Auguri al card. Capovilla, amico dei Santi

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Il 14 ottobre il card. Loris Francesco Capovilla compie 100 anni e lo festeggia con un opuscolo gratuito, intitolato ‘Cento anni’, raccontando del suo percorso di vita attraverso un’omelia di Angelo Roncalli, pronunciata il 15 settembre 1915 e conservata presso la Fondazione Giovanni XXIII di Bergamo:

“C’è materiale sufficiente per rilevare senza giudizi definitivi un passato che tutto il mondo conosce. Se permettete oso ricordare che il centenario di questo vostro pensiero mi invita a riflettere sul fatto che, un mese dopo, sono nato io, e non occorre che ve ne parli, giacché conoscete tutto dei miei genitori e di ciò che ha segnato il non facile cammino della mia vita… Santo Padre, sono sempre stato un passo indietro a voi, restio alla pubblicità.

Mi comprenderete quindi se nel giorno del mio centesimo anno di nascita, desidero rimanere in silenziosa preghiera, nel ricordo dei miei genitori, di mia sorella e di voi, che sento accanto come ispiratori e consolatori dei miei propositi di vita e di servizio sino alla fine”.

Nell’opuscolo il card. Capovilla ha scritto una lettera al papa ‘buono’: “Il centenario di questo vostro pensiero mi invita a riflettere sul fatto che, dopo un mese esatto, sono nato io, e non occorre che ve ne parli, giacché conoscete tutto… Arrivato a cent’anni non ho avventure strepitose da raccontare, tranne l’incontro con voi, che siete stato l’ispiratore del mio servizio sacerdotale a Venezia, in Vaticano, in Abruzzo, nelle Marche e a Bergamo.

Di nulla mi vanto, non mi sento creditore verso alcuno, sono in debito invece con voi, con i miei amati genitori Letizia e Rodolfo e mia sorella Lia con suo marito Carlo… Ce l’avete fatto capire, Santo Padre: non un sistema ci occorre, specialmente in tempi di emergenza, non un’ideologia, non un computer; ci occorre un uomo in carne ed ossa, come erano i profeti; uomo che pensa, prega ed ama; uomo non costruito sul protocollo, né sulla diplomazia; uomo che ti sorride con gli occhi; uomo i cui occhi nuotano talora nelle lacrime senza che si alterino i tratti del volto”.

Nell’omelia, riportata nell’opuscolo, don Angelo Roncalli riflette sulla barbarie della guerra: “Come mai una festa intorno al dolore? Come mai il gaudio e l’esaltazione in mezzo a ciò che fa piangere e ci abbatte? Eppure è così… Eppure fra tanto sgomento e tanti dolori la Chiesa ci invita alla letizia e alla festa. Sopra questo calvario umano sta sempre ritta la croce e ai piedi di essa sta la Madonna; in atto di invitarci e dirci: ‘O vos omnes qui transitis per via’.

E stiamo oggi presso Maria: il suo dolore è degno di essere festeggiato perché è la glorificazione e la esaltazione del dolore umano. Ripensando a esso, noi nella tristezza presente ne sentiremo conforto, esempio, incoraggiamento. Vediamo come esso sia magnanimo, generoso, fecondo”.

Nell’opuscolo è riportata anche una testimonianza del 1964 di papa Paolo VI: “Noi ripensiamo ‘la cara e buona immagine paterna’ di papa Giovanni per godere, quasi fosse ancora con noi, della sua vivace ed edificante conversazione, e sentiamo il dovere di rivendicare la sua schietta e genuina fisionomia umana e pontificale dalle interpretazioni artificiose e abusive, che alcuni ne hanno fatte, quasi a giustificare un proprio anticonformismo dottrinale e disciplinare.

Lo rivediamo nel suo aspetto paterno, nella sua spirante affabilità e semplicità, e insieme con la sua sempre pronta e arguta facezia; ma non dimentichiamo la sincerità ed il vigore della sua ortodossia, attestata solennemente all’apertura del Concilio da lui voluto, affinché, egli disse, ‘il sacro deposito della dottrina cristiana sia custodito e insegnato in forma più efficace’; così che, impavido assertore dell’autentico insegnamento della Chiesa, egli si faccia ancora per noi precursore di una penetrazione dottrinale e di una formazione delle coscienze secondo le esigenze del pensiero moderno”.

Tra tante testimonianze, piace citare una sua testimonianza, quando è stato prelato di Loreto dal 1972 al 1979, racchiusa nel processo di canonizzazione del venerabile Luigi Rocchi, in quanto spesso si recava a trovarlo nella sua casa a Tolentino, pochi chilometri da Loreto:

“Lui stesso un giorno mi confidava che, quando aveva 16, 17, 18 anni, più di qualche volta ha sentito la tentazione della disperazione. Ma è naturale che l’abbia sentita questa, però sempre riaffiorava questo principio fondamentale, questo criterio di vita, questo comandamento di vita: Gesù ti ama! E questo l’ha aiutato non solo a vivere ma ad operare…

Ho avuto il piacere di conoscere Luigi Rocchi sull’ultimo scorcio della sua vita, quand’era ormai un provetto professionista del dolore e aveva collaudato il difficile mestiere dell’infermo sulle prime immaginavo di dover consolare un uomo e rispondere a terribili e inquietanti interrogativi. Invece no, lo capii subito, e ne rimasi come abbacinato. Egli dava molto di più di quanto ricevesse.

Ebbe cuore grande e buono. Amò con tenerezza e fortezza inespugnabile… Gli chiesi un giorno se gli capitasse sovente di lamentarsi, magari nelle ore di solitudine, o ritenendosi abbandonato da persona amica o magari a motivo di ricorrenti incomprensioni. Mi rispose: ‘No, mia mamma mi ha insegnato che il Padre mi ama… Questa la lezione vissuta da Luigi Rocchi, lasciata in eredità a uomini e donne che siano umili lettori dei ‘segni dei tempi’. Egli, l’handicappato, è stato misericordioso samaritano per tanti suoi simili imbattutisi nei predoni delle tragiche strade del mondo”.

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