Per conoscere Dio bisogna conoscere l’uomo

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L’evento dell’incarnazione, cuore del cristianesimo, diventa il criterio di discernimento per ogni cammino spirituale e modello di un’etica veramente cristiana capace di ascoltare e incontrare i battiti dell’uomo del nostro tempo.

Un Dio che sceglie di camminare attraverso le strade con i nostri stessi piedi, sopportare il sudore del caldo e la rigidità del freddo, provare i nostri stessi sentimenti con i quali a volte lottiamo, fino a soffrire come gli immigrati che stanno arrivando sulle nostre coste e morire come un povero condannato. L’unico precetto che ci ha lasciato prima di morire è stato quello dell’amore, scriveva san Giovanni della Croce: “alla sera della vita saremo giudicati sull’amore”.

Ne deriva dunque che un uomo vive da cristiano nella misura in cui trasfigura relazioni e realtà con la logica assurda dell’amore nella dimensione della croce: amore gratuito, amore sprecato, amore che supera i limiti dell’altro. “Se servo il ricco, il ricco mi può ripagare e il mio amore per lui può essere interessato. Ma se servo il povero che non mi può ripagare allora veramente è entrato nel mondo l’amore; allora veramente la redenzione è opera gratuita di amore”. (Bartolomeo Sorge)

Un cristianesimo autentico è allora un cristianesimo che rende più umani.         Il luogo dove Dio si manifesta è dunque l’uomo stesso: in particolare l’uomo ferito e impoverito che vive, a volte forzatamente, particolari situazione di sofferenza e marginalità. Dunque la via della Chiesa è la stessa di Gesù Cristo: “Come Cristo è stato inviato dal Padre «ad annunciare la buona notizia ai poveri», così pure la Chiesa circonda d’affettuosa cura quanti sono afflitti da umana debolezza, anzi riconosce nei poveri e nei sofferenti l’immagine del suo fondatore, povero e sofferente, si fa premura di sollevarne l’indigenza e in loro cerca di servire il Cristo”. ( LG 8)

La Chiesa sarà fedele al Maestro nel momento in cui lo cerca e lo trova nelle pieghe e nelle piaghe della storia di ogni giorno. Quando si immerge completamente nel contento storico nel quale vive e lì vi trova i segni della presenza di Dio. È allarmante lo stato di colui il quale sorvola dall’alto le vicende umane ( dei suoi simili) accomodandosi su strutture e ideologie che di cristiano ormai hanno soltanto il nome o la storia passata. Una Chiesa fedele dunque si incarna come ha fatto Dio.

Si incarna lì dove vive, per riscattare dall’interno le varie realtà irregolari o corrotte, le quali conservano comunque l’impronta originaria del Dio-Amore. La Chiesa non butta, né conserva ma trasfigura l’umano che c’è in ogni persona, anche la più abietta e corrotta. L’umano che si manifesta, seppur velatamente, nel desiderio di amare ed essere amati.

A tal proposito risultano illuminanti le brevi parole rivolte da papa Francesco ad un formatore di futuri presbiteri: “se tu vedi un ragazzo intelligente, bravo, ma che non ha questa esperienza di toccare il Signore, di abbracciare il Signore, di amare il Signore ferito, consigliagli di andarsene a prendere una bella vacanza di uno o due anni… e gli farai del bene. “Ma, Padre, noi siamo pochi sacerdoti: ne abbiamo bisogno…”. Per favore, che l’illusione della quantità non ci inganni e ci faccia perdere di vista la qualità!” ( Incontro con le Comunità di vita cristiana e la Lega missionaria studenti, 30.04.15).

Nell’ultima sessione del concilio ecumenico Vaticano II, il beato papa Paolo VI proclamava: “ricordiamo come nel volto d’ogni uomo, specialmente se reso trasparente dalle sue lacrime e dai suoi dolori, possiamo e dobbiamo ravvisare il volto di Cristo (cfr. Mt. 25, 40), il Figlio dell’uomo e se nel volto di Cristo possiamo e dobbiamo poi ravvisare il volto del Padre celeste: «chi vede me, disse Gesù, vede anche il Padre» (Gv. 14, 9), il nostro umanesimo si fa cristianesimo, e il nostro cristianesimo si fa teocentrico; tanto che possiamo altresì enunciare: per conoscere Dio bisogna conoscere l’uomo”.

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