Don Milani: l’obbedienza non è più una virtù

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Quest’anno ha compiuto 50 anni la risposta che don Lorenzo Milani scrisse la risposta all’ordine del giorno dei cappellani militari della Toscana in congedo in cui si accusavano gli obiettori di tradimento alla Patria: ‘L’obbedienza non è più una virtù’, che oltre alla risposta ai cappellani, include anche la ‘Lettera ai giudici’, che è un’autodifesa scritta dopo la denuncia per apologia di reato presentata da ex combattenti.

E’ un piccolo libro, che si legge tutto di un fiato, ma che alla fine pone la coscienza davanti alla scelta di essere cittadini di una democrazia e che ancora oggi mostra ancora più la sua attualità e la sua validità. Don Milani nell’incipit del libro scrive che: ‘Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruenti: lo sciopero e il voto’. Ma cosa significa che l’obbedienza non è più una virtù? Oggi quale valenza ha?

Innanzitutto, dopo aver ripreso in mano il libro, la valenza è ancora di grande valore in quanto a Barbiana don Milani insegnava ai suoi ragazzi ad essere cittadini sovrani, a prendersi a cuore il mondo, insegnava loro che solo insieme si esce dai problemi: ‘Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio, sortirne insieme è politica, sortirne da soli è avarizia’.

Don Lorenzo insegnava ai suoi ragazzi di valutare le ‘cose del mondo’ attraverso le pagine del Vangelo e della Costituzione con un percorso che inizia dalla scuola (Lettera ad una professoressa) passa nella Chiesa (Esperienze pastorali) e si chiude con una presa di posizione davanti allo Stato (Lettera ai giudici).

Infatti all’inizio degli anni Sessanta don Milani interviene sul problema dell’obiezione di coscienza per difendere alcuni giovani che avevano scelto l’obiezione di coscienza contro il servizio militare ed erano stati messi in carcere: l’11 febbraio 1965 i cappellani militari della Toscana avevano attaccato gli obiettori di coscienza, sostenendo che l’obiezione è un insulto alla patria e un atto di viltà.

La risposta di don Milani ai cappellani militari non si fa attendere: ‘Auspichiamo tutto il contrario di quello che auspicate voi’. Per tale posizione don Milani è rinviato a giudizio insieme al direttore di ‘Rinascita’ Luca Pavolini, che aveva pubblicato la lettera; gravemente malato per un tumore don Milani non riesce a partecipare al processo, e come memoria difensiva scrive la ‘Lettera ai giudici’.

Il processo, iniziatosi il 30 ottobre 1965, si conclude con l’assoluzione di Pavolini e don Milani. In appello, il 28 febbraio 1968, alcuni mesi dopo la sua morte (28 ottobre 1967), i due sono condannati per il ‘reato di obiezione di coscienza’.

Da questi due scritti emerge che la visione milaniana dell’obiezione di coscienza poggia su una concezione della democrazia intesa come nonviolenza e come partecipazione. Nella ‘Lettera ai cappellani militari’ egli rivendica il diritto dei poveri a ‘combattere’ i ricchi con ‘le uniche armi: lo sciopero e il voto’, richiamando gli articoli 11 e 52 della Costituzione Italiana: “Non potete non pronunciarvi sulla storia di ieri se volete essere, come dovete essere, le guide morali dei nostri soldati. Oltre a tutto la Patria, cioè noi, vi paghiamo o vi abbiamo pagato anche per questo.

E se manteniamo a caro prezzo (1000 miliardi l’anno) l’esercito, è solo perché difenda colla Patria gli alti valori che questo concetto contiene: la sovranità popolare, la libertà, la giustizia. E allora (esperienza della storia alla mano) urgeva più che educaste i nostri soldati all’obiezione che alla obbedienza. L’obiezione in questi 100 anni di storia l’han conosciuta troppo poco. L’obbedienza, per disgrazia loro e del mondo, l’han conosciuta anche troppo”.

Conclude la lettera con un richiamo all’obiezione di coscienza citando il Concordato: “E’ proprio quel Concordato che voi volevate celebrare. Il suo terzo articolo consacra la fondamentale obiezione di coscienza dei Vescovi e dei Preti. In quanto agli altri obiettori, la Chiesa non si è ancora pronunziata né contro di loro né contro di voi. La sentenza umana che li ha condannati dice solo che hanno disobbedito alla legge degli uomini, non che son vili.

Chi vi autorizza a rincarare la dose? E poi a chiamarli vili non vi viene in mente che non s’è mai sentito dire che la viltà sia patrimonio di pochi, l’eroismo patrimonio dei più? Aspettate a insultarli. Domani forse scoprirete che sono dei profeti. Certo il luogo dei profeti è la prigione, ma non è bello star dalla parte di chi ce li tiene…

Auspichiamo dunque tutto il contrario di quel che voi auspicate: auspichiamo che abbia termine finalmente ogni discriminazione e ogni divisione di Patria di fronte ai soldati di tutti i fronti e di tutte le divise che morendo si son sacrificati per i sacri ideali di Giustizia, Libertà, Verità”.

E nella Lettera ai giudici ribadisce: “La leva ufficiale per cambiare la legge è il voto. La Costituzione gli affianca anche la leva dello sciopero. Ma la leva vera di queste due leve del potere è influire con la parola e con l’esempio sugli altri votanti e scioperanti. E quando è l’ora non c’è scuola più grande che pagare di persona un’obiezione di coscienza. Cioè violare la legge di cui si ha coscienza che è cattiva e accettare la pena che essa prevede.

E’ scuola per esempio la nostra lettera sul banco dell’imputato e è scuola la testimonianza di quei 31 giovani che sono a Gaeta. Chi paga di persona testimonia che vuole la legge migliore, cioè che ama la legge più degli altri. Non capisco come qualcuno possa confonderlo con l’anarchico. Preghiamo Dio che ci mandi molti giovani capaci di tanto”.

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