Expò: l’agricoltura italiana tra chiaro e scuro

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Il maggior numero di certificazioni alimentari a livello comunitario e la leadership nel numero di imprese che coltivano biologico, ma anche il primato nella creazione di valore aggiunto per ettaro e quello nella sicurezza alimentare mondiale con il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici fuori norma, senza dimenticare il fatto che l’agricoltura italiana è tra le più sostenibili dal punto di vista ambientale per la ridotta emissione di gas ad effetto serra: questo è il bilancio agroalimentare che si presenterà all’Expò di Milano, tracciato dalla Coldiretti.

Il modello produttivo dell’agricoltura italiana è campione nella produzione di valore aggiunto per ettaro che è più del doppio della media europea dei 27 Paesi, il triplo del Regno Unito, il doppio di Spagna e Germania, e il 70% in più dei cugini francesi: “Non solo siamo i primi anche in termini di occupazione, con 7,3 addetti ogni cento ettari a fronte di una media Ue di 6,6.

L’Italia è al vertice della sicurezza alimentare mondiale con il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici (0,2%), quota inferiore di quasi 10 volte rispetto alla media europea (1,9%) e non è quindi un caso il fatto che con 43.852 imprese biologiche (il 17% di quelle europee) siamo i campioni europei del settore. L’agricoltura italiana è peraltro tra le più sostenibili con 814 tonnellate per ogni milione di euro prodotto dal settore, non solo l’agricoltura italiana emette il 35% di gas serra in meno della media Ue, ma fa decisamente meglio di Spagna (il 12% in meno), Francia (35%), Germania (39%) e Regno Unito (il 58% di gas serra in meno).

L’Italia è infine il Paese più forte al mondo per prodotti ‘distintivi’, con 268 prodotti Dop e Igp e 4.813 specialità tradizionali regionali, seguita a distanza da Francia, 207, e Spagna, 162. Nel settore vino inoltre l’Italia conta su ben 332 Doc, 73 Docg e 118 Igt”.

Però a questi primati si contrappone l’altra faccia della medaglia, secondo Coldiretti: il business dell’agromafia, che con un aumento del 10% in un anno ha raggiunto i 15,4 miliardi di euro nel 2014. Dal rapporto emerge che non vi sono zone ‘franche’ e le mafie continuano ad agire sui territori d’origine, perché è attraverso il controllo del territorio che si producono ricchezza, alleanze, consenso: specialmente nel Mezzogiorno, costretto ad aggiungere alla tradizionale povertà gli effetti di una crisi economica pesante e profonda, aggravata dalla ‘vampirizzazione’ delle risorse sistematicamente operata dai poteri illegali.

I capitali accumulati sul territorio dagli agromafiosi attraverso le mille forme di sfruttamento e di illegalità hanno bisogno di sbocchi, devono essere messi a frutto e perciò raggiungono le città dove è più facile renderne anonima la presenza e dove possono confondersi infettando pezzi interi di buona economia.

Il fenomeno delle ‘agromafie’ investe ambiti complessi e articolati, dove il sistema mafioso originato nelle radici antiche delle mafie del latifondo, dei gabellieri e dell’abigeato si è da tempo rigenerato in forme di vera e propria criminalità economica, ad opera di ben strutturati ed invasivi gruppi di interesse con ramificazioni diffuse anche sul piano transnazionale.

Attraverso queste forme di imprenditorialità criminale è assicurato innanzitutto il riciclaggio degli illeciti patrimoni che provengono dal traffico di stupefacenti, dal racket e dall’usura, ma vengono anche consolidate le nuove forme di controllo del territorio in cui i soggetti criminali sono veri e propri soggetti economici che operano con i metodi del condizionamento dei mercati e degli appalti, della corruzione dei pubblici funzionari, dello sfruttamento della manodopera clandestina e dell’accesso illecito ai finanziamenti europei e alle altre pubbliche sovvenzioni.

Sempre secondo Coldiretti, si assiste anche ad una più pericolosa evoluzione del fenomeno criminale con il ‘money dirtying’, che significa indirizzare i capitali puliti verso l’economia sporca: si stima che almeno un miliardo e mezzo di euro transitano sotto forma di investimento dall’economia sana a quella illegale ovvero circa € 120.000.000 al mese, € 4.000.000 al giorno.

Però la ‘truffa’ non è solo italiana, come ha sostenuto un’altra indagine sempre della Coldiretti presentata a Vinitaly: si va dal Chianti californiano al Marsala wine prodotto negli Usa, ma ci sono anche il Barbera bianco prodotto in Romania, il Kressecco e il Meer-Secco realizzati in Germania, sino ad arrivare Bordolino bianco e tinto prodotti in Argentina in confezioni con tanto di tricolore.

Il vino in polvere puo’ essere facilmente acquistato anche direttamente nei negozi di alcuni Paesi dell’Unione Europea, dalla Gran Bretagna alla Svezia dove è stato addirittura scoperto uno stabilimento di produzione. Fuori dall’Unione Europea dove uno dei più grandi produttori di wine kit si trova in Canada http://www.vinecowine.com/ e, con i marchi California Connoisseur, KenRidge, Cellar Craft, European Select, vende kit di Verdicchio, Chianti, Barolo, Amarone.

Infine, un problema altrettanto grave è la progressiva diffusione di bottiglie cosiddette ‘Mafia sounding’ che si fondano su scandalose operazioni di business che fanno leva sugli episodi, i personaggi e le forme di criminalità organizzata più dolorose ed odiose che danneggiano l’immagine dell’Italia nel mondo come il ‘Fernet Mafiosi’, con tanto di gangster e pistola disegnati, che è venduto in Germania.

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