Un solo pane, un solo corpo

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Memoria di un evento storico

Il 7 marzo 1965, cinquant’anni fa, Paolo VI celebrava a Roma la prima Messa, rivolto al popolo, col nuovo rito in italiano. Da allora quanta concordia discors! I due termini indicano “armonia”, ma quanta discordanza in questo lungo tempo di accoglienza e di repulsione, di riflessione e di chiusura, di ricerca, di sperimentazione e di stasi.

Mi sorge spontanea la domanda: La celebrazione della Divina Eucaristia può essere usata per rivendicare differenze e attestare divisioni? Può esistere vera comunione ecclesiale nel rifiuto della comunione eucaristica? La Fractio Panis può essere motivo di frattura ecclesiale?

San Paolo è drammaticamente chiaro quando afferma:

Il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?

Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo:

tutti infatti partecipiamo all’unico pane

(1Cor 10,16-17).

Da Agostino d’Ippona a Henri de Lubac, tutta la tradizione afferma costantemente: «la Chiesa fa l’Eucaristia e l’Eucaristia fa la Chiesa». Come dissociare il Corpo Eucaristico dal Corpo Ecclesiale? Tutti i credenti in Cristo dovrebbero essere convinti che la divisione eucaristica può solo dividere la Chiesa. E allora: chi non condivide il medesimo Pane, può parlare di un unico Corpo? L’Eucaristia è il sacramento dell’unità che ci è donata e che è frutto dello Spirito Santo. È questo il senso della seconda epiclesi nella Preghiera eucaristica: l’invocazione dello Spirito sul pane e sul vino è rinnovata a favore della Chiesa. Il celebrante, infatti, prima del racconto dell’Istituzione, chiede al Padre: «Santifica questi doni con l’effusione del tuo Spirito»; dopo l’Anamnesi e l’Offerta, invoca di nuovo: «Per la comunione al Corpo e al Sangue di Cristo lo Spirito Santo ci riunisca in solo corpo». Sappiamo bene che queste due epiclesi della Preghiera eucaristica II provengono da Ippolito di Roma (225 c.).

Memoria che rimane nella storia

La Cena pasquale celebrata da Gesù è un tipo tutto particolare. In essa, infatti, è Lui stesso la vittima il cui sangue versato e asperso sigilla un patto, non più soltanto con il popolo d’Israele, ma con la moltitudine. Questo termine, secondo le possibilità espressive della lingua aramaica ed ebraica, equivale al nostro concetto di umanità, cioè all’insieme di tutti gli esseri umani. La Cena pasquale è dunque sacramento di fratellanza cosmica. Il pane spezzato e distribuito a tutti è segno e indicazione della presenza reale dello stesso Gesù che continua a pregare intensamente il Padre suo perché tutti quelli che credono siano una cosa sola come Lui e il Padre (cf Gv 17, 9-25). Il frutto di questa preghiera è un’unità di cui nemmeno le utopie più ardite possono arrivare a comprendere. Il Verbo, Parola-Cibo, diventa principio di unità nel momento in cui viene creduta e gustata.

Le prime comunità cristiane capirono perfettamente il significato di questo sublime gesto. Infatti, dopo la risurrezione del Signore, cominciarono a riunirsi fraternamente per celebrare la “Cena del Signore”. Gli Atti degli Apostoli tramandano: Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere (2,42). La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola… Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore (4,32.33). La Chiesa di Cristo, dunque, è autentica comunità di veri credenti. È lo Spirito Santo che genera e rende vive le membra del Corpo di Cristo. Il fattore massimo di questo intreccio d’amore teandrico è l’Eucaristia. Mangiare il Pane è diventare “concorporei” con Cristo, bere al Calice è partecipare alla sua condizione divina. La partecipazione all’Eucaristia crea quella comunione misteriosa di vita che è donata dallo stesso Spirito e che trasforma e trasfigura il Corpo mistico.

San Giovanni Damasceno, vivendo in piena ortodossia il Mistero, istruisce: «L’Eucaristia è vera comunione perché noi per essa siamo uniti a Cristo e partecipiamo alla sua carne e divinità. Ancora è comunione perché noi per essa siamo uniti tra noi… membra gli uni degli altri, concorporei di Cristo» (De fide orthodoxa, IV,14).

Dall’unione con Cristo e mediante il medesimo Spirito nasce l’appartenenza vicendevole gli uni con gli altri. Nutrendoci di Cristo, unico Pane, tutti formiamo il solo Corpo ecclesiale. La forza dell’unità mediante l’Eucaristia non è costituita dall’interesse, dall’appartenenza a certi gruppi, da affinità caratteriali, da simpatie varie, da qualità fisiche o psichiche, ma dal mistero radicato nella paternità divina e vissuto nella comunione mistica con Cristo. La comunione teandrica, infatti, è l’effetto dell’inabitazione dello Spirito Santo.

L’Eucaristia è anche segno e causa della risurrezione della carne e sacramento della gloria futura. Il termine della nostra vita terrena, immerso nella morte di Cristo, diverrà, infatti, la nostra grande Pasqua finale. L’esodo pasquale ci introdurrà nella grande sala del Banchetto eterno illuminata dallo splendore della luce dell’Agnello (cf Ap 21,23).

Quando Gesù comanda: Fate questo in memoria di me, si riferisce a tutta l’azione eucaristica: al gesto del prendere il pane, del rendere grazie, del pronunziare le parole dell’istituzione, dello spezzare il pane e distribuirlo in comunione. Lo stesso vale per il calice del vino. Il comando divino si riferisce anche alla comunione tra i credenti che celebrano l’Eucaristia. Oggi, purtroppo, i credenti in Cristo continuano a vivere nello scandalo delle divisioni, forse perché hanno ricercato l’unità con gli stessi strumenti, per le stesse ragioni e nelle medesime forme con cui si sforza di raggiungerla il mondo? La Chiesa è illuminata costantemente dalla conoscenza del “Nome” di Dio (cf Gv 17, 26) e il destino di questo Nome non è dato da una dotta teologia immersa in una disquisente antropologia.  Sì, anche quelle, ma nella misura in cui scaturiranno dal glorioso amore oblativo di Cristo Signore. La teologia della Gloria coincide con la stessa teologia della croce.

La celebrazione della Divina Eucaristia, ripetiamo, può essere usata per rivendicare differenze e attestare divisioni? Può esserci comunione eucaristica senza vera comunione ecclesiale? La frattura ecclesiale può essere l’alveo per la divina e divinizzante Fractio Panis ?

San Paolo continua sempre a ripetere drammaticamente alla Chiesa di Cristo:

Il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?

Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo:

tutti infatti partecipiamo all’unico pane

(1Cor 10,16-17).

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