Mons. Zuppi: questo è il tempo della Misericordia

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“Un mondo complesso e minaccioso chiede cuori intelligenti e tanta solidarietà, possibile sempre a tutti, indispensabile per tutti”: sono le parole pronunciate dall’arcivescovo di Bologna, mons. Matteo Zuppi, nel suo saluto alla città nella piazza Grande, in occasione dell’inizio del suo ministero episcopale.

Però appena giunto in città si è recato alla stazione centrale per pregare davanti alla lapide che ricorda la strage del 2 agosto 1980: “Quando ho saputo che sarei venuto a Bologna ho pensato che il primo posto doveva essere la stazione… Le lacrime del terrorismo di oggi sono le stesse”.

Dopo il saluto del sindaco della città, Virginio Merola, e del vicario generale delegato, mons. Giovanni Silvagni, il neo arcivescovo ha ringraziato i bolognesi per l’affetto mostrato: “La chiesa nella città non è un fortino distante dalla strada, ma è una presenza prossima, oserei dire materna, che si unisce al cammino, a volte tanto faticoso per molti in questi tempi di crisi e di paura. Le nuove sfide chiedono risposte nuove a tutti noi”.

Eppoi, ricordando la testimonianza dei vescovi che lo hanno preceduto nella diocesi, da Lercaro a Caffarra (al termine della celebrazione eucaristica ha pregato sulla tomba del card. Biffi), ha fatto riferimento al Concilio Vaticano II ed alla frase della costituzione pastorale ‘Gaudium et Spes’:

“Dobbiamo crescere per non invecchiare e guardare senza ipocrisie il mondo di oggi. Quanto è facile per tutti chiudere gli occhi o rendere virtuale la realtà! Il Concilio affermava che ‘le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore’.

E questo mi aiuta a non avere paura di tutto ciò che è umano. Non è questo il pericolo che ci minaccia quanto piuttosto il credersi puri perché non ci sporchiamo le mani. Il pericolo è l’indifferenza, il pensarsi isole, il guardare la realtà da spettatori, magari raffinati critici e attenti giudiconi.

Chiudersi, per proteggersi o per banale egoismo, fa male a tutti, alla chiesa, alle singole persone e anche a questa casa comune che è la città! Papa Francesco lo ripete continuamente! Chiudendoci nelle case o nei palazzi o in noi stessi ci ammaliamo! E camminare assieme è una straordinaria e appassionante avventura!”

Poi, ricordando le bellezze della città ha ribadito una stretta collaborazione tra la chiesa e la città: “Essa è nota per i portici che fisicamente favoriscono l’accoglienza e il desiderio di mettere in relazione. I portici proteggono tutti, specialmente i più deboli, coloro i cui passi sono diventati incerti.

Cominciamo da loro, dai nuovi italiani (basta chiamare stranieri i compagni di classe che crescono con noi!), da chi non ha casa, da chi è vittima della tortura della solitudine, da chi è smarrito nel mondo della disoccupazione, specialmente i più giovani, da chi cerca futuro e protezione perché scappa dalla guerra, le cui sofferenze voi ben conoscete.

Cominciamo da quei tanti che sono sulle panchine per i quali possiamo noi trovare il modo di dargli le carezze di cui hanno bisogno, come cantava il poeta. E in realtà ‘a modo mio’ ne abbiamo bisogno tutti, come anche di pregare Dio. La Madonna di San Luca ci protegga e ci aiuti. Tutti”.

Ha ribadito la gioia di essere chiesa nell’omelia durante la celebrazione eucaristica in san Petronio: “La Chiesa è la famiglia di quanti hanno accolto il Verbo che si è fatto carne e che sono stati generati a figli, non da volere di sangue né di uomo ma solo per l’amore misericordioso di Dio.

Ed è per me una grazia nella grazia potere iniziare mettendomi insieme a voi tutti in cammino verso la porta santa che è Cristo e la sua misericordia. Questa è la Chiesa: un popolo di pellegrini, di gente di strada, una famiglia che attraversa la porta che è Cristo perché ascolta la sua voce, la riconosce nella confusione e nell’incertezza della vita”.

Ha affermato che la porta della misericordia deve essere aperta da ciascuno: “La porta ci appare piccola ed è davvero stretta quando crediamo di poterla attraversare portando tutto e restando sempre uguali a noi stessi.

E per attraversare la porta dobbiamo aprire noi la porta alla sua misericordia! Non abbiamo paura di farlo entrare nel nostro cuore: bussa dolcemente, non si impone, non ci umilia. Anzi. E a quanti gli aprono il cuore Gesù apre il suo cuore, cioè dona la misericordia tanto più larga dei nostri giudizi poveri di amore, che sono proprio il contrario della misericordia.

La misericordia è un cuore che si apre e che rincuora, dona cuore, trasmette speranza. Passeremo la porta santa che ci apre alla Chiesa, questa famiglia di misericordia e di poveri peccatori perdonati. Questa porta in realtà ci apre al mondo, per incontrare tutti, specialmente i poveri e i tanti pellegrini con noi bisognosi tutti di misericordia!”

Ed ha invitati i cittadino a non avere paura della gioia del Vangelo, ricordando mons. Andrea Santoro, ucciso quasi 10 anni fa in Turchia: “… la nostra gioia non è scappando il confronto con la realtà, chiudendosi in paradisi finti, smettendo di lottare contro il male.

L’avvento ci prepara a riconoscere la nostra gioia nella debolezza scandalosa della mangiatoia di Betlemme. La gioia si misura con le difficoltà vere della vita ed è lotta… Vorrei finire con un’immagine evocata proprio 50 anni fa da Paolo VI, al termine di quel Concilio Vaticano II, che tanti frutti deve ancora offrire alla chiesa e al mondo.

Questo il tempo opportuno per aiutarci a seminare di nuovo e con larghezza il seme buono del Vangelo, per alzare lo sguardo e vedere le messi che già biondeggiano”.

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