Libia verso la transizione?

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La notizia è ormai certa, dopo  la conferma del Ministero degli Esteri dell’Algeria: la famiglia quasi al completo del rais ha lasciato la Libia; mentre, secondo autorevoli fonti diplomatiche libiche, Gheddafi si troverebbe a Bani Walid, a un centinaio di chilometri a sud-est di Tripoli. L’Algeria ha concesso l’accoglienza ‘per motivi umanitari’, dal momento che una figlia del Colonello Aisha starebbe per partorire o avrebbe già partorito: “Questa notizia è stata portata a conoscenza del segretario generale delle Nazioni unite, del presidente del Consiglio di sicurezza e del presidente del Consiglio nazionale di transizione libico”.

 

 

Però i bombardamenti ancora si susseguono, in quanto la missione militare della Nato in Libia ‘è ancora necessaria’ e le operazioni a protezione della popolazione civile continueranno “finché necessario, ma non un giorno di più”, come ha precisato nei giorni scorsi la portavoce della Nato Oana Lungescu a Bruxelles. Intanto, mentre sul piano militare gli insorti continuano le operazioni sul campo e preparano l’attacco finale a Sirte, che avverrà entro questo fine settimana secondo le parole del presidente del Consiglio Nazionale Transitorio, Mustafa Abdel Jalil, in una conferenza stampa a Bengasi, trasmessa in diretta da Al Jazira, molti Stati africani riconoscono il nuovo ‘Stato’ libico sotto il governo di transizione CNT: sono 12 i Paesi che hanno espresso il loro consenso (si tratta di Botswana, Nigeria, Etiopia, Rwanda, Tunisia, Senegal, Gabon, Burkina Faso, Benin, Kenya, Tanzania e Djibouti), mentre 41 governi del continente si sono per ora rifiutati di riconoscere il Consiglio nazionale di transizione libico, in quanto nei suoi 40 anni al potere Gheddafi ha intessuto relazioni, anche economiche, con molti Paesi africani.

Comunque l’Unione Africana si è ‘schierata dalla parte della popolazione libica’, incoraggiando ‘tutti i partiti libici a incontrarsi e negoziare un processo di pace che possa portare alla democrazia’. Ed il Sudafrica, dopo un’opposizione iniziale, ha raggiunto un accordo con gli Stati Uniti per autorizzare l’utilizzo per scopi umanitari dei fondi libici congelati dalle Nazioni Unite. Una decisione che potrebbe permettere al Cnt di attingere a circa 1,5 miliardi di dollari, anche se Pretoria, per il momento, avrebbe dato il via libera solo all’uso di una prima tranche di 500 milioni di dollari, in attesa di un riconoscimento ufficiale.

Sul piano umanitario l’Unicef ha distribuito alla popolazione di Tripoli circa 5.000.000 di litri d’acqua: “L’Unicef sta rispondendo ai bisogni immediati a Tripoli, ma rimaniamo estremamente preoccupati per la situazione, poiché ci dovrebbe essere una carenza di acqua nei prossimi giorni. Ciò potrebbe trasformarsi in un’epidemia sanitaria senza precedenti”, ha dichiarato Christian Balslev-Olesen, responsabile dell’ufficio Unicef in Libia. Nel frattempo un team tecnico dell’organizzazione sta collaborando con le autorità libiche per facilitare una valutazione sui pozzi d’acqua ed individuare alternative per le fonti d’acqua. Nell’ambito del Regional Flash Appeal delle Nazioni Unite, l’Unicef ha lanciato un appello di raccolta fondi per 20,5 milioni di dollari, necessari per far fronte alle necessità di bambini e donne in Libia, così come di coloro che sono fuggiti nei paesi limitrofi.

Sul piano dei diritti umani anche Amnesty International si è appellata alle parti coinvolte nel conflitto in corso, chiedendo di proteggere i detenuti dalla tortura. Una delegazione di Amnesty International, giunta in Libia nei giorni scorsi, ha raccolto testimonianze di detenuti che hanno subito torture sia da parte dei soldati pro-Gheddafi che da parte delle forze ribelli nella zona di Az-Zawiya. I rappresentanti delle forze ribelli hanno dichiarato che le violazioni dei diritti umani commesse sotto il precedente regime non si ripeteranno. Hanno aggiunto che tuteleranno il diritto dei detenuti a essere trattati con dignità e che questi riceveranno processi equi.

Un ragazzo, intervistato da Amnesty International in una cella sovraffollata in cui 125 persone riuscivano a malapena a muoversi e a dormire, ha raccontato come ha risposto all’appello del governo di Gheddafi a prendere le armi contro l’opposizione. Ha dichiarato di essere stato trasportato a un campo militare di Az-Zawiya e che gli è stato messo in mano un kalashnikov, che non sapeva minimamente come usare.  Mentre un appartenente alle forze di sicurezza di Gheddafi ha riferito all’organizzazione umanitaria di essere stato rapito da un gruppo di uomini armati, mentre stava portando rifornimenti alle forze pro-Gheddafi. Ha affermato di essere stato picchiato su tutto il corpo col calcio dei fucili, preso a pugni e a calci. Il suo aspetto rendeva credibile la testimonianza. Ha proseguito dicendo che nel centro di detenzione, le percosse erano meno frequenti e brutali ma dipendeva da chi era di guardia. Inoltre, secondo i responsabili del centro di detenzione di Az-Zawiya, un terzo dei prigionieri è costituito da ‘mercenari stranieri’, tra cui cittadini del Ciad, del Niger e del Sudan.

Quando Amnesty International ha parlato con alcuni di loro, hanno affermato di essere lavoratori migranti, arrestati nelle loro case, sul posto di lavoro o semplicemente a causa del colore della pelle. Nessuno indossava uniformi militari. Hanno detto di temere per la loro vita poiché i loro rapitori e le guardie li hanno minacciati di ‘essere eliminati o condannati a morte’. La delegazione di Amnesty International ha scoperto prove di stupri commessi contro i detenuti nella famigerata prigione di Abu Salim, a Tripoli: “I prossimi giorni rischiano di essere decisivi per conservare i documenti delle prigioni, delle basi militari e anche delle abitazioni private degli ex dirigenti del regime. Deve essere fatto ogni sforzo per conservarli e metterli al sicuro, in modo che si possa stabilire la verità e si possano portare di fronte a un giudice i responsabili”.

Ex detenuti hanno dichiarato di aver visto giovani portati fuori dalle celle di notte e rientrati diverse ore dopo con l’aspetto stravolto. Migliaia di uomini, tra cui civili estranei ai combattimenti, sono ‘scomparsi’ durante il conflitto dopo essere stati presi dalle forze pro-Gheddafi. La delegazione di Amnesty International si è appellata al Consiglio Nazionale di Transizione: “Le forze lealiste in Libia devono immediatamente fermare queste uccisioni di prigionieri, ed entrambe le parti devono impegnarsi ad assicurare l’incolumità dei prigionieri in custodia, perché, anche se il colonnello Gheddafi è con le spalle al muro, con un mandato di arresto della Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità, le sue truppe continuano nel loro flagrante disprezzo della vita umana e del diritto internazionale umanitario”.

Infine Amnesty International ha ricordato che torturare o uccidere i prigionieri è un crimine di guerra per entrambi le parti in conflitto.

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