Il Papa messaggero di speranza in Centrafrica

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“Vengo nella Repubblica Centrafricana come pellegrino di pace, e mi presento come apostolo di speranza”: con questo tweet papa Francesco ha iniziato la tappa finale del viaggio apostolico nel continente africano, in un Paese, la Repubblica Centraficana, dilaniata da due anni di guerra civile.

Una visita, osteggiata fino all’ultimo da tutti, ma che il papa ha voluto con ostinazione per portare coraggio e speranza agli ‘ultimi’, che lo hanno accolto, nonostante la paura di attentati, numerosi e festosi. L’arrivo del papa all’aeroporto non è potuto andare in eurovisione perché manca l’energia elettrica e le telecamere sono arrivate dal Sudafrica; però l’aereo è atterrato alle ore 10.15, come era nel programma, accolto dal Capo di Stato della transizione, Catherine Samba-Panza, che insieme ad una bambina gli ha offerto fiori.

Nell’incontro con la Presidente ed il governo papa Francesco ha motivato la sua presenza nel Paese: “Vengo come pellegrino di pace, e mi presento come apostolo di speranza. Ecco perché sono contento di elogiare gli sforzi compiuti dalle varie Autorità nazionali e internazionali a partire dalla Signora Capo di Stato della Transizione, nel guidare il Paese in questa fase.

Il mio fervido auspicio è che le diverse consultazioni nazionali che si terranno tra poche settimane possano consentire al paese di intraprendere serenamente una nuova fase della sua storia”, donando un quadro di Pieter Coecke, che mostra ‘la Basilica Vaticana in costruzione’, disegno a penna su carta avorio. Nel saluto alle autorità il papa ha ricordato il motto dei padri fondatori (Unità, Dignità, Lavoro):

“Tre parole cariche di significato, ognuna delle quali rappresenta tanto un cantiere quanto un programma mai terminato, un impegno da mettere costantemente all’opera. In primo luogo, l’unità. Essa, come è noto, è un valore- cardine per l’armonia dei popoli. Si tratta di vivere e di costruire a partire dalla meravigliosa diversità del mondo circostante, evitando la tentazione della paura dell’altro, di ciò che non ci è familiare, di ciò che non appartiene al nostro gruppo etnico, alle nostre scelte politiche o alla nostra confessione religiosa.

L’unità richiede, al contrario, di creare e promuovere una sintesi delle ricchezze di cui ognuno è portatore. L’unità nella diversità è una sfida costante, che richiede la creatività, la generosità, l’abnegazione e il rispetto per gli altri. Poi, la dignità. E’ proprio questo valore morale, sinonimo di onestà, di lealtà, di grazia e di onore, che caratterizza gli uomini e le donne consapevoli dei loro diritti come dei loro doveri e che li porta al rispetto reciproco. Ogni persona ha una dignità.

Ho appreso con piacere che la Repubblica Centrafricana è il paese di ‘Zo kwe zo’, il paese in cui ogni persona è una persona. Tutto allora deve essere fatto per tutelare la condizione e la dignità della persona umana. E chi ha i mezzi per condurre una vita dignitosa, invece di essere preoccupato per i privilegi, deve cercare di aiutare i più poveri ad accedere anche essi a condizioni di vita rispettose della dignità umana, in particolare attraverso lo sviluppo del loro potenziale umano, culturale, economico e sociale”.

Per quanto riguarda il lavoro il papa ha precisato, ricordando l’enciclica ‘Laudato sì’, le responsabilità di chi governa saper gestire bene le risorse ambientali, di cui il Paese è ricco: “E’ attraverso il lavoro che voi potete migliorare la vita delle vostre famiglie. E anche voi, Centroafricani, potete migliorare questa splendida terra, sfruttando saggiamente le sue abbondanti risorse. Il vostro Paese si trova in una zona considerata uno dei due polmoni dell’umanità, a causa della sua eccezionale ricchezza di biodiversità…

Il lavoro di costruzione di una società prospera deve essere un’opera solidale… E’ certamente superfluo sottolineare l’importanza cruciale del comportamento e dell’amministrazione delle Autorità pubbliche. Queste dovrebbero essere le prime ad incarnare con coerenza nella loro vita i valori dell’unità, della dignità e del lavoro, per essere modelli per i loro connazionali”.

Terminato l’incontro papa Francesco ha fatto una breve, ma intensa, visita al campo profughi ‘Giovanni XXIII’, accolto con canti e balli. Non era previsto nessun discorso, ma il papa ha preso il microfono, chiedendo a tutti di impegnarsi, perché ‘la pace senza amore, senza amicizia, senza tolleranza, senza perdono non è possibile’:

“Ho letto quello che hanno scritto i bambini: pace unità amore. Noi dobbiamo lavorare e pregare e fare di tutto per la pace. Ma la pace senza amore, senza amicizia, senza tolleranza, senza perdono non è possibile. Ognuno di noi deve fare qualcosa. Io mi auguro a voi, Centroafricani, la pace. Una grande pace tra voi. Che voi possiate vivere in pace, qualsiasi sia l’etnia, la cultura, la religione, lo stato sociale… ma tutti in pace, tutti! Perché tutti siamo fratelli! Mi piacerebbe che tutti diciamo insieme: tutti siamo fratelli!”

Ed ha insistito perché la gente lo ripetesse per tre volte: “E per questo, perché tutti siamo fratelli, vogliamo la pace! E vi do la benedizione del Signore!” In questo campo profughi ci sono 447.500 sfollati, il papa ha ribadito la speranza di un popolo: “La mia visita possa portare la riconciliazione, pace duratura e felicità. Grazie mille! Singila Mingi!”

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