Mons. Michele Pennisi: “La lotta alla mafia passa attraverso un rinnovato impegno educativo e pastorale”

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Si è svolta in questi giorni, presso la sala Consiliare del Comune di Cinisi, provincia di Palermo, la presentazione del libro, edito dalle Paoline nel 2014, “L’altra resistenza. Storie di eroi antimafia e lotte sociali in Sicilia” del prof. Giuseppe Carlo Marino (Storico dell’antimafia in Sicilia) e del giornalista Pietro Scaglione. Alla tavola rotonda – moderata dalla giornalista Alessandra Turrisi – hanno preso parte l’arcivescovo di Monreale, mons. Michele Pennisi, il Prof. don Francesco Stabile, simbolo di una Chiesa impegnata contro la mafia e al fianco dei poveri, e il prof. Umberto Santino, presidente del Centro di Documentazione Peppino Impastato.
L’iniziativa coincide con il calendario delle celebrazioni (organizzate da “Casa Memoria, Felicia e Peppino Impastato”) del 37° anniversario dall’omicidio mafioso di Peppino Impastato ed è stata promossa dall’Ufficio Comunicazioni Sociali di Monreale con l’Azione Cattolica Diocesana e delle parrocchie Santa Fara ed Ecce Homo di Cinisi.

Nel corso del suo intervento, l’Arcivescovo di Monreale si è soffermato sul contributo del Movimento cattolico che si opponeva allo Stato liberal-massonico nel contrasto alla mafia e sulle fasi altalenanti dell’impegno contro la criminalità organizzata, fino all’impulso generato da Giovanni Paolo II ed ora da papa Francesco – sottolinea mons. Pennisi – che ha spinto l’episcopato siciliano ad un contrasto deciso contro la mafia, a partire da categorie evangeliche e attraverso il luminoso impegno di Piersanti Mattarella, Rosario Livatino e del beato don Pino Puglisi.

Pennisi ricorda anche l’impegno (amministrativo, politico, giornalistico ed educativo) di don Luigi Sturzo per contrastare il fenomeno mafioso. Sturzo – ricorda il Prelato – già nel gennaio del 1900 scriveva che la mafia «stringe nei suoi tentacoli giustizia, polizia, amministrazione, politica; di quella mafia che oggi serve per domani essere servita, protegge per essere protetta, ha i piedi in Sicilia ma afferra anche a Roma, penetra nei gabinetti ministeriali, nei corridoi di Montecitorio, viola segreti, sottrae documenti, costringe uomini, creduti fior d’onestà, ad atti disonoranti e violenti. […] Ora nessuna speranza brilla nel cuore degli italiani».
Da questo dramma – sottolinea mons. Pennisi – «si possono ricavare alcune manifestazioni del fenomeno mafioso il cui scopo è il lucro e il cui mezzo principale è il ricatto. In esso si inserisce il potere politico che chiedendo alla mafia dei servizi li ricompensa attraverso favori e atti illeciti. La regola indispensabile per questo complesso intreccio di interessi è l’omertà che lega inevitabilmente i vari livelli di potere istituzionale, politico, economico, tra cui la mafia finisce per assumere un ruolo di mediazione e di controllo complessivo della situazione. Tutto questo non lascia spazio di recupero morale e di ribellione alla logica mafiosa tranne in qualche eroe solitario».
Secondo Pennisi, uno degli insegnamenti di Sturzo, valido anche oggi, è che «la soluzione della questione meridionale, come questione nazionale, è innanzitutto una soluzione etica, che si serve dell’economia e della politica come importanti e necessari strumenti, ma che trova il suo fulcro in una collaborazione tra Stato ed energie umane, economiche e sociali dei meridionali, cementate da una comune tensione morale e religiosa basata su un’antropologia sociale ispirata ai valori cristiani e ai principi della sussidiarietà, della solidarietà e del bene comune propugnati dalla dottrina sociale della Chiesa».

L’Arcivescovo di Monreale afferma con chiarezza la radicale incompatibilità tra mafia e vita cristiana e il rifiuto di ogni compromissione della comunità ecclesiale col fenomeno mafioso. «La Chiesa non può tornare indietro su questa via. Tanto più che questo cammino storico è stato suggellato dalla splendida testimonianza del martirio del beato don Pino Puglisi, ucciso dalla mafia solo perché fedele al suo ministero». Il martirio di Puglisi, e di tanti altri sacerdoti uccisi dalla mafia, non va disgiunto e isolato – afferma Pennisi – «da quello di numerosi altri uomini rappresentanti delle istituzioni tra cui magistrati, appartenenti alle forze dell’ordine, giornalisti, persone comune che  sono state definiti “martiri della giustizia” da Pio la Torre a Rocco Chinnici, da Alberto della Chiesa a Boris Giuliano, da Piersanti Mattarella a Mario Francese, da Cesare Terranova a Pietro Scaglione, da Giovanni Falcone a Paolo Borsellino, da Placido Rizzotto a Peppino Impastato».

Con il silenzio e l’indifferenza la mafia cresce indisturbata, in questo – dichiara il Prelato – la Chiesa ha il compito di aiutare a prendere consapevolezza della responsabilità a cui è chiamato ogni cristiano. «La lotta alla mafia passa, anche se non si esaurisce, attraverso un rinnovato impegno educativo e pastorale che porti ad un cambiamento della mentalità e dei comportamenti concreti, ad una profonda “conversione” personale e comunitaria».

Alla comunità cristiana – conclude mons. Pennisi – «si richiedono dei gesti originali che interpellino cattolici e laici ad interrogarsi sulle modalità di una prevenzione dei  reati collegati col fenomeno mafioso impegnandosi per la diffusione di una cultura della legalità e all’educazione a concepire il potere come servizio al bene comune e ad un uso morigerato del denaro che non ne faccia l’idolo a cui sacrificare tutto».

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