Emmaus

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La risurrezione di Gesù non è un semplice ritorno alla vita ma è «Vita nella Gloria» presso il Padre. Il Risorto sottrae la sua presenza visibile rimanendo nel tempo della Chiesa che attende l’ultima sua venuta nella gloria. Il tempo della Chiesa non è nostalgia di un passato che aspetta l’assente ma percezione di fede e itinerario di una presenza d’amore che è certezza del suo ritorno glorioso alla fine dei tempi.

San Luca nel suo Vangelo ci racconta l’incontro pasquale di Gesù con i discepoli di Emmaus. Essi non riconoscono il Signore a prima vista, ma solo attraverso il segno dello spezzare il pane.  Il Signore risorto è lo stesso Gesù di Nazareth che compie i gesti di prima, i gesti della Chiesa e i gesti dell’uomo. La risurrezione è la rivelazione del senso vero, profondo e misterioso della vita terrena del Salvatore che nelle sue piaghe nascondeva la salvezza. Ora, da Risorto, la sua presenza è diversa da come era prima e per scoprirla ci vuole un gesto del Signore e gli occhi della fede. Il Risorto si svela e si rivela soltanto al cuore del credente (cf Lc 24,13-35).

Nella mia cattedrale di Monreale, nell’ala sinistra del presbiterio, l’incontro con i discepoli di Emmaus è mirabilmente narrato all’interno del Mistero pasquale. I momenti essenziali sono mosaicati in quattro icone: il discutere camminando, il sedersi a mensa con lo spezzare del pane, il rivelarsi e lo sparire, il ritorno a Gerusalemme, dove i due discepoli trovano gli undici e gli altri che erano con loro.

Nella prima icona è visibile l’amara atmosfera piena di tensione e delusione. La crisi di fede porta i due discepoli a quel vano discutere su fatti e parole umanamente incomprensibili. “Speravamo!” è il verbo della speranza perduta e il motivo è proprio quel Gesù di Nazareth. La sfiducia del cuore traspare nella tristezza dei volti. Mentre camminano, Gesù si fa compagno di viaggio e, come i grandi maestri, ascolta e insegna interrogando in un conversare colmo di fiducia, di rispetto, di confidenza, senza illudere, senza manipolare, senza violentare l’interlocutore. Nell’atmosfera in cui la Verità divina illumina la tenebra umana, il Verbo Luce, spalanca, dinanzi agli occhi accecati dei due discepoli, il Libro delle sante Scritture e le spiega, mentre apre la loro mente alla loro comprensione. In questo modo, Gesù compie due illuminazioni: una sul Libro della parola di Dio e l’altra sulla mente dei discepoli per l’intelligenza di quella Parola che parla di Lui e che è Lui stesso.

La seconda icona dipinge il primo momento dell’intimità d’amore in cui si realizza l’evento del riconoscimento e della rivelazione: quando furono vicini al villaggio, Gesù, con delicata furbizia, fece come se dovesse andare più lontano (v. 28). Egli non impone mai la sua presenza, ma la propone per fare accogliere l’invito. Gesù, infatti, vuole la nostra libera decisione d’amore. Essi insistettero: Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto (v. 29). In questa struggente preghiera d’invocazione esaudita, c’è tutta l’apertura del cuore che vuole accogliere il Verbo della Vita: Egli entrò per rimanere con loro. L’ardere del cuore per la liturgia della Parola che parla di Lui, prepara alla rivelazione dell’incontro con Lui nel gesto dello spezzare il pane per offrirlo ai commensali. È il momento in cui avviene il passaggio dall’incapacità di riconoscerlo al si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero (v. 31), ma Gesù sparì dalla loro vista.

La terza icona ci fa contemplare come Gesù sparì per rimanere con i suoi discepoli nel mistero dalla sua Chiesa sacramentale. Nello stesso tempo scompare anche l’abbattimento dello sconforto, la disperanza fondata sulla falsa idea di Messia, la sfiducia sulla testimonianza delle donne, e appare, sfolgorante, la fede viva che “Egli è vivente” ed è presente nei simboli sacramentali della liturgia della Parola e del Pane spezzato all’interno della Chiesa apostolica, suo Corpo, sua Sposa: Ecco, io sono con voi tutti i giorni sino alla fine dei tempi (Mt 28,20).

La quarta icona descrive il ritorno «senza indugio» dei due discepoli a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: “Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone” (v. 33-34). Gerusalemme è il luogo teologico dove ha compimento l’opera della salvezza; è il punto d’arrivo della missione terrena di Gesù: lì Gesù muore e si manifesta come Risorto, lì avviene l’Ascensione e l’effusione dello Spirito Santo. Gerusalemme è il luogo della prima comunità pasquale e il punto di partenza della missione universale di quella stessa Chiesa di Cristo uscita dal cuore della Pentecoste. Poi, Cleofa e il suo compagno narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane (v. 35). Il loro riferire è in rapporto al mistero pasquale non più inficiato da dubbi, tristezze e delusione ma illuminato dalla certezza di fede e dalla gioia ricolma di speranza.

In questo racconto straordinario, reale ma anche simbolico, Luca narra la storia dell’itinerario spirituale di ogni discepolo e traccia le tappe del cammino di fede sulla strada del pellegrinaggio terreno. Cammino che inizia dalla crisi di fede per le false speranze e si chiude con l’annunzio gioioso che Cristo è risorto. La situazione negativa della non-fede è legata al desiderio di voler trovare, toccare, vedere il corpo fisico di Gesù. Il passaggio alla fede richiede sempre di abbandonare questo desiderio che rinvia alla ricerca di un corpo morto, mentre si deve accettare d’incontrarlo nell’ascolto della Parola viva e nei segni sacramentali della sua Presenza mistica e reale: nella Chiesa, ascolto della Parola e frazione del Pane, mettono in comunione col Risorto. Tra ascendit in coelum e iterum venturus est, c’è la sua misteriosa presenza reale nelle due Mense della Fractio Verbi e della Fractio Panis che danno vita alla Ecclesia, suo Corpo mistico, sacramento della Presenza reale di Risorto.

Ogni preghiera di fede, nutrita dalla speranza, diventa invocazione d’amore: Mane nobisum Domine, quoniam advesperascit! Nel sacramento dell’Eucaristia, il Signore entra per rimanere, in dolcissima intimità d’amore, con i suoi che lo accolgono nel Verbo che si fa Carne e nella Carne che si fa Cibo di Vita all’interno della sua Chiesa che lo attende quando Egli verrà nella gloria.

Il pittore Holman Hunt dipinse un quadro, Il buon Pastore, che presenta Gesù con una lanterna in mano, mentre con l’altra bussa a una porta chiusa. Un critico d’arte gli fece questa domanda:

– Ma, signor Hunt, l’opera non è compiuta.

– E perché? – rispose il pittore.

– La porta. Manca la serratura della porta.

– Questa porta è proprio così, mio caro, non ha serratura perché è la porta del cuore umano. Si apre solo dal di dentro.

I due discepoli di Emmaus spalancano la porta, non solo della loro casa, ma soprattutto la porta del cuore che ardeva dentro il loro petto quando il Viandante misterioso spiegava le Sante Scritture. Dopo l’Ascensione, mentre continua a rimanere con noi nella Presenza reale sacramentale, lo attendiamo quando, alla Parusia, verrà di nuovo nello splendore della sua gloria. Sarà Lui, Luce, Buon Pastore e Porta a spalancarci l’ingresso della Vita eterna e consegnerà al Padre quelli che hanno creduto in Lui e da Lui hanno ricevuto la Vita. San Paolo lo descrive con una splendida immagine: Come, infatti, in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita. Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo. Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza (1Cor 15,22-24).

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