Pietro Testa e il liceo dei pittori

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Martedì 13 maggio 2015, nella sede dell’Istituto Centrale per la Grafica in Palazzo Poli a Roma, è stato presentato lo splendido volume “Pietro Testa e la nemica fortuna. Un artista filosofo tra Lucca e Roma”, a cura di Giulia Fusconi con Angiola Canevari, promosso dall’Istituto e stampato da Palombi (2014). Saggi di: Stefan Albl, Angiola Canevari, Elizabeth Cropper, Maria Elena De Luca, Andrea G. De Marchi, Marzia Faietti, Giulia Fusconi, Patrizia Giusti Maccari, Giuseppe Trassari Filippetto. Ne hanno parlato: Simonetta Prosperi Valenti Rodinò, Sergio Guarino, Sebastian Schütze, con una testimonianza artistica di Gianni Dessì. Sono state esposte alcune opere di Pietro Testa conservate nelle collezioni dell’Istituto, tra cui la matrice del “Liceo della Pittura”, la stampa più nota dell’artista.

Dal 2013 Pietro Testa (Lucca 1612 – Roma 1650) è oggetto di una meritata rivalutazione storiografica in quanto artista importante, anche se inquieto e incompreso, del Seicento italiano. Il riconoscimento coevo di Filippo Baldinucci (1624-1697) e quindi la mostra curata da Marzia Faietti e Maria Elena De Luca – “Pietro Testa, artista filosofo del Seicento. L’omaggio di Filippo Baldinucci” al Gabinetto di Disegni e Stampe del Museo degli Uffizi – vi hanno inizialmente contribuito, insieme agli studi del fondo mediceo svolti da Giulia Fusconi per la monografia “Il Liceo di Pallade. Pietro Testa, artista filosofo tra Lucca e Roma” (Palombi 2013).

Pietro Testa – pittore, disegnatore e incisore – ebbe vita breve poiché morì suicida nelle acque del Tevere a soli trentotto anni nel 1650. Fu artista di forte spessore filosofico, ma di temperamento oscuro e di ardua lettura iconografica. Fu allievo di Domenichino e di Pietro da Cortona, trascorse buona parte della sua vita a Roma, con Nicolas Poussin r François Duquesnoy durante la stagione del Barocco trionfante. Testa incarna la figura dell’artista di forte riflessività intellettuale, che usa il linguaggio visivo per sviluppare contenuti di origine letteraria, filosofica e religiosa.

L’obiettivo di coniugare teoria e pratica nella creazione artistica, caratterizzò la personalità di Testa: da raffinato e ingegnoso artigiano divenne uomo di studio appassionato delle ‘arti della matematica’ e lettore della filosofia antica. Consultava gli scritti di Alberti, Armenini, Lomazzo, Kircher e Leonardo e i trattati di Platone, Aristotele, Euclide e Vitruvio, realizzava figurazioni sia profane che religiose dando corpo ad ardite allegorie intellettuali. Per questo lo si colloca nel novero degli “artisti maledetti” del Seicento – nel senso di artisti ribelli alla norma e al ruolo -: insieme a Salvator Rosa, Jacques Callot, Giovan Benedetto Castiglione, Pier Francesco Mola.

A Roma dal 1628 – tra il pontificato di Urbano VIII e quello di Innocenzo X – Testa si identificava con «l’artista virtuoso» che riconosceva il pensiero filosofico aristotelico come modello etico di vita e di arte, viatico verso la pittura ideale. Nel celebre “Liceo della Pittura” riprese e reinterpretò “La scuola di Atene” di Raffello Sanzio (1509-1511). Nell’acquaforte – che avrebbe dovuto far da frontespizio all’incompiuto trattato teorico “Della pittura ideale” – Testa intese di rappresentare il luogo destinato all’apprendimento dell’arte come un tempio filosofico e sapienziale in cui si radunavano personaggi tesi al sincretismo tra la filosofia platonica, quella aristotelica e il mondo delle arti. Anche altre tematiche – come il “Suicidio di Didone” o la “Morte di Catone” – rivelano il suo ansioso attraversare i temi della cultura classica e dell’estetica antica avendo come lume il dolore e l’inquietudine degli anni della sua vita.

Il volume in presentazione all’ICG – atteso ed elogiato dagli studiosi – comprende il catalogo di tutte le opere di Pietro Testa, con le incisioni e le matrici conservate dall’Istituto romano, con molti disegni e tutti i dipinti finora rintracciati. Se le incisioni di Testa erano già note agli storici dell’arte, adesso anche le matrici incise sono divenute oggetto di indagine sistematica ad opera di Giuseppe Trassari Filippetto con Lucia Ghedin e Luigi Zuccarello del Laboratorio Diagnostico per le matrici dell’ICG. Emerge così la rete di influssi e scambi che si stendeva intorno all’opera di Pietro Testa: da Pietro da Cortona a Giovanni Lanfranco, da Nicola Poussin ai suoi seguaci francesi e fiamminghi, da Pier Francesco Mola a Giovanni Benedetto Castiglione, da Andrea De Leone a Salvator Rosa e alla pittura lucchese di Paolo Guidotti e Pietro Paolini. Un volume, quindi, che fa luce sulla vita e sull’opera di un protagonista dell’arte barocca per alcuni aspetti ancora misterioso.

 

Nella foto: Pietro Testa, “Il Liceo della pittura”, 1642.

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