Memoria di un evento storico

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Il 7 marzo di cinquant’anni fa, Paolo VI celebrava la prima Messa col nuovo rito in italiano. Da allora quanta concordia discors! Il termine indica “armonia”, ma quanta discordanza in questo lungo tempo di accoglienza e di repulsione, di riflessione, di ricerca e di sperimentazione. Mi domando: La celebrazione della Divina Eucaristia può essere usata per rivendicare differenze e attestare divisioni? Può esserci vera comunione ecclesiale nel rifiuto della comunione eucaristica? La Fractio Panis può essere motivo di frattura ecclesiale?

San Paolo è drammaticamente chiaro quando afferma:

Il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?

Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo:

tutti infatti partecipiamo all’unico pane

(1Cor 10,16-17).

Da Agostino d’Ippona a Henri de Lubac, tutta la tradizione ripete costantemente: la Chiesa fa l’Eucaristia e l’Eucaristia fa la Chiesa. Tutti i credenti dovrebbero essere convinti che la divisione eucaristica può solo dividere la Chiesa. E allora: chi non condivide il medesimo pane, può parlare di un unico corpo?

L’Eucaristia è il sacramento dell’unità che ci è donata e che è il frutto dello Spirito Santo.

Nella Preghiera eucaristica è questo il senso della seconda epiclesi: l’invocazione dello Spirito sul pane e sul vino è rinnovata a favore della Chiesa. Il celebrante, infatti, dopo avere chiesto al Padre: “Santifica questi doni con l’effusione del tuo Spirito”, prega di nuovo: “Per la comunione al corpo e al sangue di Cristo lo Spirito Santo ci riunisca in solo corpo”. Queste due epiclesi della Preghiera eucaristica II provengono da Ippolito di Roma (225 c.).

Germi di vita

Nella vita di una persona ci sono eventi e momenti che colpiscono per la loro intensità. Alcuni di questi segnano l’animo per lungo tempo, ma poi vengono dimenticati; altri, invece, sono indelebili tanto da diventare parte integrante della vita.

Ci sono momenti nei quali – come canta il salmista – la nostra lingua è incollata al palato e, come coccio arido, è incapace di cantare le lodi della gioia più incontenibile.

Ci sono giorni in cui non si ha la forza di elevare lo sguardo all’orizzonte per scoprire la nube che aveva protetto Israele dall’ardore del sole che tutto brucia e dissecca durante il cammino di marcia nelle aride steppe del Sinai.

Eppure, sul deserto dell’anima, Dio può far scendere le stille di rugiada della sua consolante protezione per far rivivere e risvegliare i divini fremiti della speranza e della vita.

Grido lacerato dell’umanità ferita

Il concilio Vaticano II, nella sua costituzione Gaudium et Spes, raccogliendo il grido di dolore di Pio XII e dei suoi successori, ha dato un forte richiamo ai popoli e ai loro responsabili di dichiarare guerra a qualsiasi tipo di guerre: “Mai più guerra; mai più guerra”. L’appello della Chiesa è il grido dell’intera umanità ferita e lacerata dagli strumenti micidiali di morti ingiuste e crudeli. La messa al bando delle armi richiama sia la responsabilità dei fabbricanti sia quella dei mercanti i quali, pur di trarre profitto, compiono gesti vili e obbrobriosi finalizzati a uccidere i fratelli. Le armi sono strumenti intrinsecamente perversi e iniqui, il loro uso obbedisce alla logica satanica della viltà oltre a quella del disprezzo. Non possono essere fabbricate né vendute né disseminate senza ledere i principi del diritto, della giustizia e dell’etica.

Se nel mondo la carneficina umana aumenta, non può che stupire e indignare l’indifferenza internazionale di fronte a questa specie di macabro orologio della barbarie omicida. L’esistenza e la diffusione di questi insidiosi e sofisticati strumenti di morte contraddice gli sforzi che si compiono per la limitazione e il controllo delle più potenti armi di distruzione di massa in vista di un generale impegno di disarmo.

L’estensione del triste fenomeno delle popolazioni cacciate dalle loro case e dai loro campi a causa di eventi bellici e la moltiplicazione dei profughi e dei rifugiati rende ancora più assurda questa minaccia quotidiana che incombe e sovrasta su persone investite dal flagello della guerra. È pertanto urgente e necessario che emergano i principi morali capaci di valutare gli aspetti tecnici e operativi situandoli nella superiore esigenza del rispetto della dignità umana, della pace e della concordia. Siamo pienamente convinti che le armi omicide sono anche le calunnie, le falsificazioni, le lettere minatorie, l’odio, la noncuranza, l’espulsione e ogni gesto diabolico che distrugge l’inviolabile dignità della persona umana: dono squisito dello Spirito!

Il Tempio e il corpo

Un giorno Gesù s’imbatte con una realtà che lo fa trasalire d’indignazione per un commercio improprio e inopportuno svolto nel tempio e approvato dalle massime autorità religiose. Gesù fa l’amara constatazione del carattere profano che ha assunto la festa di Pasqua.

La purificazione del tempio è espressa da Matteo con tre verbi significativi: scacciò fuori, gettò a terra, rovesciò. Questi verbi indicano la presa di possesso del tempio con il nuovo significato che dà Gesù: il culto divino non sarà più fatto di animali, incensi, offerte, in cui il cuore e la vita dell’uomo rimangono lontani da Dio (cf Mt 15,8). C’è il pericolo che anche oggi la divina liturgia rassomigli a quella dei mercanti del tempio: basta adempiere le formalità del culto come semplice scambio per ottenere dei favori da Dio e così tranquillizzare la coscienza.

Mysterion

Nella vita nulla vi è di statico, niente definitivamente posseduto.

Si va in cerca di ciò che è conosciuto, ma ancora si desidera.

Ciò che si trova è sempre cercato,

non solo perché corrisponde a ciò che si è sperimentato,

ma perché promette “di più” e rimanda a un “oltre”.

Il desiderio rimane più forte e più vitale della stessa realtà vissuta.

L’amore umano è più che seduzione inerte o immagine evocatrice;

in senso vivo e forte, si dovrebbe considerare mysterion:

“sacramento” dell’amore divino incarnato e donato.

Andrebbe visto alla maniera dei greci, cioè simbolo reale!

Con la parola “simbolo” s’intende non una realtà che rimanda a un’altra,

ma che contiene insieme l’altra:

l’una e l’altra gettate insieme, secondo l’etimo syn-ballo.

L’amore umano, nella sua totalità è modo sublime di presenza dell’Amore divino.

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