Pietro e Paolo

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Il Prefazio ci fa cantare: «Tu hai voluto unire in gioiosa fraternità i due santi apostoli: Pietro, che per primo confessò la fede nel Cristo, Paolo, che illuminò le profondità del mistero; il pescatore di Galilea, che costituì la prima comunità con i giusti di Israele, il maestro e dottore, che annunziò la salvezza a tutte le genti. Così, con diversi doni, hanno edificato l’unica Chiesa».

Il 29 giugno è festa dell’apostolicità della Chiesa: Pietro, fondamento della fede cristiana, è forza e speranza nella missione dell’apostolo/chiesa. Paolo, annunziatore del vangelo nella missione salvifica universale, è fondamento e fiducia nella fede dell’apostolo/chiesa.

Pietro e Paolo, messaggeri del vangelo, testimoni e martiri del Signore, sono «i santi apostoli che nella vita terrena hanno fecondato la Chiesa, con il loro sangue, hanno bevuto il calice del Signore e sono diventati gli amici di Dio» (Antifona d’ingresso). La loro vita e la loro missione si sono configurate al mistero supremo di Cristo, crocifisso-risorto. Il loro martirio è il sigillo ultimo di un amore senza limiti.

Con l’azione dello Spirito, trasformati dalla luce del Risorto, liberi nella libertà di Cristo che ha vinto la morte, i due Apostoli sono costituiti testimoni della Pasqua di morte e risurrezione di Gesù. Diventano instancabili annunciatori con le loro lettere, i loro viaggi e soprattutto con l’offerta della loro vita coronata dalla testimonianza del martirio. Testimoni nel sangue del mistero di Cristo, Pietro e Paolo sono diventati i Padri della fede per tutta la Chiesa.

In Pietro e Paolo, istituzione e carisma convivono in armonioso dialogo, perché la Chiesa, luogo della presenza di Cristo, non si sclerotizzi, ma cammini nella verità sinfonica e nella concorde carità, in modo che appaia al mondo come autentico e fecondo “sacramento di salvezza”. Pur con diverso carattere, vocazione e carisma, attraverso di loro la Chiesa riceve «il primo annunzio della fede» (colletta), compiendo la stessa missione in tempi e in luoghi diversi.

La celebrazione della festa di Pietro e Paolo ci fa tornare alla sorgente della nostra fede cattolica, riscoprendo il fondamento del mistero di quel Corpo mistico di cui siamo membra. La fede cristiana è essenzialmente apostolica perché si riferisce all’esperienza degli apostoli. La Chiesa non conosce e non annunzia altro Cristo se non quello visto, accolto, testimoniato e annunziato dagli Apostoli.

La Pasqua di Cristo, evento originario e fondante della fede, è mediato soltanto dalla testimonianza degli apostoli. Nel giorno della Pentecoste, è Pietro che annunzia: Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni (At 2,32). Il concilio Vaticano II afferma con decisione che la Chiesa è stata fondata sugli apostoli i quali «predicarono la parola della verità e generarono le chiese» (AG 1). Agostino ci esorta: «Amiamone, dunque, la fede, la vita, le fatiche, le sofferenze, le testimonianze e la predicazione» (Sermo 295,7-8).

 

Le tre metafore del primato di Pietro

La Chiesa di Cristo non è massa indistinta di fedeli anonimi, isolati e dispersi, ma comunità ecclesiale fondata sulla “roccia Cristo” che è sempre presente in mezzo ai suoi, contemporaneamente sceglie Pietro col compito di unificare e sostenere la Chiesa di Cristo. L’autorità di Pietro è vicaria; egli è immagine di Cristo, che è il vero Signore della Chiesa. L’evangelista Matteo ci offre tre illuminanti metafore che mettono in risalto il primato di Pietro: la roccia, le chiavi, il legare-sciogliere (cf Mt 16,13-20).

La roccia, dal nome aramaico kefa, è il termine con cui Cristo rinomina Simone chiamandolo Pietro e gli affida la sua missione. Nel mondo semitico, cambiare nome significa orientare la persona verso un altro destino. Pietro è la roccia che tiene salda la Chiesa. Su questa roccia il Cristo, “pietra angolare” insostituibile, getta le basi dell’edificio-Chiesa, segno visibile di Cristo che è la vera roccia. A fondare la competenza pastorale di Pietro non è la sua personale fedeltà a Cristo ma la fedeltà di Cristo all’amore per i suoi: questa è la roccia su cui è fondata la Chiesa. Cristo è l’unico mediatore che costruisce la sua Chiesa. Pietro e gli apostoli sono le “fondamenta” (cf Ef 2,20). Neanche la morte potrà esercitare il suo dominio sui credenti riuniti nella Chiesa.

Le chiavi sono il segno del governo e della responsabilità di una casa. Pietro diventa, non il fondatore o il proprietario, ma il vicario e il fiduciario della Chiesa. Egli è segno di Cristo vero capo e unico pastore della comunità messianica.

Legare e sciogliere, proibire e permettere, separare e perdonare: Pietro ha tutte le prerogative che si leggono nella Bibbia e che sono attribuite al Messia. Gesù stabilisce nella Chiesa un’autorità che ha origine e destino divino. Pietro, insieme agli altri apostoli, è costituito interprete autorizzato della legge divina, guida all’amore e alla giustizia nelle decisioni storiche. La missione che riceve da Cristo, Pietro non la eserciterà come monarca o despota di un potere-dominio ma come fedele servizio alla fede e all’amore per l’unità della stessa Chiesa. Questo servizio, fondato su Cristo e sulla fede in lui, Pietro dovrà renderlo alla comunità.

Alle due domande d’amore e di fede che Gesù rivolge a Simone, seguono, da parte dell’Apostolo, due risposte di amore e di fede, da cui scaturisce il mandato.

Domanda: Mi ami tu?

Risposta: Tu sai che io ti amo.

Consegna: Pasci le mie pecorelle.

Domanda: Chi dice la gente chi io sia?

Risposta: Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivo.

Consegna: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa.

 

Pasci le mie pecorelle

Gesù è il Pastore per eccellenza. Innanzi tutto perché le pecore gli appartengono, poi perché le conosce singolarmente. Questa conoscenza è reciproca ed è così intima che Gesù la paragona a quella che unisce Lui al Padre. Il motivo profondo sta nel fatto che egli offre la vita per il suo gregge. Gesù è il vero Pastore che conduce e riunisce il suo gregge per fare un solo ovile sotto un solo pastore (cf Gv 10,11-18). La prospettiva di unità di Gesù è uno spalancare gli orizzonti alle dimensioni del mondo e della storia. Nella vita della Chiesa, Pietro diventa il responsabile visibile dell’unità del gregge. Questa carica pastorale la riceve dopo aver affermato solennemente il suo amore personale per Gesù. La triplice domanda d’amore rimanda al triplice rinnegamento in quella notte del tradimento.

 

Tu sei Pietro

Il fondamento per cui Pietro è la “roccia” sulla quale è costruita la Chiesa di Cristo, poggia sulla confessione di fede che l’Apostolo ha fatto per primo a nome del gruppo degli apostoli: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente. (Mt 16,16). Pietro, da solo, sarebbe stato incapace di percepire e riconosce con assoluta chiarezza la messianità e la filiazione del Cristo e questa percezione non viene da “sangue e carne” ma è dono del Padre. L’atto di fede, che scaturisce dalla rivelazione del Padre, s’incarna nell’amore e dall’amore germoglia come fede piena totale in Cristo: Signore, tu sai tutto: tu sai che io ti amo (Gv 21,17). L’amore fedele e la fede ricolma d’amore condurranno al martirio. Nel mandato e nel martirio, Pietro manifesta l’amore di Gesù verso i discepoli e verso quelli che, attraverso la loro parola, crederanno in lui. Il cammino della Chiesa e l’unità dei cristiani nel tempo e nella storia non possono prescindere dall’amore e dalla fede di Pietro. Sant’Ignazio d’Antiochia, nella sua Lettera ai Romani, afferma che a Pietro, cioè al Vescovo di Roma, spetta «presiedere alla comunione universale della carità» (4,3). La Lumen Gentium conferma: «Gesù Cristo prepose agli altri apostoli il beato Pietro e in lui stabilì il principio e il fondamento perpetuo e visibile dell’unità di fede e di comunione» (n. 18).

 

Le quattro metafore della vocazione di Paolo

Giunto al termine della sua vita, Paolo, scrive al suo fedele Timoteo, responsabile delle comunità ecclesiali dell’Asia minore, sullo stile di vita che devono avere le comunità cristiane. Nel discorso d’addio, Paolo si presenta come modello di apostolo e di pastore. Alla luce del dono ricevuto illumina il suo passato, il presente e il futuro. La sua opera è realizzata grazie alla presenza efficace del Signore che lo ha reso apostolo predicatore del vangelo a tutte le genti, liberandolo da ogni pericolo di morte.

Per dipingere il suo itinerario apostolico, Paolo usa quattro metafore.

La prima richiama l’immagine della libagione: come il vino, che versato sul braciere, esala verso l’alto tutta la sua fragranza, così tutta la sua vita deve salire verso il suo Signore.

La seconda, la navigazione di cui Paolo si servì come mezzo di evangelizzazione: E’ giunto il momento di sciogliere le vele. È il momento in cui si chiude la sua vita terrena.

La terza, quella militare, allude alle tante battaglie combattute nel corso del suo ministero. Dopo le aspre lotte, le terribili persecuzioni e i vivaci confronti, Paolo ora raggiunge la serenità dell’incontro col suo Signore.

La quarta è metafora sportiva. Terminata la corsa, come ogni atleta giunto alla vittoria, anche lui raggiunge la corona di giustizia. Paolo contempla il suo domani con la ferma speranza che Gesù lo libererà per sempre dal potere delle tenebre.

La gioia di essere Chiesa apostolica, una, santa e cattolica, è quella di costruire una comunità di credenti capace di cantare la fede radicata nella speranza e vissuta nell’infaticabile spirito di carità. Il mistero della Chiesa può essere compreso soltanto se si entra nella stessa esperienza degli apostoli. Essi furono testimoni della morte e risurrezione di Cristo perché veri discepoli del Maestro: nel condividere il dramma della croce vissero la fecondità della risurrezione.

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