L’opposizione a Maduro arriva in Vaticano, ma lui no

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Doveva arrivare a San Pietro domenica 7 giugno, per incontrare papa Francesco, ma all’ultimo momento Maduro ha cancellato l’incontro “per motivi di salute”. Il presidente venezolano, o meglio il leader della Repubblica Bolivariana del Venezuela, ha accusato “influenza”, “otite” e “forte virosi” e si è scusato per non poter rispettare l’appuntamento preso con il Santo Padre e con lo Stato del Vaticano. Qualcuno parla di “malattia diplomatica” perché l’incontro con Francesco rappresentava – per il popolo e per l’opposizione – l’ultima speranza per tentare di risolvere la situazione di crisi sempre più cupa (dal punto di vista economico e politico) in cui vive il paese sudamericano. Secondo l’opposizione, rinunciare a un incontro col Santo Padre per un raffreddore è chiaramente una “scusa finta e povera”.

In Venezuela vige una forma di repubblica socialista e rivoluzionaria da anni succube di un regime dittatoriale, ora guidato dal comandante Nicolas Maduro erede legittimo del trono di Hugo Chavez che prima di morire, nel 2013, lo designò personalmente per continuare la sua opera rivoluzionaria di socialismo reale di stampo marxista. Il regime detiene in carcere diversi “avversari politici” condannati per delitti come “cospirazione contro la repubblica bolivariana”, contro la pace del paese, accusati di destabilizzazione o guerra economica.

Al momento si contano circa 77 detenuti politici, la maggior parte di loro arrestati senza prove né accuse fondate: tra di loro (oltre il sindaco di Caracas Antonio Ledezma in carcere dal 19 febbraio per cospirazione contro il governo) spicca il nome di Leopoldo Lopez, il coraggioso leader dell’opposizione detenuto nel febbraio del 2014 per aver guidato una manifestazione pubblica contro il regime (costata la vita a 43 persone). Contro l’arresto di Lopez si sono pronunciate diverse organizzazioni internazionali per i diritti umani come Amnesty International e Human Rights Watch. Anche l’ONU ha chiesto al governo venezuelano “pene adeguate” per gli oppositori politici, ma Maduro non ha nessuna intenzione di allentare la repressione esercitata tramite la forza militare. Attualmente in carcere, Daniel Ceballos – ex sindaco di San Cristobal – e Leopoldo Lopez sono da circa due settimane in sciopero della fame per richiedere la liberazione dei 77 prigionieri politici, la fine delle repressioni e della censura contro i mezzi di comunicazione. Al momento, sono più di 32 i cittadini venezuelani in sciopero della fame da diversi giorni (tra i quali diversi politici, studenti, giornalisti); due di loro, consiglieri comunali di San Cristobal, hanno compiuto un viaggo a Roma, fino a piazza San Pietro, in attesa dell’incontro tra il loro presidente e il papa Francesco cancellato all’ultimo momento.

Dall’inizio dello scorso anno, a causa delle numerose manifestazioni popolari represse col sangue dall’esercito, il governo di Maduro ha proibito ogni dimostrazione popolare e manifestazione mentre – dal canto suo – ha continuato ad organizzare cortei e marce che appoggiano il suo operato.

Il governo venezuelano detiene il controllo di radio e televisione grazie alla “Legge di Responsabilità Sociale in radio e televisione“, approvata dall’Assemblea Nazionale Venezuelana nel 2004, che impone regole di comportamento volte ad esaltare la patria ed a censurare ogni tipo di opposizione, protesta o influenza internazionale. L’inno nazionale obbligatorio all’inizio e alla fine delle programmazioni, l’uso esclusivo di programmi, musica, film, documentari nazionali, l’inserimento obbligatorio nei palinsesti di programmi culturali, la proibizione delle lingue straniere, la proibizione di pubblicità di prodotti esteri, il blocco di canali internazionali, sono solo alcune delle ferree regole a cui TV e radio devono sottostare per non inimicarsi il governo. Due grandi canali dell’opposizione (Globovisión e RCTV) sono stati obbligati ad autocensurarsi e – finalmente – a cambiare proprietà, accusati dal governo di istigare alla violenza e all’odio.

Gli ultimi mesi hanno visto aumentare esponenzialmente il clima di violenza, repressione e censura. A nulla sono servite le molte manifestazioni nazionali ed internazionali (anche da parte di venezuelani residenti all’estero) per implorare il ristabilimento della pace e della legalità in un paese immerso nel caos più totale. La delinquenza, i traffici illeciti, il contrabbando, la corruzione e l’illegalità sono alcune conseguenze delle politiche economiche del governo che – tra le altre misure stataliste – gestisce arbitrariamente il valore della moneta nazionale, il bolivar, impedendo il libero commercio e le importazioni e soffocando i cittadini e le società straniere presenti nel territorio nazionale.

Il paese sudamericano affronta un periodo di grave crisi economica dovuto alla mancanza di generi alimentari di prima necessità. Pur essendo uno dei paesi più ricchi della zona per le riserve d’oro e i giacimenti di petrolio,  in Venezuela si soffre la fame perché le politiche del governo socialista hanno provocato gravissimi danni nell’economia reale mettendo in seria difficoltà le famiglie venezuelane. Si parla di una inflazione pari al 64% nel 2014, una percentuale che ha già superato il 70% nel 2015 e che si prevede un rialzo fino al 97% per la fine dell’anno. I supermercati sono vuoti e sono ormai comuni le lunghissime code che si formano davanti ai negozi per avere razioni di pane, latte e generi di prima necessità (si è arrivati a file di 2 km  che richiedono dalle tre alle dodici ore di attesa). Nelle città manca anche la carta igienica, il sapone, detersivi e altri prodotti di uso quotidiano; spesso anche l’energia elettrica e l’utilizzo della rete internet viene limitato. Anche le case editrici si vedono costrette a limitare le loro pubblicazioni per mancanza di materia prima (la carta scarseggia e sono bloccate tutte importazioni dall’estero).

Molti negozi, supermercati, farmacie e altre attività private sono state sequestrate dallo stato. La catena di supermercatiDia a Dia è attualmente presidiata dall’Esercito Bolivariano (che organizza le file per l’acquisto e distribuzione dei beni di prima necessità) dopo che il suo proprietario venisse arrestato con l’accusa di “boicottaggio e destabilizzazione dell’economia”. Stessa sorte hanno subito le farmacie Farmatodo (167 punti vendita nel paese) con l’arresto di diversi dirigenti annunciato dallo stesso presidente Maduro. Queste iniziative fanno parte della cosidetta “guerra economica” contro il neo-liberalismo e l’ingerenza di capitale straniero; la strategia del governo ha portato a diverse azioni di espropriazione di attività e di proprietà privata da parte della polizia e dell’esercito. Ora, nel paese sono in tanti a darsi al mercato nero del contrabbando acquistando illegalmente alimenti e prodotti di prima necessità (attraverso codici fiscali falsi) per rivenderli a un prezzo triplicato (i cosiddetti “bachaqueros”).

In una recente intervista, il vescovo di Los Teques mons Freddy Fuenmayor ha parlato di “pseudo democrazia” in un paese vittima della fame e della violenza: “La giornata del venezuelano trascorre nella ricerca dei prodotti per rispondere alle principali necessità alimentari. C’è carenza di prodotti, la gente deve fare lunghe file per trovare il cibo. Non è accettabile questa situazione in un paese come il Venezuela che dovrebbe produrre in abbondanza. Ci troviamo male. I giovani hanno perso la speranza, non trovano lavoro, si sentono soffocati dall’attuale situazione politica, molti vogliono andare via”

L’aumento della criminalità è vertiginoso, il Venezuela ha chiuso il 2014 al secondo posto tra i paesi con maggior indice di criminalità in tutto il mondo; le statistiche parlano di una media di circa 80 omicidi ogni 100mila abitanti nella capitale Caracas (altre statistiche riportano cifre superiori).

Nonostante questo agghiacciante scenario degno di una guerra civile, il modello venezuelano è visto da molti come un ideale di democrazia e di lotta anti-capitalista da esportare in altri paesi. A questo riguardo sono sorprendenti le dichiarazioni di Pablo Iglesias, leader del partito di sinistra Podemos in Spagna, che ha più volte indicato il Venezuela come un modello da seguire, “un modello democratico” di giustizia sociale e di aiuto ai poveri da cui l’Europa avrebbe molto da imparare.

In questi giorni Maduro ha annunciato tramite TV l’avvento di “un tempo di massacro e morte” se la rivoluzione bolivariana dovesse fallire per lasciare spazio al “ritorno dell’imperialismo”.

Ora che il popolo è esasperato e stretto nella morsa della fame e dell’insicurezza, le speranze del Venezuela erano riposte nel papa Francesco che, come ha affermava mons. Roberto Lückert, archivescovo di Coro, avrebbe dato “qualche orientamento che il presidente dovrà necessariamente ascoltare”. Il vescovo, che ha più volte denunciato la mancanza di democrazia e lo stato dittatoriale del paese, ha recentemente incontrato il papa a Roma e ha rivelato la preoccupazione del pontefice per la situazione di estrema violenza in cui verte il paese e la realtà dei prigionieri politici. Anche l’arcivescovo di Caracas, il cardinale Jorge Urosa Savino ha denunciato arresti e violenze ingiustificate da parte del governo.

L’opposizione aveva organizzato diverse iniziative nelle chiese venezuelane, a 24 ore dell’incontro tra Maduro e Francesco, per chiedere al pontefice di mediare per la liberazione dei prigionieri politici; gli organizzatori hanno parlato di una iniziativa non politica ma religiosa, chiedendo al popolo di pregare per l’efficacia di questo importante incontro.

Non è semplice capire la situazione del Venezuela vivendo in paesi dove vengono ancora rispettati i diritti umani e le libertà fondamentali, ma la povertà e la mancanza di cibo sta mettendo in ginocchio un paese innocente sacrificato dall’ideologia paranoica di un partito, in ossequio a ideali lontani dalla realtà. Lo scorso anno, un programma della televisione spagnola Antena Tres (“Tierra hostil”) ha proposto al pubblico le desolanti immagini delle file per avere del cibo ed ha portato le telecamere dentro i negozi venezuelani tra gli scaffali vuoti e i silenzi imbarazzati dei commercianti che non potevano servire, caffè, latte, scarpe nè medicine ma non avevano il coraggio di parlarne apertamente per paura della repressione (qui il video).

 

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