Il Kenya dei cristiani crocifissi

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Nella benedizione pasquale ‘Urbi et Orbi’ e nel ‘Regina Coeli’ del Lunedì dell’Angelo papa Francesco ha ricordato la strage dei cristiani avvenuta nel giovedì santo in Kenya, invitando la comunità internazionale a non tacere:

“Una preghiera incessante salga da tutti gli uomini di buona volontà per coloro che hanno perso la vita, uccisi giovedì scorso nell’Università di Garissa, in Kenya, per quanti sono stati rapiti, per chi ha dovuto abbandonare la propria casa ed i propri affetti”.

Infatti subito dopo la strage di cristiani innocenti il papa, attraverso il segretario di Stato vaticano, card. Pietro Parolin, aveva espresso la sua vicinanza ai familiari delle vittime con un messaggio consegnato all’arcivescovo di Nairobi, monsignor John Njue: “Egli elogia le anime dei defunti alla misericordia infinita di Dio Onnipotente, e prega che tutti coloro che li piangono possano essere consolati nella loro perdita.

Unendosi a tutti gli uomini di buona volontà di tutto il mondo, Sua Santità condanna questo atto di brutalità insensata e prega per una conversione del cuore di coloro che hanno commesso questo orribile massacro. Egli invita coloro che hanno autorità di raddoppiare gli sforzi per collaborare con tutti gli uomini e le donne in Kenya affinché si ponga fine a questa violenza e si acceleri così l’alba di una nuova era di fratellanza, giustizia e pace”.

Intanto l’ultimo bilancio dell’attacco conta 148 morti, una settantina di feriti e circa 300 studenti dispersi. Sulla situazione il quotidiano Daily Nation ha scritto che la polizia ‘attese sette ore prima di inviare un’unità delle forze speciali’ ed una volta giunte sul posto, impiegarono solo trenta minuti per uccidere i fondamentalisti e porre fine all’assalto.

Le organizzazioni di riferimento della comunità musulmana del Kenya hanno condannato con forza la strage di studenti nel campus dell’università di Garissa da parte del gruppo islamista Al Shabaab, proveniente dalla vicina Somalia. Anche il Consiglio supremo dei musulmani del Kenya ha condannato il barbaro attacco: “La comunità islamica di Garissa condanna con forza gli atti barbari commessi contro studenti universitari innocenti”.

Il gruppo terroristico ha ‘selezionato’ gli studenti cristiani da quelli mussulmani, dovuta anche alla mancanza di sicurezze, come ha sottolineato Amnesty International, chiedendo alle autorità un’indagine immediata ed efficace per consegnare i responsabili alla giustizia (già cinque sono stati arrestati):

“Il Garissa University College, parte dell’Università Moi, si trova nel nord del Kenya, un’area del paese nota per essere vulnerabile agli attacchi di al-Shabab. Chiediamo al governo del Kenya di agire con decisione, secondo la Costituzione e a norma di legge, per garantire la tutela di coloro che sono sotto attacco o a rischio di attacchi a Garissa e in altre aree del nord…

I cittadini e i dipendenti pubblici del nord hanno ripetutamente espresso timori circa la loro vulnerabilità agli attacchi di al-Shabab che il governo del Kenya non è riuscita ad affrontare adeguatamente. Le istituzioni educative sono pensate per essere luoghi sicuri per gli studenti e i loro insegnanti. La loro tutela deve essere pienamente garantita”.

Mentre l’ong Save the Children ha sottolineato che dal 2009 in Africa si sono 9.500 attacchi alle scuole in 70 paesi: “L’orribile attacco di oggi all’ostello dell’Università di Garissa, è spaventoso e ci lascia sgomenti. Il semplice atto di andare a scuola o all’università sta diventando sempre più pericoloso per centinaia di migliaia di bambini e giovani in molti paesi del mondo, con un crescendo di attacchi diretti contro le scuole…

Quando si attaccano le scuole, si nega ai bambini il diritto di essere protetti e poter studiare in un luogo sicuro. Il diritto all’educazione è tanto più fondamentale se vogliamo salvare intere generazioni di bambini colpiti dai conflitti o dalle violenze. Dobbiamo evitare con tutte le nostre forze che si ripeta quanto accaduto in Kenya”.

L’ong ‘Porte Aperte’ ha sottolineato che il Paese africano con 63 punti si colloca alla diciannovesima posizione nella WWL 2015: si tratta della maggiore ascesa con uno stacco di 15 punti dall’anno precedente; nel 2014 il Kenya si trovava alla quarantatreesima posizione con 48 punti.

Il livello di violenza per motivi legati alla fede è aumentato nelle zone di Nairobi, nel Nordest del paese e nelle regioni costiere, e la morsa della persecuzione in differenti aspetti della vita dei cristiani si è intensificata nella maggior parte del paese. Però fino a pochi anni fa il Kenya non aveva alle proprie spalle una storia di conflitti interreligiosi e inoltre, cristiani e musulmani sembravano convivere in un clima di relativa pace.

L’anno scorso, secondo questa ong, c’è stato un drammatico cambiamento, che ha visto in particolare le aree nordorientali e quelle costiere divenire punti caldi dell’estremismo islamico, a seguito di numerosi episodi di violenza legata a motivi religiosi. Condividendo un lungo confine con la Somalia, il Kenya risente della mancanza di una pace sostenibile nel paese limitrofo e della sua instabilità che si trascina dal movimento di indipendenza.

Inoltre, il Kenya è militarmente coinvolto in Somalia e ospita un alto numero di rifugiati provenienti da diversi paesi vicini, inclusi quelli somali, che vengono usati dagli estremisti per radicalizzare l’islam all’interno della popolazione keniota. Sul fronte politico, c’è stato un referendum nel 2010 con il quale è stata approvata la nuova costituzione con una nuova struttura del governo. Negli anni passati, il governo ha portato avanti il suo aggressivo programma secolarista, e le elezioni del 2013 si sono svolte in un clima di forte sfiducia, mentre il paese continuava a essere profondamente diviso e polarizzato.

La ricerca di Porte Aperte ha mostrato un paradosso nel cambiamento che la chiesa subisce di fronte alla persecuzione. Da un lato, la maggior parte della chiesa keniota sembra non accorgersi della crescita del potere economico dei musulmani all’interno delle comunità del paese, della radicalizzazione politica che avanza (che riguarda almeno alcune delle comunità islamiche in Kenya) e dell’intento sotterraneo di marginalizzare sempre più il cristianesimo, e possibilmente eliminarlo dalla società del Kenya. Dall’altro lato, ci sono leaders della Chiesa fidati che cercano di impegnarsi costruttivamente affinché il governo si occupi della questione della persecuzione.

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