Burundi: i vescovi chiedono il dialogo e non la guerra

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“Allo stato attuale delle cose, non vedo come possano svolgersi elezioni in queste condizioni”: con queste parole Nkosazana Dlamini-Zuma, presidente della commissione dell’Unione Africana (Ua), aveva invitato le autorità del Burundi a prendere in considerazione un rinvio delle prossime consultazioni, in programma in questo mese per le elezioni parlamentari e a giugno per le presidenziali.

Nonostante questo appello il Burundi è precipitato nella guerra civile con la destituzione dell’attuale presidente Pierre Nkurunziza, come ha commentato dai microfoni di Radio Isanganiro il responsabile Gvc Mattia Bellei: “Le parole del generale via radio sono state ‘tenuto conto del caos diffuso e della palese violazione sia della Costituzione che degli Accordi di Arusha le forze di sicurezza hanno deciso di prendere in mano il destino del Paese”.

Le violenze avevano causato la fuga di 40.000 persone dal paese, verso i vicini Rwanda, Tanzania e Congo. E per scongiurare una guerra civile i vescovi avevano invitato a percorrere le vie democratiche: “Raccomandiamo vivamente la via delle elezioni perché il Paese non manchi di istituzioni elette dal popolo e che godano della sua fiducia” .

Nel messaggio si chiede che quanti hanno la responsabilità “facciano di tutto per garantire la sicurezza delle elezioni, la libertà di movimento dei candidati e degli elettori, in una competizione che dia ad ogni candidato le stesse possibilità di presentare i propri progetti di società e di fare la propria propaganda nella tranquillità”.

Inoltre chiedono che “sia garantita la sicurezza ovunque, in modo che i rifugiati, rassicurati, tornino nelle loro case; che siano verificate le voci su armi distribuite ai giovani affiliati ai partiti e, nel caso fossero vere, che si proceda al disarmo sistematico e non selettivo…Governare è la grande missione di mettersi al servizio di tutti. I dirigenti del Paese non devono cercare solo i loro interessi personali o settari. Colui che vuole governare deve accettare di essere il padre di tutta la nazione. Un buon padre è colui che può anche rinunciare al suo diritto quando vede che questo serve alla salvezza della sua famiglia”.

Preoccupazioni sono state espresse anche da molte ONG italiane presenti nel Paese, insieme ad AOI (Associazione Ong Italiane), COP – Consorzio delle Ong Piemontesi, Focsiv, Avsi, Vis e LINK2007: “L’opposizione e gruppi della società civile contestano questo terzo mandato perché contrario alla Costituzione e agli accordi di pace di Arusha (2000) che hanno aperto la strada alla fine della guerra civile burundese, durata oltre dieci anni (1993-2006)…

A livello politico, la situazione del Burundi potrà avere un ‘effetto domino’ su altri paesi africani vicini: in Repubblica Democratica del Congo (RDC) si discute del terzo mandato di Joseph Kabila, alla guida del paese dal 2001, mentre in Ruanda Paul Kagame, al potere dalla fine del genocidio del 1994, eletto nel 2003 e riconfermato nel 2010, vorrebbe modificare la costituzione per prepararsi a un ulteriore mandato.

A livello umanitario, dall’inizio di aprile l’ipotesi di una terza candidatura Nkurunziza ha provocato la fuga di oltre 30.000 burundesi che si sono rifugiati nei paesi confinanti. Secondo i più recenti dati dell’UNHCR, oltre 2.000 persone hanno chiesto asilo in Tanzania, circa 25.000 in Ruanda e 4.000 nella Repubblica Democratica del Congo”.

Avsi ha chiuso anche un centro di assistenza per sicurezza: “I quartieri Nord di Bujumbura, dove si trova la struttura del Centro che gestiamo, sono caratterizzati da un forte degrado e dalla mancanza di igiene già in situazioni di vita normali… Al Centro MEO accogliamo bambini e ragazzi che vivono in condizioni difficili e cerchiamo di migliorare la qualità della loro vita attraverso interventi in ambito psico-sociale, educativo–ricreativo e medico–sanitario”.

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