Palestina: la vita difficile dei cattolici

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Giovedì 3 settembre papa Francesco ha ricevuto il presidente israeliano, Reuven Rivlin, per rilanciare i negoziati tra israeliani e palestinesi e trovare una ‘soluzione adeguata’ sui finanziamenti alle scuole cattoliche private. Il papa ha insistito sulla “necessità e l’urgenza di promuovere un clima di fiducia tra israeliani e palestinesi a riprendere i negoziati per un accordo rispettoso delle legittime aspirazioni di entrambi i popoli, come un contributo fondamentale per la pace e la stabilità nella regione…

Sono state affrontate anche alcune questioni riguardanti i rapporti tra lo Stato d’Israele e la Santa Sede e tra le Autorità statali e le comunità cattoliche locali, auspicando una pronta conclusione dell’Accordo bilaterale in corso di elaborazione e una soluzione adeguata di alcune questioni di comune interesse tra cui quella riguardante la situazione delle scuole cristiane nel Paese”.

Inoltre nella nota ufficiale si è ricordato che il Presidente di Israele ha incontrato il segretario di Stato, card. Pietro Parolin, nel cui colloquio è stata affrontata la situazione politica e sociale del Medio Oriente, segnata da diversi conflitti, con particolare attenzione alla situazione dei cristiani e di altri gruppi minoritari. Per la scuola martedì 1 settembre a Betlemme si è svolta una manifestazione per chiedere ‘uguaglianza’ per le scuole cattoliche, che accolgono 33.000 studenti cristiani e mussulmani.

Mons. Marcuzzo ha affermato: “Se oggi ad essere minacciate sono le scuole cristiane, nel tempo lo sarà la presenza cristiana in Terra Santa… Noi non pretendiamo un privilegio, ma chiediamo giustizia: che le nostre scuole abbiano diritto allo stesso trattamento di altre scuole dello Stato”.

Invece desta molta preoccupazione anche la costruzione nella Valle di Cremisan del Muro di Separazione, per cui alcune settimane fa sono stati sradicati molti alberi di ulivo nei pressi di Beir Ona, secondo quanto riportato nel dossier dalla società ‘Saint Yves’,che è un centro cattolico per i diritti umani. Nel dossier di questo centro cattolico sono ricostruiti ed esaminati gli intrecci tra le leggi civili e quelle militari israeliane utilizzati per la confisca di terre private palestinesi, con l’intento di utilizzare tali aree per far sorgere nuovi insediamenti di coloni ebraici.

Infatti, dopo una battaglia legale cominciata otto anni fa, la Corte Suprema di Israele ha acconsentito alla costruzione, dopo che ad aprile la stessa si era pronunciata a favore dei proprietari cristiani della valle. Un muro di cemento armato, che taglia in due la valle. La scuola elementare, il monastero e il convento salesiani rimarrebbero dalla parte palestinese, accessibili dalla città di Beit Jala, mentre le 58 famiglie cristiane della valle vedrebbero le loro terre e case andare dal lato israeliano del muro: non godendo di un reddito fisso, si ritroverebbero senza nulla.

Israele ha dichiarato che l’espansione del muro è legata a motivi di sicurezza, ma per molti, l’obiettivo di Tel Aviv è quello di collegare le colonie di Gilo e Har Gilo. Secondo padre Aktham Hijazin, parroco di Beit Jala, la costruzione è una azione contro i residenti: “Si tratta di una operazione contro la giustizia, contro la nostra presenza qui, contro la nostra storia e il nostro futuro. Questi olivi sono lì da secoli e fanno parte della vita di queste famiglie. Confiscare queste terre è confiscare il passato di queste famiglie e il futuro delle generazioni a venire”.

Mons. William Shomali, vicario patriarcale per Gerusalemme, si è detto “stupito per la testardaggine di Israele. Questa ostinazione a volere impadronirsi di terre altrui, non aiuta per nulla la causa della pace”. Vera Baboun, sindaco di Betlemme, ha prefigurato all’Agenzia Fides l’impatto devastante che la costruzione del muro avrà sulle famiglie cristiane che vivono in quell’area: “Non ci sarà più futuro per la permanenza dei cristiani: la densità abitativa si alzerà a livelli insostenibili e tanti finiranno per scegliere la via dell’esodo, che già da tempo sta riducendo la presenza cristiana in Terra Santa”.

Critiche per la costruzione del Muro sono arrivate anche dai vescovi canadesi, che hanno affermato la loro delusione per la ripresa dei lavori di costruzione del muro di separazione. La Chiesa canadese ha espresso preoccupazione per tale costruzione e la Chiesa statunitense non ha risparmiato le sue critiche ed ha invitato il Segretario di Stato americano a ‘fare pressione’ sulle autorità israeliane affinché pongano fine ai lavori in corso: “Tali azioni non fanno altro che minare la causa della pace e impedire la soluzione dei due Stati”.

In Italia solo Pax Christi ha affermato che ‘tutti si scandalizzano, ma nessuno ferma Israele’: “Noi di Pax Christi, che da anni coltiviamo amicizie fraterne con queste famiglie e veniamo ospitati con una premura indimenticabile nelle loro case, restiamo attoniti per questo crimine ripetuto e inascoltato che colpisce non solo i cristiani e non solo Betlemme… Chiediamo in particolare alle comunità cristiane di accogliere il grido accorato del parroco che con la sua gente ci ha implorato: ‘Fate qualcosa, muovete la gente, fate conoscere quest’incubo. Riunite tutti coloro che cercano davvero la pace. Non possiamo lasciarli continuare così!’”.

Ma non è solo la Valle di Cremisan a destare preoccupazione; a Gaza i cristiani temono l’arrivo dell’Isis ed il parroco di Gaza Mario Da Silva, intervistato da Radio Vaticana, ha denunciato che “le persone che hanno perso le loro case vivono ancora tra le macerie e i bambini vanno a scuola tra le macerie e tante scuole sono usate per coloro che hanno perso tutto”.

Nella Striscia di Gaza “la disoccupazione arriva fino al 40%, alcuni dicono fino al 45%, ma fra i cristiani è ancora più alta perché i cristiani sono una minoranza” e anche nella ricerca del lavoro sono discriminati rispetto ai musulmani. Il parroco ha raccontato le ‘confidenze’ impaurite dei fedeli: “Padre, almeno in Siria, se arriva l’Is, loro possono fuggire da un’altra parte, in un altro Stato; ma se arrivano qui, a Gaza, che cosa faremo noi se non possiamo passare dal muro che ci separa da Israele? Dove andremo?”.

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