Gli impressionisti al Vittoriano a Roma

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I dipinti dei protagonisti del movimento pittorico degli «impressionisti francesi»  – attivi negli ultimi venticinque anni dell’800 – sono sempre fonte di interesse per il pubblico dei musei e delle mostre d’arte. La figurazione impressionistica del paesaggio e della persona umana è vista come l’ultima affascinante stagione della pittura prima del periodo focale e dissolutivo delle Avanguardie storiche. In queste settimane, nell’ambito del consolidato rapporto tra il Musée d’Orsay e il Museo del Vittoriano, è ospitata a Roma, fino al 7 febbraio 2016, la mostra “Dal Musée d’Orsay. Impressionisti. Tête à tête”. Vi si vedono oltre sessanta opere che ritraggono la società borghese e bohémien di Parigi della seconda metà dell’Ottocento al di fuori di ogni ideologia “storica” o “religiosa”: colta nel flusso della contemporaneità metropolitana e industriale.

La mostra al Vittoriano – lato Fori Imperiali – è curata da Guy Cogeval, presidente dei “Musées d’Orsay et de l’Orangerie” con Xavier Rey, direttore delle collezioni e conservatore del dipartimento di pittura del Musée d’Orsay e di Ophélie Ferlier, conservatore del dipartimento di sculture del Musée d’Orsay. I quadri sono di Edouard Manet, Claude Monet, Pierre-Auguste Renoir, Edgar Degas, Frédéric Bazille, Camille Pissarro, Paul Cézanne, Georges Seurat, Berthe Morisot, Auguste Rodin: ognuno dei quali gode di una utile scheda biografica e critica posta all’inizio del percorso espositivo.

Il movimento impressionista ha distrutto molte delle regole dell’arte accademica e i rituali delle mostre dei Salon: ha conservato soltanto l’esigenza del supporto della tela e del quadro come contenitore dell’arte. Il disegno perde importanza ed anche la raffigurazione prospettica e statica. L’ideologia canonica della rappresentazione artistica e la tavolozza cromatica – di origine rinascimentale e barocca – sono rivoluzionate a vantaggio di una ricerca della naturalezza della luce e della libertà dell’impressione estetica. Si fa prepotente il desiderio di fissare sulla tela la fugacità del momento, ma anche la psicologia dei soggetti per come è avvertita in tutta relatività dall’artista. Con gli Impressionisti si può ben parlare di una “rivoluzione dello sguardo” pittorico – posto in sintonia con la nuova percezione urbana e tecnologica – e di un significativo rinnovamento stilistico.

Nel ritrarre artisti e letterati, familiari ed amici, politici e uomini di affari, signore borghesi, bambini e adolescenti, si raffigurano con rapidità di pennellata e con intensità di sensazione episodi di vita che si svolgono fra città e campagna, in interni domestici e gite sul fiume: è un vivere sociale che si trova alle porte del XX secolo. I pittori impressionisti anticipano così lo sguardo sulla realtà che diventerà proprio delle abitanti delle grandi città fra Europa e Stati Uniti al passaggio di secolo: uno sguardo rapido, sintetico, che raccoglie in velocità tutti i segni del reale, che manipola gli oggetti sfruttando riflessi e fantasmagorie urbane. Potremmo dire che con l’estetica impressionistica lo sguardo di ognuno – l’occhio, la memoria, l’intuito, la prospettiva e il gusto personali – diventano la sorgente di una potenziale opera d’arte: una utopia che è divenuta realtà con le odierne apparecchiature digitali che consentono ad ogni persona di ritagliare e comunicare la propria percezione.

Tra i capolavori esposti “Il Balcone” (1890) e il poeta “Stéphane Mallarmé” (1876) di Manet. Bazille dipinge “Il ritratto di Renoir” (1867), con i piedi sulla sedia, modello della irrequietezza giovanile. Di Cézanne sono da segnalare “Donna con caffettiera” (1890-1895), l’Autoritratto (1875) e “Il giocatore di Carte” (1890-1892), opera dalle mille risonanze.

Nella foto: Edouard Manet (1832-1883), “Ritratto del poeta Stéphane Mallarmé” (1876), olio su tela H. 27,5; L. 36 cm.

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