Frére Roger testimone della Misericordia

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Dal 27 dicembre al 1 gennaio i giovani europei si incontrano a Valencia per rinnovare il pellegrinaggio di fiducia sulla terra, meditando sulla misericordia di Dio, a conclusione di un anno particolare per la comunità di Taizè:

il 16 agosto scorso è ricorso il 10° anniversario della morte del fondatore, frère Roger, che avrebbe compiuto lo scorso 12 maggio 100 anni; infine questo anno è il 75° anniversario della comunità che lui, svizzero protestante, si sentì chiamato a iniziare, prima per l’accoglienza dei profughi di guerra, poi come oasi di dialogo nel cuore dell’Europa dilaniata da due conflitti mondiali, quindi come sogno di un cammino ecumenico, sull’onda del Concilio Vaticano II e delle sue aperture, abbandonandosi sempre alla volontà di un Dio misericordioso.

E per ricordarlo in maniera degna si è svolto un seminario, che ha visto molti relatori confrontarsi sul tema: ‘Protestantesimo e vita contemplativa al seminario sul fondatore di Taizé. Ritorno al monachesimo’. Ad aprire il seminario è stato il pastore Laurent Schlumberger, presidente del Consiglio nazionale della Chiesa protestante unita di Francia, affermando che il fondatore di Taizè ha tentato di conciliare vita monastica e protestantesimo:

“Verrà il giorno in cui la supposta incompatibilità fra protestantesimo e vita monastica sarà completamente superata. Allora, per il protestantesimo, sarà stato come un soffio per lungo tempo perduto ma ritrovato. E, su questo cammino, fratel Roger sarà stato pietra miliare determinante, pioniere fecondo, testimone luminoso… La vita monastica appare come una possibilità reale di vivere concretamente riconciliazione e unità”.

Sulla stessa linea il teologo ortodosso Michel Stavrou, docente di teologia dogmatica all’Institut Saint Serge di Parigi, ha messo in evidenza le convergenze fra Taizé e l’Oriente cristiano: “L’appello alla semplicità è anche il messaggio di tutta la spiritualità del cristianesimo orientale, da san Isacco il Siro a san Silvano del Monte Athos, passando per i padri del deserto.

Sottolineava in particolare l’importanza, per i monaci, di celebrare la trasfigurazione di Cristo, premessa della nostra trasfigurazione”. Marguerite Léna, religiosa della comunità apostolica di Saint-François-Xavier, si è concentrata sulla speranza:

“La speranza che ha caratterizzato tutta la vita e l’opera di fratel Roger non era semplicemente una disposizione virtuale, un’attitudine, ma un modo concreto di vivere e di agire: la speranza teologale in tutta la sua piena realtà ed effettività storica, oltre che nella sua più alta tensione escatologica, quell’ ‘insperato’ che ha dato anche il titolo a un suo libro. Era una speranza ‘in atti’, più tradotta e manifestata da azioni che dichiarata e insegnata”.

La prof.ssa Dimitra Koukoura, docente di omiletica al dipartimento di teologia dell’università ‘Aristotele’ di Salonicco, ha ricordato che frére Roger ha passione nel trasmettere la fede, citando un incontro con papa Paolo VI:

“A Taizé non si applica un metodo specifico per far credere i giovani. Non si adottano sistemi particolari per insegnare nuove strade di accesso alla conoscenza né si tirano conclusioni di un processo intellettuale confermate dall’esperienza, dall’osservazione o dal ragionamento logico. Egli stesso ha seguito le regole monastiche degli eremiti dell’Oriente e la loro metodologia”.

L’arcivescovo Rowan Williams, già primate della Comunione anglicana, ha sottolineato la comunione tra il fondatore di Taizè ed i papi del post Concilio Vaticano II: “L’esistenza, la realtà della comunità di Taizé è stata voluta come protesta contro un ecumenismo senza speranza, vale a dire un ecumenismo che ostinatamente discute, negozia, ma che è privo di una visione d’insieme, di ciò che può essere compiuto… Un segno attuale, la Chiesa qui e ora, che si materializza a ogni celebrazione della santa eucaristia. Una unità, una cattolicità che non è solamente un’idea, un programma, un orizzonte lontano, ma ciò che avviene qui e ora”.

Il seminario di studi è stato concluso dall’intervento del card. Walter Kasper, presidente emerito del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, che, dopo un suo ricordo personale, ha sottolineato il rapporto tra il monaco e la misericordia:

“Fratel Roger parla di questo metodo della misericordia in un capitolo, intitolato proprio Misericordia, nella sua Regola per la comunità di Taizé. Dice: ‘Il peccato di un membro segna tutto il corpo, ma il perdono di Dio reintegra nella comunità’.

Questa frase sulla misericordia tra i fratelli della comunità si applica in modo analogo al rapporto tra le Chiese. E’ il rimedio della misericordia e del perdono, e non quello della severità, a guarire le ferite della separazione. La misericordia non è una grazia a buon mercato.

La misericordia è l’espressione dell’identità e della fedeltà di Dio a se stesso; perciò non annulla né sopprime l’identità della Chiesa ma è il sigillo della sua identità. Solo una Chiesa misericordiosa, una Chiesa che non è esclusiva e che non esclude nessuno è una Chiesa identica a se stessa, e identica alla sua missione di essere lo strumento di Dio per dare nuova fiducia a noi tutti.

Sono convinto che fratel Roger, con il metodo della misericordia e con il consenso dei due santi papi Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, abbia aperto una porta, la Porta santa della misericordia. Come Papa Francesco, voleva una Chiesa aperta e accogliente, che non escludesse alcuna persona di buona volontà. Ognuno è il benvenuto senza dover rompere con nessuno. Ciò infonde in noi nuova speranza”.

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