A 100 anni dal genocidio armeno: le fonti raccontano

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“Fare memoria di quanto accaduto è doveroso non solo per il popolo armeno e per la Chiesa universale, ma per l’intera famiglia umana, perché il monito che viene da questa tragedia ci liberi dal ricadere in simili orrori, che offendono Dio e la dignità umana. Anche oggi, infatti, questi conflitti talvolta degenerano in violenze ingiustificabili, fomentate strumentalizzando le diversità etniche e religiose. Tutti coloro che sono posti a capo delle Nazioni e delle Organizzazioni internazionali sono chiamati ad opporsi a tali crimini con ferma responsabilità, senza cedere ad ambiguità e compromessi”: con tali parole papa Francesco ha invitato a fare memoria di quella strage avvenuta esattamente 100 anni fa.

Su questa sollecitazione negli scorsi giorni il Parlamento europeo ha approvato a larga maggioranza una risoluzione che riconosce il genocidio degli armeni, chiedendo alla Turchia di ‘approfittare della commemorazione del centenario del genocidio armeno come importante opportunità’ per riconoscere il genocidio stesso. Il testo usa esplicitamente il termine ‘genocidio’ e chiede l’istituzione di una giornata mondiale per il ricordo dei genocidi.

E nel mondo intellettuale e religioso è stato scritto un manifesto per non dimenticare: “vien da porre una domanda ai governi occidentali e agli esponenti della cultura occidentale: se non riuscite a indignarvi e a impegnarvi per il tentativo in atto di cancellazione del ricordo di centinaia di migliaia di uccisi di ieri, e voltate silenti e imbarazzati le spalle, cosa dobbiamo aspettarci, Dio non voglia, per le minoranze cristiane, ed ebraica, nel Vicino Oriente? E ancora, che futuro per l’Occidente e per il mondo libero?

E se si inizia ‘per opportunità’ a negare un Genocidio, per motivi di diversa ‘opportunità se ne potrà domani negare un altro, chiudere gli occhi su quello dei cristiani di Oriente (e di zoroastriani e yazidi) in corso e magari, perché no, commetterne poi uno”. Intanto una delegazione della Conferenza delle Chiese europee (Kek) si è recata in Armenia, per le commemorazioni in programma per il centenario del genocidio armeno.

Nel frattempo i membri della comunità siriaca della città di Midyat dal 20 aprile stanno attuando uno sciopero della fame collettivo per richiamare l’opinione pubblica turca a internazionale sugli stermini che nel 1915 colpirono in Anatolia non solo gli armeni, ma anche i cristiani assiri, caldei e siri: “La Turchia deve fare i conti con il suo passato e riconoscere il Genocidio armeno”.

Però un avvenimento storico ha bisogno anche di testimoni e dopo 100 anni non è facile averne; quindi il compito più importante per raccogliere le testimonianze è affidato agli storici, che studiano i fatti ed ai letterati, che li raccontano, come è successo ad Antonia Arslan, autrice dei libri ‘La masseria delle allodole’, da cui i fratelli Taviani hanno tratto un bellissimo film, ‘La strada di Smirne’ e ‘Il Libro di Mush’:

“Il ricordo di tutte queste storie passa attraverso questa bambina che ero io a cinque anni, a otto anni e a nove anni, e ho avuto la fortuna e il privilegio di avere questo rapporto speciale con questo mio nonno austero, autorevole di cui tutti avevano soggezione e che non parlava con nessuno della tragedia in cui fu travolta tutta la sua famiglia nella terribile estate del 1915 in Anatolia. E il fatto che lui abbia parlato con me è stato un segno, un miracolo, una cosa di cui ad un certo punto della mia vita ho dovuto render conto”.

Ma l’altra gamba necessaria per confermare un episodio è compito degli storici: in questo caso un lavoro fondamentale è stato compiuto dal gesuita padre Georges Ruyssen, docente presso il Pontificio Istituto Orientale ed autore di molti volumi sul Genocidio armeno, che consultando gli archivi della Congregazione delle Chiese Orientali ha pubblicato una raccolta di documenti storici ‘La Santa Sede e i massacri degli armeni’: una strage di cui in un primo momento, ovunque nel mondo, non si percepiva ancora l’imminenza.

Il rumore provocato in Europa dall’arresto dei 400 armeni fu vagamente attutito dalle autorità ottomane con la seguente accusa ufficiale verso le persone incarcerate: ‘cospirazione nei confronti del governo’. Una voce ad elevarsi per denunciare la gravità dell’episodio, fu quella della Santa Sede. mons. Angelo Maria Dolci, delegato apostolico a Costantinopoli, inviò a seguito di quell’evento un telegramma in Vaticano per denunciare il ‘quasi colpo di Stato’ operato dal governo ottomano: “Benedetto XV fu l’unico sovrano o capo religioso ad alzare la voce contro i massacri”.

I volumi, corredati da fonti inedite provenienti dall’Archivio Storico Vaticano, vanno dall’epoca dei massacri hamidiani (1894-1896), così chiamati dal sultano Abdul Hamid, alla ribellione e ai massacri di Van (1908), ai massacri di Adana (1909), e al genocidio armeno (1915); proseguono poi con la rioccupazione del Caucaso dai turchi dopo il ritiro delle truppe russe (1918), l’evacuazione della Cilicia dalla Francia (febbraio, marzo 1922) e la politica kemalista del panturchismo che ha portato all’esodo massivo dei cristiani della Turchia (anni 1920 in poi), per giungere agli eventi luttuosi di Smirne, con il massacro dei greci (settembre 1922). Infine si dà conto dei tentativi per risolvere la questione armena nel seno della Società delle Nazioni (1923-1925).

Ecco cosa scriveva mons. Scapinelli, nunzio apostolico a Vienna, al segretario di Stato, card. Gasparri: “La parola ‘deportazione’ significa: la separazione assoluta dei mariti dalle loro mogli, e delle madri dai loro fanciulli; minacce e lusinghe di emissari turchi, affine di costringere gli uni e gli altri ad apostatare. Gli apostati poi, e ve ne sono molti, sono immediatamente spediti in località esclusivamente musulmane, da dove non si dà più ritorno.

Ratto di donne, secondo che per le loro qualità fisiche convengono alla vendita nei harem, o a contentare le basse passioni dei notabili o dei custodi; le piccole fanciulle di diverse località si destinano in qualità di piccole serve di case turche che hanno poi l’obbligo di dar loro la rispettiva educazione musulmana. Ve ne sono giunte perfino a Costantinopoli.

Altrove si circondino tutti i fanciulli cristiani, per internarli poi in case turche… i superstiti sono costretti ad abbandonare tutto il loro avere, case, possessioni, denaro, e forzati a partire per l’interno, accompagnati per lo più da gendarmi brutali, migrano di villaggio in villaggio, di pianura in pianura, senza tregua, sempre verso destinazione ignota”.

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