L’educazione è un modo per uscire dalla crisi e pensare il futuro

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Non solo un importante riscontro di pubblico e di critica, ma soprattutto, significati e opportunità di riflessione e confronto: è il bilancio più che positivo della quarta edizione di ‘Educa’, una manifestazione, svoltasi a Rovereto nello scorso week end, già punto di riferimento nazionale sui temi dell’educazione con un’affluenza di quasi 300.000 persone in tre giorni con più di 100 appuntamenti. Nella festa finale la città è stata invasa da migliaia di insegnanti e genitori, bambini e ragazzi che hanno partecipato alla manifestazione nazionale dell’educazione, che per tema aveva una sfida importante, ‘Educare nell’incertezza’, in quanto “l’educazione è una scommessa sull’uomo cruciale per ridare prospettiva e futuro alla comunità”.

 

 

Secondo il presidente di EDUCA, Michele Odorizzi: “La partecipazione numerosa, calda ed intensa ai più di 100 appuntamenti, ci ha restituito il senso pieno della proposta che tratta una questione così fondamentale attraverso linguaggi leggeri ma non banali, seri ma non tristi e noiosi. Gli intereventi e gli interrogativi posti nel corso dei dibattiti, in particolare dai giovani, ci dicono che l’aspettativa di chi partecipa è di anno in anno più alta e sofistica: quello di EDUCA non è un pubblico in cerca di intrattenimento, ma vuole essere protagonista”. Nella tre giorni sono stati proposti studi, riflessioni e ricerche che non hanno nascosto le criticità esistenti e hanno evidenziato i possibili spazi di miglioramento sia nella scuola che nella famiglia, sia nella politica che nel mondo del lavoro.

Unanimemente positivo è stato il messaggio dei diversi protagonisti: filosofi come Roberto Mancini e Pietro Barcellona, lo psicologo Ignazio Punzi e l’artista Alessandro Bergonzoni hanno spronato all’impegno per la costruzione di nuove alleanze educative che coinvolgano l’intera comunità ripartendo da significati e valori profondi come la gratuità, la reciprocità, gli affetti e la giustizia. Interessante anche il tema approfondito da Giuseppe Scaratti psicologo e professore della Facoltà di economia dell’Università Cattolica di Milano sulla  creatività e sull’incertezza, riferendolo in particolare al contesto lavorativo: “L’incertezza irrompe nel mondo del lavoro perchè cambiano i luoghi, i contenuti, i saperi richiesti e i tipi di contratto. Senza contare poi quando il lavoro non si trova. Tutto questo ha ricadute sui progetti di vita a partire dalle capacità di essere autosufficienti.

Affrontare questa incertezza non è facile sia perché le culture organizzative sono ancora ferme al vecchio capitalismo, sia perché i singoli non hanno cambiato l’approccio culturale al lavoro. La creatività è una delle chiavi possibili purché non sia atteggiamento inquieto e nevrotico rispetto alle regole, ma cambiamento della visione, adozione di nuove prospettive”. In linea con lo psicologo è stato anche l’intervento del prof. Domenico Simeone, professore di pedagogia generale all’Università di Macerata, che ha ribadito di non farsi ingannare dalle nuove tecnologie: “Viviamo fra il desiderio di coltivare delle relazioni e la necessità di rincorrere qualcosa. Siamo stati illusi che con l’arrivo delle nuove tecnologie avremmo avuto più tempo libero, ma non è così. Siamo convinti che non esiste più la famiglia tradizionale in cui l’uomo lavorava e la donna educava i figli, ma non sappiamo che alternativa abbiamo. La soluzione sta nel trovare il tempo non solo di stare con l’altro ma anche per l’altro”.

Mentre Bruno Volpi, socio dell’Associazione nazionale Mondo Comunità e Famiglia e per diversi anni missionario laico in Africa, ha raccontato la sua esperienza: “Dovremmo imparare a perdere tempo, a guardarci negli occhi e far nascere le relazioni. Io, brianzolo, l’ho imparato vivendo all’estero e ho fatto fatica a reintegrarmi con la mia famiglia al ritorno in Italia. Ma credo davvero che la via d’uscita sia ricominciare dalla base, cioè dalla voglia di vivere. Il problema della famiglia di oggi è che è figlio-centrica invece che ‘coppia-centrica’. I figli vanno lasciati crescere per far loro trovare i propri talenti, non cercando di evitare loro sofferenze e difficoltà, ma sostenendoli”.

Il filosofo Roberto Mancini, professore di Filosofia teoretica all’Università di Macerata, non ha fatto sconti agli adulti: “La vera emergenza educativa non sono i giovani, bensì gli adulti, spenti, privi di passioni… Dobbiamo avere il coraggio di creare un’autoeducazione sociale, nei luoghi dove viviamo, nella scuola, nel quartiere, nelle zone franche, dove non contano le prestazioni e il denaro, ma le persone e gli affetti. Solo così riusciamo a costruire una risposta a quella crisi di cui tutti parlano. Quando una comunità prende in mano la propria convivenza, pretende che i diritti umani siano rispettati, riporta giustizia. Allora quella comunità sta facendo una grande opera di autoeducazione e apprendimento”.

Infine il prof. Pietro Barcellona ha fatto l’elogio del discorso inutile (suo ultimo libro) sul bisogno del mito della certezza: “Dobbiamo riconquistare la dimensione della reciprocità e di uno scambio affettivo che sia reale, vero. Solo così riusciremo a riacquistare la capacità di identificarci con l’altro, ma non per omologarci, bensì per riuscire ad entrare nel suo pensiero. Viviamo in un mondo in cui è forte la crisi di identità. Oggi non sono solo i giovani ad essere in pericolo, ma tutti quanti.

Bisogna lavorare sul senso di responsabilità, che si sta perdendo, sulla scuola, che dovrebbe essere più attiva e basata più sullo studio in profondità delle tematiche, sul significato di cultura (oggi tanto sbandierata ma che non in pochi hanno davvero) e sulla comprensione dei giovani: non vanno capiti attraverso i libri o fornendo loro la soluzione alle difficoltà, ma bisogna immergersi nel loro mondo, ‘creare con loro’ e favorire un dialogo reciproco e spontaneo che faccia emergere le singole identità di ciascuno”.

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