici senza Frontiere al largo del Mediterraneo.

Nell’omelia della Santa Messa il Vescovo ha sottolineato il valore della misericordia quale vero volto di Dio, rivolto ai peccatori: “Rimettere al centro la misericordia non significa affatto cedere a una sorta di ‘buonismo’, ‘sentimentalismo’ o spiritualismo che invita a perdonare tutti. E’ certamente il contrario. Significa fare i conti con la nostra ferita. Riconoscersi come bisognosi di misericordia perché siamo malati e sani”.

Commentando il salmo 136 ed il Magnificat della Madre di Dio, il vescovo ha ribadito che ‘soltanto Dio è perdono e bontà’: “La riconciliazione di Cristo accende un fuoco nella nostra vita, la gioia di essere perdonati. Essa fa di noi degli ambasciatori della sua riconciliazione, uomini e donne che sanno stare nella ferita dell’umanità.

Forse, anche senza molte parole, sapremo stare accanto a chi soffre, creare legami fra le persone che si contrappongono, fra abitanti di un paese ed immigrati, fra le generazioni, fra chi ha salute e i malati… Ci sono situazioni dove non riusciamo a portare riconciliazione. E’ allora ancor più importante non perdere speranza. Cristo ci invita a perseverare in una fiducia nella quale egli può dare un senso anche ai nostri fallimenti”.

Riconoscersi peccatori significa ‘fare i conti con la nostra ferita’: “Dobbiamo fare della riconciliazione il nostro pane quotidiano. Ciò significa innanzitutto accogliere la pace di Dio, credere che Dio ci accoglie senza porre condizioni. Gesù è venuto a rivelarci questo amore di Dio.

Lo ha fatto andando fino in fondo, fino alla croce, dove ha conosciuto le più grandi tenebre che possano esistere. Possiamo allora capire che Egli porta i nostri fardelli e le nostre colpe e che seguendo Lui troveremo la pace del cuore, la riconciliazione interiore”.

Solo se ci si riconosce peccatori si riesce ad accogliere il perdono di Dio: “Ci vuole un cuore coraggioso e robusto, che non si arrenda al desiderio di rivalsa, alla retorica del castigo esemplare, all’arroganza della giustizia retributiva. Tra due persone, il misericordioso non è il più debole ma il più forte.

La misericordia viene dal cuore (lo dice la parola latina stessa: cor, cordis) ed è divina: è l’espressione del cuore di Dio. Se vuoi conoscere Dio, cercalo nella misericordia, non altrove. Perché Dio non fa paura, mai. Non solo ha il volto del perdono, ma viscere di madre che fremono per il tuo dolore, cuore che balza per la tua gioia. La misericordia è la parola chiave per indicare l’agire di Dio, è il volto amico e vicino dell’amore, dentro tutte le tempeste della vita”.

Quindi la misericordia invita tutti a lasciarsi amare: “Chi non crede all’amore, vuole contare solo su se stesso, essere autosufficiente. Vive l’amore solo in funzione del proprio io, non riesce a rinnovarlo, a radicarlo. Vive un amore senza radici e sugli altri ha uno sguardo gelido, di giudizio.

Fondamentalmente non riesce a essere felice e a dare felicità. Accettare di essere amati è molto più difficile di quel che crediamo, perché sotto sotto conosciamo la nostra miseria e non riusciamo ad accettare che qualcuno ci ami come siamo veramente. Noi stessi fatichiamo ad amarci davvero”.

Infine per riconoscersi figli mons. Trasarti ha indicato quattro passaggi essenziali: “Diventare consapevoli che Dio ci ama: non possiamo accettare veramente gli altri così come sono e perdonarli se non scopriamo che Dio ci accetta veramente così come siamo e che ci perdona.

E’ un’esperienza profonda quella di sentirsi amati e portati da Dio con tutte le nostre ferite e la nostra piccolezza. Volerci bene così come siamo: Gesù chiama i suoi discepoli ad amare, ad amarsi gli uni gli altri come Lui li ama, non soltanto come si ama se stessi: amare gli altri con lo stesso amore di Dio, guardarli con i suoi occhi.

Accettare e permettersi di essere vulnerabili e fragili è difficile e faticoso. Accoglierci reciprocamente nella differenza e nel dono: finché non accetto di essere un miscuglio di luce e di tenebre, di qualità e di difetti, di amore e di odio, di altruismo e di egocentrismo, di maturità e di immaturità, io continuo a dividere il mondo in ‘nemici’ (i cattivi) e ‘amici’ (i buoni), continuo ad erigere barriere dentro di me e fuori di me, a diffondere pregiudizi.

Ma se ammetto di avere debolezze e difetti, allora posso accettare i difetti e le debolezze degli altri. Amarci a vicenda così come siamo: è da quest’accettazione e perdono dati e ricevuti che nasce la possibilità di crescere, in un sentimento sempre più intenso che passando per l’interesse, il rispetto, la stima e la cura per l’altro, prende progressivamente il nome di amore…

Perdonare è riconoscere l’alleanza che ci lega con coloro con i quali non ci intendiamo bene. E’ dare spazio ai nostri cuori. Ecco perché non è mai facile perdonare. Occorre esercitarsi nella misericordia”.

E per praticare l’esercizio della misericordia ha invitato ad usare nella vita cinque verbi: meditare; accogliere; testimoniare; rinnovare la coscienza grazie all’ascolto della Parola di Dio; recuperare il senso della diocesanità, perché “l’amore, la misericordia e la pazienza di Dio sono tali che continuerà a concedere tempo a questa nostra realtà terrena fino a che ognuno si sarà convertito a questo amore universale e Lui potrà salvare tutti. Solo allora, finalmente, con un sospiro di sollievo e di soddisfazione, ci prenderà tutti con sé nel suo abbraccio, come desidera”.

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