ACTIO ECCLESIAE ET OPUS MUSICUM 2° Arte liturgica come arte ministeriale

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L’arte liturgica, arte eminentemente “ministeriale”, dovrebbe esercitarla soltanto chi possiede il carisma, che è dono squisito dello Spirito, in simbiosi con la competenza, che è solida tecnica professionale. Carisma e competenza si rivelano attraverso la delicatezza dell’affectus, che è qualità di pensiero, ricchezza di sentimento e in-canto d’amore.

Quando san Paolo ci invita a rivestirci dei sentimenti del Signore, vuole istruirci che questo è cristianesimo, perché tutto il resto è gnosi che non passa attraverso la sensibilità, gli affetti, i sentimenti, la corporeità. In effetti, solo le vibrazioni della musica mettono in moto le energie dell’anima, le ridestano, le riabilitano coinvolgendo interiormente tutto l’essere. Per comunicare la fede attraverso l’arte, è necessario che le forme esteriori siano il riflesso della forza del pensiero interiore. Solo così il rapporto con il Signore diventa un profondo legame con Lui e non solo un’idea.

Nella liturgia, il musicale non è puro trasferimento d’informazioni, ma è comunicazione affettiva capace di suscitare dei legami attraverso il tono della voce, l’incontro degli sguardi, il gesto espressivo, il modulare dei comportamenti. Tutto deve rivelare e comunicare quanto sta per compiersi nel sacramentale. Chi esercita, pertanto, il ministero musicale non dice solo di sé, sarebbe auto idolatria, ma indica ed esprime il mistero che in quel momento si rivela e si dona per la divinizzazione di chi crede e celebra ciò che crede.

Siamo convinti che il talento artistico si misura dalla chiarezza espressiva e comunicativa. Nella celebrazione, la materia lavorata dall’artista liturgico ha lo scopo di mettere in comunione, non con la sola materia, ma con l’ineffabile divino che si svela e si rivela. La bellezza, allora, non sarà l’effetto dell’arte umana che si autocompiace e, perciò, si autocelebra, ma il riflesso della Gloria divina che si rivela, donandosi. La via estetica conduce, dunque il ministro d’arte a percepire il Mistero, la via poietica lo fa rappresentare artisticamente: Dio si manifesta e l’artista lo mostra. Canto e musica saranno, quindi, rivelazione antropo-teologica.

Pitagora afferma che il logos crea l’universo attraverso il melos. Aveva intuito che Dio, cantando, crea il cosmo dal nulla. Il primo capitolo della Genesi, infatti, descrive il Creatore che canta, mentre dalle sue dita escono le opere meravigliose: E Dio vide che era cosa bella e buona. Il canto di Dio crea il cosmo bello e buono. Ogni opera artistica deve possedere queste due qualità divine in armonia tra loro: bellezza e bontà. Bellezza da imparare e bontà da gustare sono gesti di sapienza per rigenerare e ridonare opere belle e buone.

La santa Scrittura, inoltre, ci rivela che l’edificazione del caos in kosmos avviene per opera della Sapienza, l’eterna e infinita Bellezza che tutto crea dal nulla. Nel libro dei Proverbi, la Sapienza canta un inno con il quale tesse il proprio elogio: Io ero con lui come architetto ed ero la sua delizia ogni giorno: giocavo sul globo terrestre, ponendo le mie delizie tra i figli dell’uomo (Pr 8,30-31). La Sapienza è presente nella realtà dell’uomo e del cosmo. Essa, che è con noi, in noi e nel mondo, non è soltanto “prima” della creazione, ma c’è anche “quando” si crea in contemporanea con la realtà creata. L’autore dei Proverbi, dipinge, in forma simbolica, l’azione del Creatore come gesto di perfetta armonia cosmica realizzata in bellezza tra i figli dell’uomo. Questo gesto è il modo con cui Dio dialoga con l’uomo.

Il culmine e il cuore di questo dia-logos avviene quando il Padre invia nel mondo il suo Logos che si fa Sarx. Il Logos divino, il più bello tra i figli dell’uomo, è il Melos, cioè l’Inno che il Padre ci offre in dono (cf SC, 83). La bellezza in armonia diventa così concordanza tra divinità e umanità. Divinità incarnata e umanità divinizzata: culmine in cui il Logos-Sapientia crea e ricrea, in via pulchritudinis, il Melos del duetto teandrico d’amore sponsale.

Il canto della liturgia cristiana, che noi chiamiamo “canto gregoriano”, nasce, fiorisce e vive dall’esperienza orante della comunità, essa, per sua natura, è “preghiera fatta canto”. Dalla Parola, ritualmente contestualizzata, infatti, derivano le varie strutture formali e diversi generi musicali all’interno dell’assemblea articolata nei suoi vari ministeri. Dalla Parola, fonte e forza originaria e originale, fiorisce il melos, cioè il canto che esprime il dia logos tra Dio e l’uomo, all’interno della sacramentalità liturgica.

Nella divina Liturgia, la bellezza dell’arte musicale non ha soltanto lo scopo di mostrare le belle forme, ma, attraverso di esse, far percepire il Mistero nell’incanto estetico. Musica è metamorfosi viva della relazione col mistero per percepirlo nel gusto dello stupore vivificante e trasfigurante. Quello che per il Creatore è il Fiat, per l’artista è l’intuizione concorde di tutte le facoltà dell’anima. Nell’atto creativo, la personalità umana è tutta presente in ciascuno dei suoi momenti intuitivi e operati.

L’opera d’arte, dunque, nasce nell’artista, a lui sopravvive nel mondo come creatura vivente in Dio. La vocazione del vero artista è quella d’introdurre la Bellezza nella vita d’ogni giorno: nel cuore, negli occhi, nella mente dell’uomo, realizzando così l’antico sogno platonico, quello, cioè, di identificare il bello col vero; il bello e il vero con il giusto; il bello, il vero e il giusto con il bene, con il sommo Bene! Verità, Bellezza e Bontà convivono in sinfonica simbiosi. L’arte vera rafforza il sentimento religioso, perfeziona la condizione morale, raffina lo stile di vita sociale.

Bisogna affermare con decisione e convincersi a realizzare che la questione dell’arte liturgica non è il problema dell’arte autonoma all’interno della liturgia. Canto e musica devono interpretare l’Incarnazione della Trinità nella storia dell’uomo: componente teologica; devono condurre il battezzato ad entrare nel Mistero della relazione d’amore con la Trinità: componente mistagogica; devono esprimere quel dialogo personale-comunitario che è duetto sponsale d’amore tra l’Eterno Infinito incarnato nel tempo e la fragilità creaturale che s’immerge sacramentalmente (arte santa!) nell’Amore trinitario: componente ecclesiologica. Non ha senso nella stessa celebrazione liturgica in cui si pretende di far partecipare tutti e ciascuno a suo modo, non far cantare tutti e ciascuno a suo modo in concorde armonia.  

L’arte musicale, dunque, è azione simbolico-ministeriale in rapporto all’entrare vivo nella celebrazione liturgica per potervi pienamente e coscientemente partecipare. Essa si situa nella prospettiva teologale. La Sacrosanctum Concilium, infatti, afferma che canto e musica partecipano al fine stesso della divina Liturgia che è “la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli (n. 112). Aspetto latreutico e aspetto soteriologico sono l’alveo in cui mistero, bellezza e celebrazione si integrano e si armonizzano.

Ogni servizio all’interno della Chiesa, se non ha Cristo come sorgente, modello e meta, non porterà mai frutti autentici di novità e vera concordia di quella pluralità che genera unità. È Cristo il fine, lo scopo, il soggetto e la materia della vera arte liturgica: Lui, Dei Verbum fatto Carne della nostra carne per noi uomini e per la nostra salvezza; Lui, Lumen Gentium Splendore della Gloria del Padre, celebrato e cantato dalla sua Chiesa e nella sua Chiesa; Lui, Gaudium et Spes venuto per trasfigurare l’uomo, la storia e il cosmo.

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