Splendor Paternae Gloriae

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La Sophia, dice Platone, nasce come amore di bellezza; e nel Fedro, afferma che la Bellezza, che sta dall’altra parte del cielo, è qui visibile. Platone non dice com’è arrivata, sostiene che è discesa; questo movimento discendente il celebre filosofo lo chiama amore. Ogni sentimento di bellezza, infatti, è espressione d’amore perché è presenza dell’amato nell’amante: Il Padre-Bellezza Amante si manifesta in Cristo-Bellezza Amato, per lo Spirito-Bellezza Amore.

L’icona per eccellenza della bellezza cristiana è la Trasfigurazione di Gesù. Sul Tabor, quella luce di comunione e di vita, che scaturisce da Dio, risplende sul volto di Cristo. Paolo contempla Cristo, icona del Padre, (cf Col 1,15) che si svela in tutto il suo splendore come irradiazione della gloria divina (Eb 1,3). Nel Vangelo di Giovanni (10,11-14), lo stesso Gesù si autodefinisce Pastore “kalos”, termine sublime che indica bellezza, grazia, fascino, salvezza.

Il profondo significato della Trasfigurazione si può capire soltanto nell’ambito in cui gli evangelisti la raccontano. I discepoli non comprendono come la vita possa nascere dalla morte, così come la gloria di Cristo possa essere nascosta nella croce. Nella visione di quella trasfigurata e trasfigurante bellezza in splendore di Luce, Dio concede ai discepoli di intravedere ciò che il viaggio di Gesù verso la croce, nasconde.

La Trasfigurazione ricorda Es 34,29ss. Il giudaismo, infatti, attendeva, per il tempo finale, la trasformazione dei giusti in splendore ultraterreno e in bellezza raggiante. Paolo già percepiva, in questa intensità di luce, la vita attuale del credente in Cristo (cf Rm 12,2; 2Cor 3,18). Sul Tabor già risplende, nella Persona dello Sposo, quella luce che brilla nel Corpo ecclesiale della Sposa. La Trasfigurazione del Messia è prova della sua divinità, è preludio e annunzio di paradiso, è saggio dell’umana glorificazione futura. L’evento taborico è realtà misteriosa che immerge lo sguardo nel regno dei Beati, è simbolo e anticipo, prefigurazione e pregustazione di quella beata condizione in cui lo splendore del volto di Cristo sarà anche quello dei beati. San Paolo, nella lettera ai cristiani di Filippi, afferma che Gesù trasfigurerà il nostro corpo mortale per conformarlo al suo Corpo glorioso (cf 3,21).

Accanto a Gesù, ci sono Mosè ed Elia. Essi avevano percepito l’avvento della Gloria divina impaziente di salvare l’uomo, ora possono lasciare la grotta del Sinai senza velarsi il volto e contemplare quel Corpo trasfigurato indicandolo come Colui al quale intendevano riferirsi nelle loro profezie.

Nella Trasfigurazione spiccano due momenti: la reazione di Pietro e la misteriosa voce del Padre. Pietro, contaminato dalla cristologia trionfalistica e affascinato dall’evento straordinario, trascura la cristologia del Figlio dell’uomo che deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, essere messo a morte e risorgere il terzo giorno (Lc 9,22). Pietro, che aveva appena professato la sua fede in Gesù e che subito dopo si era opposto al suo annunzio, ora è incantato e, restando sul monte, desidera rendere eterna l’esperienza di quella visione paradisiaca. Quello di Pietro è solo desiderio umano e spontaneo che manifesta incomprensione sul significato dell’evento, che non è inizio del definitivo ma anticipo profetico e fugace di esso. La vocazione del discepolo, infatti, è quella di percorrere la strada del provvisorio e della croce.

Battesimo e Trasfigurazione hanno la stessa voce, quella del Padre. Nel Battesimo dice: Tu sei il mio Figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto (Lc 3,22). Nella Trasfigurazione, confermando la predilezione verso il Figlio, il Padre afferma: Ascoltatelo! (Lc 9,35). Gesù è il Profeta definitivo, l’atteggiamento del discepolo, perciò, non è quello di “indagare”, ma quello di “ascoltare”. Il battezzato rinuncia a essere misura della verità e si fa servo della Verità. Solo così la storia della salvezza non sarà soltanto visione beatifica della storia dell’amore divino, ma esperienza sublime della libertà dell’uomo trasfigurato che ascolta e racconta l’amore di Dio incarnato nel cuore e vissuto nella vita.

Cristo trasfigurato irradia, come canta S. Ambrogio nel suo inno, lo “splendore della gloria del Padre”. Questa epifania di bellezza divina suscita stupore e gioia nei tre discepoli. Lo sguardo della Bellezza e la percezione della Voce sono per propria natura sguardo ammirato e contemplante d’Amore.

L’antifona ai primi Vespri della Trasfigurazione così ci fa cantare: «Cristo Gesù, visibilità della Bellezza di Dio, ha fatto trasparire lo splendore della divinità nell’esperienza sensibile dell’umanità». Papa Leone Magno commenta affermando che la Trasfigurazione è l’evento “sacramentale” che maggiormente ci evidenzia la consistenza di una tale affermazione. La grazia epifanica e la contemplazione estetica della bellezza divina che la Trasfigurazione solennizza, sono opera estetica di riferimento teandrico cui rifarsi con sapienza verso la maturazione della spiritualità cristiana.

Pietro, attratto dallo splendore del Trasfigurato, esclama: Signore, è bello (kalòn) che noi siamo qui (Mc 9,5; Mt 17,4; Lc 9,33). Nel racconto della creazione troviamo lo stesso aggettivo che specifica la percezione della realtà che si sta gustando. Cristo trasfigurato si manifesta in forma divina e il divino si rivela attraverso la bellezza dell’umano. Fede e bellezza sono dono di Dio all’uomo. E’ meraviglioso notare come il Logos creatore, incarnandosi, passò tra gli uomini realizzando amore e operando il bene, cioè il “Buono”. E quest’amore vissuto sino in fondo ci ha manifestato la Gloria attraverso il “Bello”. Nella Trasfigurazione l’esperienza estetica si trasforma in visione estatica. Il Tremendum si fa percepire attraverso il Fascinosum.

Ogni riflessione sulla bellezza non può prescindere dal puntare lo sguardo sulla “Gloria”. In ebraico il termine richiama il concetto di “peso”, di “onore”. Riferito a Dio, indica la visibilità della sua manifestazione: il “peso” dello splendore della sua presenza nella creazione (Sal 19,2; Is 6,3), nella storia (Es 14,17-18; Sal 96,3), nel santuario (Es 40,34-35; 1Re 8,10-11; Sal 26,8). Nella Santa Scrittura, quando si parla di “Gloria”, si fa riferimento soltanto alla “Gloria di Dio”. Nella Trasfigurazione, nella Risurrezione e nel Ritorno glorioso, la “Gloria” è attribuita anche a Cristo. Nella notte del Natale di Gesù, i pastori vedono la manifestazione della Gloria del Signore (cf Lc 2,9). Gli angeli, attraverso il loro canto, annunziano la Gloria di Dio che è dono di pace agli uomini che Egli ama. Sulla via di Emmaus, il Risorto annunzia ai due discepoli che quelle sofferenze che spengono la loro speranza erano previste perché il Cristo entrasse nella sua Gloria (cf Lc 24-26). L’ingresso nella Gloria, attraverso la Risurrezione, offrirà all’uomo con-risorto in Cristo la con-glorificazione nel Risorto Glorificato. In questa glorificazione di Cristo è coinvolto anche il suo Corpo mistico che è la sua Chiesa.

San Paolo contempla Dio come il Padre della Gloria, quella gloria che ha in Lui la sua sorgente e il suo termine (cf Ef 1,17). Tutta la creazione partecipa di questa Gloria (cf 1Cor 2,7): fra le creature, soprattutto l’uomo è gloria di Dio perché è creato a sua immagine e somiglianza (cf 1Cor 11,7; 2Cor 3,7-11). Soltanto il peccato priva l’uomo di questa gloria (cf Rm 3,23). Infatti, Paolo afferma che tutti sono privi della gloria di Dio perché in Adamo tutti hanno peccato (cf Rm 5, 12-19) e perciò non hanno dato gloria a Dio (cf Rm 1,21).

La gloria di Dio è manifestata soprattutto nell’elevatio crucis come exaltatio gloriae. Questo mistero di discesa-ascesa di Gesù è magnificamente cantato nell’inno della lettera ai Filippesi in cui la Gloria è manifestata apertamente e definitivamente affinché ogni lingua acclami: Gesù Cristo è il Signore a gloria di Dio Padre (Fil 2,6-11). La sinfonia glorificatrice raggiunge il suo vertice nella seconda lettera ai Corinzi, in cui Paolo, con ardito contrappunto in splendore di bellezza, elabora un trittico elevatissimo. Dalla gloria di Dio alla sua rivelazione in Cristo, passa all’instaurazione della nuova alleanza in cui i battezzati sono trasfigurati in immagine di Cristo di gloria in gloria. Il canto, modulato all’interno del discorso di Paolo sul ministero apostolico, armonizza croce e gloria, sofferenza e vittoria, tutto irradiato dallo splendore del glorioso vangelo di Cristo che è immagine di Dio (2Cor 7,18; 4,4).

Nella scuola per i pittori sul Monte Athos, gli allievi, dopo avere eseguito le varie istruzioni liturgiche, teologiche e tecniche, alla fine dovevano passare un esame conclusivo dipingendo l’icona della Trasfigurazione. L’allievo mostrava così la sua capacità di saper presentare, con l’arte raffinata della luce, il mistero nella visione di splendore anticipata dell’“ottavo giorno” dopo la gloriosa risurrezione dai morti così come lo avevano visto i tre apostoli sul Tabor.

Quest’esperienza della visione-ascolto trasfigurante, che conduce a poter essere assimilati all’oggetto contemplato, esige la capacità di percepire nello stupore la gloria di Dio gustando e assaporando la libertà ricevuta. Al dono della gloria-bellezza deve corrispondere da parte dei credenti l’impegno di comportarsi come figli della luce, rivestiti di Cristo, Luce del mondo (cf 1Ts 5,4-5; Rm 13,12-14; Ef 5,8). La trasformazione in luce, anzi, in splendore di gloria in gloria secondo l’azione dello Spirito, è trasfigurazione in bellezza teandrica: il Verbo, immagine-splendore del Padre, si è fatto uno di noi; lo Spirito, immagine-splendore del Verbo, è dato a ciascuno di noi; l’uomo, immagine-somiglianza di Dio, è divinizzato dal Verbo fatto Carne nello Spirito che è Dono. La visione-ascolto della Trasfigurazione ci libera dalla paura della Croce e dall’indifferenza della Risurrezione.

Solo se trasfigurati in Cristo, i battezzati saranno capaci di trasfigurare il mondo in Cristo.

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