Il Meeting va dritto al cuore

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“Di che è mancanza questa mancanza, cuore, che a un tratto ne sei pieno? di che? Rotta la diga t’inonda e ti sommerge la piena della tua indigenza… Viene, forse viene, da oltre te un richiamo che ora perché agonizzi non ascolti. Ma c’è, ne custodisce forza e canto la musica perpetua… ritornerà. Sii calmo”:

davanti a più di 10.000 persone è stata letta la poesia di Mario Luzi per introdurre l’incontro con l’abate generale dell’Ordine Cirstecense, dom Mauro-Giuseppe Lepori, che ha commentato la poesia, affermando che non si può sfuggire alla mancanza, è come un “fiume lento e fangoso che scorre al mare senza accorgersene”. Il poeta è profeta e ci sospinge oltre noi stessi.

Commentando l’incontro del giovane ricco con Gesù si è chiesto come è possibile accorgersi di questa mancanza in cui langue il cuore? Gesù risponde con ‘Seguimi’: “Ed ecco che quel giorno quel malessere vago si trova al cospetto di uno sguardo che lo porta ad esprimere, o forse semplicemente a tradire, tutto l’abisso della mancanza che riempie come domanda a Colui che solo può dare risposta alla sete del cuore. Non so se c’è nel Vangelo, e quindi in tutta la storia dell’umanità, un esempio più essenziale del senso religioso di un uomo espresso di fronte a Cristo. Tant’è vero che di nessun altro, Gesù, dice esplicitamente: fissò lo sguardo su di lui e lo amò”.

Oggi, ha sottolineato padre Lepori, i carismi suscitati dallo Spirito sono quelli che permettono il riprodursi di questa esperienza di sete e di pienezza. Tuttavia vi è una grande tentazione a cui il demonio sottopone il cuore di Cristo: “Puoi perdonare e morire per l’uomo ma in fondo tu non manchi all’uomo…” . Come nell’episodio di Cafarnao: senza riempirsi di Lui la vita è vuota, senza senso, priva di felicità e allora andarono via: “Colui che ci manca è Uno a cui manchiamo noi! È la grande rivelazione che Gesù ha condensato nella parabola del figlio prodigo: il figlio manca al padre più di quanto il padre manchi al figlio”.

A questo punto nella relazione di Lepori sono emersi i temi cari a papa Francesco: “La missione di Cristo, la diffusione del Regno, è croce e resurrezione, perché partecipa all’ansia del Padre che cerca ciò che è perduto, ma anche alla letizia di festeggiarne il ritrovamento. Ma quando la missione parte dal lasciarci ritrovare noi stessi da Colui a cui manchiamo, è come se non ci fosse che la festa della risurrezione da diffondere, da testimoniare, da condividere con tutti”.

Ecco perché la vita cristiana è sempre missione, “perché ciò che salva è vivere con Cristo, la comunione con Lui… E la nostra vita reale, la nostra vita umana, la nostra povera vita quotidiana, diventa il dramma esplicito, il mistero svelato, della comunione con Lui, in tutto, con tutti, sempre. Con Lui da seguire, con Lui che ci è dato e che ci manca, come se ogni passo fosse un respiro, un battito del cuore che rigenera la vita”.

Il secondo giorno della kermesse riminese si è concentrato sull’esame del cuore, della misericordia, fin dall’incontro mattutino con il segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galantino, che ha parlato del fascino delle frontiere, che aiutano a superare il limite: “A ogni azione o orientamento corrisponde sempre un certo valore che si intende perseguire; sempre vi è alla base dell’agire una certa idea di persona, un ideale di essere umano e di società da raggiungere e verso il quale ci si incammina.

Possiamo dire allora che l’antropologia è l’elemento centrale e propulsivo del nostro operare, perché a partire da come pensiamo la persona umana e il modo in cui dovrebbe vivere, costruiamo, per quanto ci è possibile, un certo tipo di società e di esistenza individuale. Per questo motivo, è essenziale elaborare un’antropologia adeguata, senza la quale si sarà guidati da un’immagine distorta di ciò che siamo o dovremmo essere”.

Monsignor Galantino ha citato gli autori ‘prediletti’ come Emmanuel Mounier, Dietrich Bonhoeffer e don Italo Mancini: “Non si tratta di uno sterile elogio del limite, ma dell’essere umano e della sua umanità… Senza ideali la vita dell’uomo finisce senza senso. Va anche allontanato un ideale di perfezione che rifiuti di realizzarsi, di camminare di pari passo con la positiva coscienza del limite. La frontiera è diventare più umani. In tali termini si parla di limite come frutto di leggerezza, non come dimensione antropologica”.

E quindi ha aperto nuovi orizzonti per il cristiano ‘in salida’: “Una Chiesa che fa del limite una risorsa diventa sempre di più una Chiesa missionaria, si piega sugli ultimi. Da ultimo è la vita del singolo che deve essere rivista e ammodernata da una più forte presa di consapevolezza del proprio limite”.

Le esperienze di una Chiesa in uscita non sono mancate, come quella della Pars sul recupero degli ex tossicodipendenti e di don Carlos Olivero, sacerdote della parrocchia della Virgen de los Milagros de Caacupé nella villa 21-24 di Buenos Aires: “La Bibbia è piena del tema a cui fa riferimento questa ricerca. La vita è piena di notizie che accedono il cuore, che ci mettono alla ricerca verso Dio, ma questa possibilità è messa in questione da parte della nostra cultura. Di fronte alla sete che abbiamo ci si propongono soluzioni inadeguate: come se alla fame di qualcuno offrissimo del cibo spazzatura”.

Poi ha raccontato la vita di questo quartiere (spiegato bene in una mostra dai suoi ragazzi): “Voi non sapete quanti giovani finiscono in carcere, prostituiti o assassinati per ottenere quelle scarpe o quel cellulare. Quel desiderio di soddisfare la sete del cuore con questi palliativi, noi lo diamo per scontato, non lo mettiamo più in discussione ma in tanti quartieri poveri sta distruggendo la società”.

Ha raccontato come è riuscito a creare una comunità attraverso l’associazione ‘Hogar de Cristo’: “Abbiamo deciso di accompagnare qualsiasi cosa bella o brutta: tutto… Questa è stata la nostra risposta alternativa. Non c’è tra noi chi ha una risorsa e la dà a chi non ce l’ha.

Nella comunità siamo tutti uguali, non c’è una logica verticale. Abbiamo tutti qualcosa da dare. La grande intuizione è che nell’emarginazione Dio ci chiama a fare comunità. Contro una logica verticale abbiamo scoperto che Gesù ci ha donato la sua misura divina facendosi uomo, scendendo fino a noi. Ed è nato un luogo dove riusciamo a guardare la nostra fragilità, un luogo in cui non è necessario competere, dove non serve nascondere le proprie fragilità”.

Anche la signora Rula Ghani, moglie del presidente della Repubblica Islamica dell’Afghanistan e cristiana libanese, ha raccontato la sua storia e la rinascita del Paese: “Quando c’è un problema ascoltiamo le persone, le invitiamo ad organizzarsi e le sosteniamo… Dobbiamo essere tutti uniti e opporci alla violenza perché siamo tutti esseri umani e in quanto tali dobbiamo rispettarci… La speranza non va creata, deve solo riaccendersi. Il popolo afghano ha una qualità: non smette mai di desiderare. Vorrei che la mia opera servisse a questo”.

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