Il Regno di Dio è vera ricchezza

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L’incontro e il dialogo

Si tratta di un duetto svoltosi tra l’affettuoso e l’ironico, tipico di certi incontri con Gesù. Lo racconta l’evangelista Marco: Mentre andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?” (Mc 10,17). Gesù, ponendosi sullo stesso piano giudaico dell’interlocutore, respinge l’amabile aggettivo buono e lo rinvia subito a Dio, perché solo a lui compete tale titolo. L’ebreo Filone affermava, infatti, che l’unico buono è solo Dio. All’uomo ricco, anche se ha la sua vocazione al Regno, manca però il coraggio di dire il suo sì all’invito di Gesù.

Chi è il ricco? È un tale, una persona fra le tante che non ha un nome, ma appartiene a un ceto facoltoso. In effetti, il ricco è un israelita praticante, religiosamente sincero, ha un cuore semplice e un animo nobile. Animato di buona volontà, corre incontro a Gesù desideroso di ottenere la vita eterna. Secondo la corretta mentalità della legge ebraica, Gesù gli risponde riferendosi solo ai comandamenti di Dio e, nello spirito del comandamento unico, invita a riconoscere in lui la bontà stessa di Dio e, perciò, la vita eterna. Il discepolo è chiamato a riconoscere in Gesù, il bene supremo e ad anteporlo a ogni altro bene, è leale e confessa di avere osservato i comandamenti fin dalla sua giovinezza. Gesù ne rimane affascinato ed è attratto dal suo entusiasmo. Forse pensava che, attratto dalla ricchezza di possedere il Regno di Dio, compisse il passaggio dalla Legge antica, da lui fedelmente osservata, alla Legge nuova seguendo in Cristo il suo Vangelo. Sperando che diventasse suo discepolo come Pietro, Andrea, Giovanni e altri, Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: “Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!” (Mc 10, 21). La proposta di Gesù, anche se non è un comando, ma un consiglio, è radicale, il Maestro voleva che il ricco trasformasse in carità tutti i suoi beni terreni e, per ottenere un tesoro in cielo, lo seguisse e s’inserisse nella comunità dei suoi discepoli.  L’uomo, però, era legato ai suoi beni, garanzia del suo futuro e della sua autosufficienza, anche se da lui erano ritenuti, secondo la tradizione, segno di benedizione divina. Colpito nel vivo, perché non si aspettava una risposta così esigente, non riuscì a trovare energie per dare a Gesù una risposta positiva. Rimase, infatti, rattristato e il suo volto, quello che Gesù aveva fissato con sguardo d’amore e di speranza, improvvisamente si oscurò. Egli, infatti, non giudicando tesoro prezioso il Regno di Dio offerto dalla sequela di Cristo, vi rinunziò per possedere tesori umani più concreti e sicuri. Per il ricco, Dio non è l’unico e assoluto “Buono”. Egli si ferma sulla soglia del Vangelo e non fa “conversione” dai Comandamenti alle Beatitudini. Il Signore, pur stimando e amando questa persona, la congeda perché non la ritiene pronta per l’invito alla sequela. Quel “tale” andò via triste per la paura di perdere i suoi beni o per il timore di perdere la vita eterna? Bisogna ripudiare totalmente la logica del mondo se si vuole accogliere col cuore la divina proposta del regno.

La lezione della possibilità

Nell’ottica umana, il gesto che Gesù richiede è visto, in effetti, come qualcosa d’impossibile, ma nella visione del regno diventa possibile se interviene la potenza creatrice di Dio. Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: “Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!” (Mc 10,23). Il Maestro, capovolgendo criteri e valori, insegna che il fascino delle ricchezze e l’attaccamento a esse rendono difficile l’ingresso nel Regno di Dio. Senza la via crucis non è possibile fare la conversione dall’Antico al Nuovo Testamento. Neppure i discepoli comprendono questa irruzione decisiva di Gesù nella vita di una persona, anzi, ne rimangono sconcertati. Gesù, comprendendo il loro stupore e ribadisce la sua affermazione: Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! (v. 24), facendo uso della ricchezza metaforica orientale: E più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio (v. 25). L’evangelista, a questo punto, mette in risalto l’accresciuto sbigottimento dei discepoli che si dicevano l’un l’altro: E chi può essere salvato? (v. 26). Gesù non somiglia a quegli “inumani” che non sanno guardare in faccia, ma, puntando lo sguardo sul loro volto, dice: Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio (v. 27), confermando in positivo la stessa grande frase che l’angelo Gabriele disse a Maria la Madre: Nulla è impossibile a Dio! (Lc 1,37). Ogni discepolato fedele ed entusiasta è sempre opera del nostro Dio a cui tutto è possibile.

Il vangelo di Marco e la lettera ai Romani di Paolo qui trovano la loro convergenza. Paolo afferma, infatti, che la “giustificazione” di Dio non si ha con l’adempimento delle opere della legge ma è l’effetto dell’irruzione sorprendente di Dio nell’uomo che spalanca il cuore per accogliere la fede e viverla in entusiasmo (cf Rm 3,23ss).

Il tale ricco, pur onesto e sincero, partendo da una morale puramente umana, ritiene possibile armonizzare il possesso dei beni con l’adempimento dei comandamenti di Dio, anzi, punta a garantirsi tutto con la ricchezza e a possedere la vita eterna soltanto attraverso l’adempimento scrupoloso della Legge. Gesù, invece, gli chiede qualcosa che non rientra in questo piano morale, ma lo supera e lo completa stabilendo nuove regole. La sequela esige il coraggio di accogliere la novità e la decisione di intraprendere una proposta diversa. Lo sbigottimento e la resistenza dei discepoli è in rapporto al vendere e al lasciare tutto. A questo punto interviene Pietro: Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito (v. 28). La risposta di Gesù è dialettica. Infatti, la comunità dei credenti è esortata a vivere in povertà, ma anche a non essere né prìncipi schiavi di ricchezze e di ornamenti terreni né straccioni schiavi di fanatici e inumani “pseudo ascetismi. Il Maestro termina il discorso con un nuovo paradosso: Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi saranno primi (v. 31). Quando alla fine dei tempi verrà il Cristo Giudice e consegnerà il regno a Dio Padre (1Cor 15,24), i “beati, poveri nel cuore” saranno introdotti nella sala del gran banchetto escatologico per partecipare all’eterna gioia del Regno (cf  Mt 5,3; Lc 14,21).

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