L’incanto della fede

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Esiste un grande divario tra la sapienza umana, come filosofia pratica dell’esistenza, e la sapienza cristiana come capacità di percezione di Dio, della propria esistenza e di quella dei fratelli in umanità. Quando la vita è defraudata del suo “mistero”, diventa importante solo ciò che si vede, si sente e si sperimenta, per cui l’uomo è identificato come istinto di piacere, di possesso e di autoaffermazione.

Il sublime mistero divino che sta “oltre”, è dimenticato e quasi emarginato, così l’uomo diventa “individuo” concentrato soltanto su di sé e non “persona” che vive in relazione col suo Creatore, con se stesso e con gli altri. In tal modo, scompare l’uomo come “persona” e diventa una cosa tra le altre cose, senza memoria e senza profezia. Il presente e il futuro non sono ritenuti affidabili alla Parola di Dio o all’attesa di una speranza-certezza di gloria e beatitudine eterna ma vagano nella disperanza del vacuo e dell’ignoto. Il mistero di Dio è l’esperienza di un “affetto” che dona senso profondo all’esistenza umana. Mancando la divina radice in cui s’innesta l’esistenza, la sola sapienza umana sarà soltanto luce senza splendore, buio senza orientamento, parola senza incanto.

Dove la Parola si fa canto, la fede si fa incanto. Il gesto del cantare è proprio dell’uomo che sta al centro ed è il vertice della creazione. A differenza degli altri esseri viventi, soltanto la creatura umana canta la parola. L’uomo è somaticamente predisposto a parlare come a cantare, lo strumento è in lui, direi quasi, è lui. Il corpo dell’uomo, infatti, in certo modo, è strumento musicale i cui elementi sono: l’addome, i polmoni, le corde vocali, la bocca. L’arcata verbo-melodica, che inizia sin dai primi vagiti, va verso il parlato e si dispiega in canto modulato, coinvolgendo la realtà psicosomatica della persona. E poi, per cantare, più che per parlare, sono necessarie diverse realtà: abbondanza di respiro, coordinamento di muscoli facciali e addominali, impostazione della bocca, trattamento specifico delle corde vocali, euritmia del corpo, ricchezza di espressione, sensibilità artistica, intuito interpretativo… L’uomo, fisicamente e psichicamente, è dunque strutturato in modo tale da esprimersi attraverso la parola e il canto o, meglio, la parola che si esalta nel canto, armonizzando spirito e corpo e comunicando tutta la molteplice gamma dei sentimenti.

Cicerone, a riguardo, offrendoci la più bella e sintetica definizione della “cantabilità” della parola, dice che il canto è insito nel linguaggio come un embrione: Est autem in dicendo etiam quidam cantus obscurior (Orator XVIII,57). Nella parola parlata, infatti, vive quel canto piuttosto indefinito quando le parole sono pronunziate con la massima intensità espressiva. Da qui nasce la magica formula chiamata casmes, in-cantum, cioè, quel “cantar dentro” che è, appunto, “incantesimo” della parola! Quest’incantesimo raggiunge il suo vertice quando si ama in entusiasmo. In effetti, canto e amore convivono in duetto di mirabile simbiosi. Il canto è raffinatissima ed elevata espressione d’amore tanto da far dire a sant’Agostino: Cantare amantis est! Questa sinfonica comunione ha origine e inesausta sorgente in Dio che si è rivelato a noi come Amore e Amore donato! Quest’Amore eterno e infinito “è stato riversato nei nostri cuori” rendendoci capaci di cantare all’Amore, amando! E’ questo lo spirito di un genuino affectus fedei che anima il canto del credente.

Il libro della Genesi narra che Adamo, messo davanti alla creazione, impose il nome a ogni vivente. Solo quando si trovò di fronte al sublime dono della sua donna, esplose in entusiasmo e innalzò il primo cantico d’amore: Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne. La si chiamerà donna, perché dall’uomo è stata tolta (Gn 2,23). Il cantare diventa, così, eccedenza del puro parlare, espressione di stupore ed esaltazione d’intima gioia.

Nella vita del credente, l’esigenza del canto sgorga dalla pienezza del cuore e dall’esperienza di fede amata e vissuta. Cantare il Mistero è espressione viva di entusiasmo interiore che accende il cuore e dà voce alla profezia e alla lode, alla gratitudine e alla meraviglia, alla gioia e al dolore, alla supplica e al pentimento, all’estasi e alla contemplazione. L’uomo biblico, che fa esperienza di Dio, è sempre creatura entusiasta perché è capace d’amare: dal canto d’amore di Adamo all’Amen dei redenti nell’Apocalisse, dall’appassionata difesa di Dio da parte di Mosè e dei profeti al Magnificat di Maria, dai duetti d’amore di Lui e Lei del Cantico dei Cantici all’ebbrezza della Chiesa a Pentecoste, tutto è un oceano melodico di purissima lode e gratitudine d’amore.

Le sante Scritture ci tramandano che Gesù, assieme agli apostoli, cantò i salmi tradizionali della Cena pasquale: Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi (Mt 26,30). San Luca, negli Atti degli Apostoli, ci riferisce che Paolo e Sila, mentre erano in prigione, verso mezzanotte, in preghiera, cantavano inni a Dio, mentre i prigionieri stavano ad ascoltarli (16,25). San Paolo inserisce il canto spirituale all’interno delle catechesi tipicamente battesimali e lo fa sgorgare da quel cuore in cui s’incarna in abbondanza la parola di Dio: La parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente; ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza, cantando a Dio di cuore e con gratitudine salmi, inni e cantici spirituali (Col 3,16). Non sappiamo con chiarezza a quale genere musicale appartenessero gli psalmòi, gl’hymnoi e gli odài. Sicuramente indicavano quelle forme vocali espressive che allora erano usate. Potrebbero anche significare, a parer mio, la ricchezza e la varietà dei diversi generi musicali all’interno della molteplicità delle culture. San Paolo ci tramanda che la parola di Dio, accolta nella profondità del cuore, portava i suoi frutti in tutti i membri della comunità, attraverso l’edificazione reciproca raggiungendo la sua forma particolare nel canto comunitario che non si riduce a un’espressione artistica qualsiasi ma a quel canto ”spirituale” che caratterizza sia la preghiera sia la stessa comunità orante. Il termine “spirituale” non equivale a un generico “sacrale” di tipo pagano, ma definisce la particolare esperienza dello Spirito che i battezzati hanno in dono di vivere. Anche la parola “cuore” non va letta in senso psicologico-sentimentale ma esprime il centro profondo nel quale l’uomo si determina alla conoscenza e alla decisione ed è il luogo in cui lo Spirito raggiunge l’uomo. In forza di questa epiclesi, l’estetica del generico canto “sacro” si trasfigura in teologico canto “santo”. Il Credo che sgorga dal cuore, fiorisce sulla bocca col canto che è professione di fede testimoniata nell’incanto di un amore donato, accolto e ridonato.

Alla Parola non può mancare la voce: è questo il canto della fede! Dove la Parola si fa canto, la fede si fa incanto.

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