Mater Misericordiae

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Nella spiritualità liturgica, l’Avvento è il tempo mariano per eccellenza. L’attesa del Messia, infatti, raggiunge il suo vertice in Maria che in questo periodo ha un suo spazio unico ed elevante. È Lei il termine di elezione dell’immenso e misterioso amore misericordioso di Dio. L’Avvento, per la Vergine Madre, fu singolare e privilegiato tempo di grazia, perché, come canta il Prefazio, fu Lei che “attese e portò in grembo con ineffabile amore” quel Figlio di Dio che è per noi Dono di Misericordia e Grazia di Salvezza.

La sua prima corrispondenza al dono di misericordia è la fede con la quale ascolta, accoglie e si fa serva della Parola, cioè, della volontà di Dio. Al “sì” di Dio verso Maria, acconsente il “sì” di Maria verso Dio. Accogliendo il dono, la Vergine non se ne appropria, ma lo vive trasformandolo in perfetta, cosciente e gioiosa obbedienza.

Al culmine dell’Avvento, Dio si rivela attraverso i misteriosi processi della “discontinuità dello Spirito” che soffia dove, come e quando vuole. Maria, nella fedeltà al Fiat, accoglie questo particolare modo divino di operare con l’uomo nella sua storia. Non c’è, però, vera fedeltà che non richieda urti, scollamenti e ribellioni e che non esiga piena e gioiosa disponibilità a cambiare, talvolta anche radicalmente, i propri progetti di vita. Questo avviene non solo per l’uomo, ma anche per la vita di quei gruppi ecclesiali che, credendo di essere fedeli a una certa “tradizione” sempre uguale a se stessa, sono convinti di salvaguardare la propria identità.

Obbedire allo Spirito significa rivedere costantemente i propri progetti di vita, costruiti e curati ogni giorno a fatica, anche nei particolari, per iniziare un altro modo di vivere totalmente inedito e incarnato nella storia. La Vergine dell’Avvento ci insegna che solo una continuità costruita secondo la profezia dello Spirito fa germogliare i fiori, anche dalle rocce del deserto. Viverne la spiritualità comporta sempre abbandonarsi agli imprevedibili interventi dello Spirito che consentono di fare esperienza con la straordinaria avventura dell’incarnazione di Dio nella storia: l’Emmanuele, Dio-con-l’uomo.

Nel terreno fecondo dell’Avvento troviamo le radici: l’Immacolata Vergine Madre! Lei è l’immagine più vertiginosa dell’attesa messianica. Nel piccolo villaggio, annidato sui monti della Galilea, lo sguardo di Dio e le promesse messianiche convergono nel cuore docile e interrogante di Maria. L’attesa e l’Atteso s’incontrano nel grembo della Vergine di Nazareth che porta a compimento la lunga storia, preparando l’altra proiettata verso l’ultimo avvento del Signore alla fine dei tempi.

C’è un tempo e un inizio che si collocano all’interno della storia. Esiste un luogo chiamato Nazareth, che è lo spazio della quotidianità, religiosamente e umanamente insignificante. Il luogo della speranza si trova lì dove ognuno vive la propria realtà e la propria quotidianità. Dio entra nel luogo e nel tempo dell’uomo, si fa suo contemporaneo immergendolo nel suo “tempo senza tempo” dell’eterno.

Dio parla con la forza della sua Parola che è elemento apparentemente fragile e debole. Quando uno parla, si comunica e si rivela all’altro che può ascoltarlo e può anche rifiutarlo. Dio si fa debole e parla per primo, così la speranza entra nel mondo con la Parola donata. Questa Parola accolta diventa, per l’uomo di fede, la sola speranza che spezza i limiti di ogni incapacità creaturale e rende l’uomo capace di Dio. Il donarsi di Dio all’uomo è la rivelazione piena della divina misericordia. Accogliere la misericordia con “ineffabile amore” è già redenzione. Possiamo avere turbamenti e paure a pronunziare il nostro fiat al dono d’amore divinizzante?

La risposta di Dio ai turbamenti dell’uomo ha un imperativo: non temere. Abbiamo paura, forse perché temiamo di non essere all’altezza della chiamata o di dover fare tutto da noi. La differenza tra Davide e Maria sta nel fatto che il primo vuole fare qualcosa per Dio, Maria, invece, lascia che Dio faccia tutto per lei e, in lei, per noi. La fede senza paura sta tutta qui: mettere da parte i progetti personali, anche i più nobili e santi, e permettere a Dio di essere quel Dio misericordioso che compie in noi le grandi cose meravigliose.

Proprio perché ascolta la Parola e la custodisce nel suo cuore, la Vergine di Nazareth può rispondere come i Patriarchi e i Profeti. L’Ecce della disponibilità piena e cosciente e il Fiat dell’accoglienza gioiosa e totale si uniscono in un connubio d’indissolubile energia d’amore, realizzando, in Maria Vergine, il compimento dell’attesa di Dio. L’infinita distanza tra l’onnipotenza divina e la fragilità creaturale è colmata dalla potenza dello Spirito Santo.

Quei gesti di misericordia da sempre respinti, ora sono pienamente accolti: dall’eternità Dio aveva atteso questo momento per riempire la sua creatura della sua divinità. Questa parola si compie ogni giorno quando, ascoltando la Parola, ci rendiamo disponibili nella reciprocità dell’amore che non ha paura di dire come Maria: “Eccomi, sono tua!”.

Maria è l’immagine di ciò che Dio compie in chi a Lui si affida. Maria è la donna nuova che ha accolto senza riserve la Parola di Dio, facendola diventare carne della nostra umana natura per la salvezza dell’uomo. La Lumen Gentium afferma: «All’annuncio dell’angelo la Vergine Maria accolse nel cuore e nel corpo il Verbo di Dio» (LG 53). Sì, “nel cuore e nel corpo”, Maria, infatti, è Discepola e Madre del Verbo. “Discepola” perché si è messa in ascolto della Parola conservandola sempre nel cuore. “Madre”, perché offre il suo grembo alla Parola, e la custodisce per nove mesi nello scrigno del suo corpo con ineffabile amore.

All’inizio della Messa, nell’atto penitenziale, invocando, cantiamo: Kyrie, eleison, “Signore, abbi misericordia”. Il termine misericordia traduce l’amore viscerale della mamma per il figlio che porta in grembo. Eleison, dal greco eleo, esprime il cor ad cor tra madre e figlio: pur essendo due sono un solo cuore e un solo corpo. Dio Padre ci ama come figli nel Figlio.  Il suo grembo materno-paterno di Creatore si squarcia e ci offre in dono il Figlio suo che s’incarna nel grembo immacolato della Vergine Maria che in quel momento diventa la Mater misericordiae.

Maria innesta il suo Fiat nel Fiat creatore del Padre e nel Fiat redentore del Figlio. Poi eleva l’inno di lode e di rendimento nel Magnificat. Nella seconda strofa, Maria canta tre attributi di Dio: onnipotenza, santità e misericordia. Dio usa la sua onnipotenza per compiere grandi cose: Creazione e Redenzione. La Santità è perfezione assoluta d’Amore, è Bellezza infinita trasfigurante. Dio rivela la Santità donando la sua Misericordia.

La Vergine Madre ringrazia, attende senza pretese, attribuisce tutto al suo Signore e abbandonandosi alla sua volontà salvifica, diventa simbolo del terreno fecondo nel quale Dio riversa il suo amore misericordioso: Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente e santo è il suo nome; di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono (Lc 1, 49-50).

Alla fine del cantico, risalendo ad Abramo, punto di partenza della storia d’Israele, Maria continua a cantare l’amore di Dio che si esprime attraverso la tenerezza della sua misericordia: Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia (Lc 1,54). Dio è fedele perché realizza ciò che promette. Misericordia e fedeltà sono l’espressione dell’Alleanza, di quel patto d’amore tra innamorati la cui stabilità è garantita dalla prova del tempo. Lo sguardo di Maria parte da Abramo e arriva sino a Cristo e alla sua Chiesa: come aveva promesso ai nostri padri, per Abramo e la sua discendenza, per sempre (Lc 1,55). Se la promessa della salvezza è stata fatta per amore gratuito di misericordia, la sua realizzazione si compie attraverso la fedeltà.

Dio si è mostrato fedele ad Abramo e alla sua discendenza nell’Incarnazione del Figlio suo. Le promesse di Dio Padre si realizzano in Cristo e “per sempre” nella Chiesa, per la Chiesa, con la Chiesa, suo Corpo, sua Sposa. La Chiesa è inviata nel mondo per essere icona vivente e sacramento della divina misericordia; sarà, dunque, Madre “vera” nella misura in cui sarà fedele alla vocazione per cui è stata inviata.

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