La Santa Sede sostiene i cristiani nel Medio Oriente

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Nei giorni scorsi è stata presentata una dichiarazione congiunta di Santa Sede, Federazione Russa e Libano al Consiglio dei diritti umani di Ginevra, dall’osservatore permanente della Santa Sede, l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, affinchè la la comunità internazionale sostenga ‘la radicata presenza storica’ di tutte le comunità etniche e religiose del Medio Oriente, dove sono nate le religioni del mondo incluso il Cristianesimo, ed oggi minacciate dallo Stato Islamico (Daesh), da Al Qaeda e da vari gruppi terroristici con il rischio di ‘scomparsa completa per i cristiani’.

La dichiarazione, ‘Sostenere i diritti umani dei cristiani e delle altre comunità, in particolare nel Medio Oriente’ è stata sottoscritta da 63 Paesi, (Andorra, Armenia, Australia, Austria, Bielorussia, Belgio, Bosnia e Herzegovina, Bulgaria, Canada, Congo, Croazia, Cuba, Cipro, Danimarca, El Salvador, Filippine, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Guatemala, Haiti, Honduras, Islanda, Iraq, Irlanda, Israele, Italia, Liechtenstein, Lussemburgo, Malta, Monaco, Paesi Bassi, Panama, Perù, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Romania, San Marino, Serbia, Slovacchia, Slovenia, Somalia, Sovrano ordine militare di Malta, Spagna, Stati Uniti, Svizzera, Ungheria), che vogliono manifestare ‘una volontà politica positiva’ per eliminare tali violazioni dei diritti umani.

Il testo evidenzia la ‘pericolosa situazione che i cristiani devono affrontare’ nella zona e denuncia ‘gli abusi che vengono subiti da persone di qualsiasi appartenenza religiosa, etnica e culturale’ che vogliono semplicemente esercitare la loro ‘libertà di religione e di credo, senza essere perseguitati o uccisi’. La dichiarazione ricorda il contributo dei cristiani alla storia della regione:

“La presenza cristiana nel Medio Oriente costituisce il fermento di una vitalità unica nella regione e contribuisce a un senso di pluralismo che rende possibile lo sviluppo della democrazia. Perché senza questa presenza c’è, appunto, il pericolo che venga imposta un’uniformità tale che non lasci spazio a sviluppi democratici.

Il diritto di rimanere nelle loro case e nelle loro proprietà per i cristiani come per le altre comunità religiose, sciiti, sunniti, yazidi, alawiti, è qualcosa che è indipendente dalla credenza religiosa: è un diritto che viene alle persone. Sono cittadini come tutti gli altri, con gli stessi diritti e gli stessi doveri”.

Nell’analisi il documento sottolinea la gravissima situazione di violenza: “Milioni di persone sono state sfollate o costrette a lasciare le loro terre avite. Coloro che si trovano in zona di conflitto o aree controllate dai gruppi terroristi vivono sotto la permanente minaccia di violazioni dei diritti umani, repressione e abusi. Sia le comunità che i singoli cadono vittima di atti barbarici di violenza: sono privati delle case, strappati alle loro patrie, venduti in schiavitù, uccisi, decapitati, arsi vivi.

Decine di chiese cristiane, antichi santuari di tutte le religioni sono stati distrutti. La situazione dei cristiani del Medio oriente, una terra dove vivono da secoli e hanno il diritto di rimanere, solleva profonde preoccupazioni. Queste sono altrettante ragioni per temere seriamente per il futuro delle comunità cristiane che hanno più di due millenni nella regione, dove il cristianesimo ha pieno spazio ed ha cominciato la sua lunga storia”.

Il documento esplicita la difesa dei diritti e non una mera posizione politica: “L’idea è di creare non una posizione politica, ma una sensibilità umanitaria di rispetto dei diritti delle vittime della violenza, particolarmente dei cristiani, nella regione del Medio Oriente. Perché se non si fa qualcosa per loro, la possibilità che i loro diritti come cittadini vengano rispettati, che possano ritornare alle loro case:

il diritto quindi di ritorno per i rifugiati, c’è il serio pericolo che le comunità, ridotte al minimo già adesso dopo più di un secolo di continuo dissanguamento, spariscano completamente e che il Medio Oriente, la regione dove Gesù è nato, dove il cristianesimo ha cominciato a svilupparsi, diventi una regione del mondo vuota della testimonianza e della presenza cristiana”.

Nella presentazione del documento l’osservatore permanente della Santa Sede ne ha sottolineato il suo obiettivo: “Si cercano due strade diverse per arrivare a soluzioni. La prima consiste nel sensibilizzare la comunità internazionale sui diritti umani di tutte queste categorie di persone, di queste comunità; e quindi nel Consiglio dei diritti umani si parla specificamente della situazione in Siria, del cosiddetto Stato Islamico, dell’Iraq e così via.

E poi si cerca anche a livello informale, alcuni Stati importanti, come la Russia e gli Stati Uniti, di creare dei colloqui informali dove, al di là del diritto di veto che può esserci, per esempio, nel Consiglio di Sicurezza, si possano cercare dei compromessi, delle formule nuove, per arrivare a stabilire un cessate il fuoco: cioè far smettere finalmente la violenza, che tormenta da più di quattro anni questa regione”.

Eppoi ha messo in luce che nel documento si denuncia gli ‘gli abusi che vengono subiti da persone di qualsiasi appartenenza religiosa, etnica e culturale’ che vogliono semplicemente esercitare la loro ‘libertà di religione e di credo, senza essere perseguitati o uccisi’:

“Parliamo degli atti barbarici di cui sono vittime i cristiani e non solo loro naturalmente, ma soprattutto loro. In questo caso volevamo fare risaltare l’abbandono in cui politicamente si trovano queste comunità cristiane, che sono vittime di decapitazioni, con persone che vengono bruciate vive, bambini che vengono ammazzati, donne e piccoli venduti al mercato come schiavi. Davanti a questa situazione, abbiamo voluto sottolineare che i diritti umani di queste persone sono uguali a quelli di tutte le altre persone”.

Infine il documento sottolinea il positivo contributo dei cristiani nel Medio Oriente: “I contributi positivi dei cristiani nei diversi paesi e società del Medio Oriente sono ben noti e creativi. Siamo fiduciosi che tutti i governi, tutti i leader religiosi e civili del Medio Oriente si uniranno nell’affrontare questa situazione allarmante nel costruire insieme una cultura di pacifica coesistenza. Nel nostro mondo globalizzato il pluralismo è un arricchimento.

La presenza e il contributo di comunità etniche e religiose riflette una antica diversità e una comune eredità. Un futuro senza le diverse comunità del Medio Oriente implicherà il rischio di nuove forme di violenza, esclusione e assenza di pace e sviluppo. Facciamo appello alla comunità internazionale nel sostenere la presenza profondamente radicata di tutte le comunità religiose ed etniche del Medio Oriente…

Chiediamo dunque a tutti gli Stati di riaffermare il loro impegno al rispetto dei diritti di ognuno, in particolare il diritto alla libertà di religione, che è sancita dagli strumenti dei diritti umani internazionali fondamentali”.

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