Ritratto femminile di una giornata

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Talvolta le celebrazioni che fanno da contorno alla festa dell’otto marzo ci offrono una immagine di donna stereotipata: appariscente o sensuale (a seconda del richiamo pubblicitario per cui viene “usata”), lavoratrice e manager (se si parla di uguaglianza e diritti della donna), raramente come “sposa e madre” di famiglia, molto più frequentemente come “oggetto” del desiderio dell’uomo. Oriana Fallaci scriveva: «Le donne non sono una fauna speciale e non capisco per quale ragione esse debbano costituire, specialmente sui giornali, un argomento a parte: come lo sport, la politica e il bollettino meteorologico». Insomma, ci sarà pure qualcosa che le donne davvero “non dicono” e che va molto più in profondità rispetto ad una semplice scollatura!

Nel novembre del 1930 Edith Stein (filosofa, suora carmelitana e martire ad Auschwitz nel 1942) tenne una conferenza a Berndorf sui fondamenti dell’educazione della donna, dove cercò di tracciare il profilo dell’anima femminile e la sua vocazione. In quell’occasione, la giovane filosofa ebrea, parlò della donna descrivendola attraverso alcune doti: “ampia, silenziosa, vuota di sé, calda e luminosa”. Due anni dopo, a St. Lioben, nel gennaio del 1932, Edith Stein tenne un’altra conferenza e le fu chiesto di spiegare come si possa giungere a possedere quelle doti. “Io credo – rispose la professoressa Stein – che non si tratti di un complesso di proprietà che si possono sviluppare e acquistare ad una ad una; si tratta piuttosto di uno stato complessivo dell’anima, considerato da diversi punti di vista. Questo stato non possiamo crearlo con la semplice volontà; è la grazia che deve operare.

Ecco ciò che noi possiamo e dobbiamo fare: aprirci alla grazia, cioè rinunciare pienamente alla nostra propria volontà, facendola prigioniera del volere divino, porre nelle mani di Dio tutta la nostra anima, pronta ad accettare la sua opera formativa”. La giovane filosofa carmelitana iniziò così a parlare della grazia e della disponibilità a lasciarsi plasmare da Dio, e ne venne fuori un vero e proprio itinerario di spiritualità femminile. «Prima di tutto, – disse – l’anima deve vuotarsi di se stessa e tendere al silenzio interno. Per natura infatti, l’anima è ripiena di un’infinita varietà di cose, delle quali l’una vuole sostituirsi all’altra, provocando quindi un intimo continuo movimento, che spesso diventa tempesta e tumulto.

Quando ci svegliamo la mattina, già cominciano a molestarci tutti i doveri e le preoccupazioni della giornata – a meno che non abbiano già cacciato via anche il riposo notturno – e ci assale l’allarmante domanda: come potrò far entrare tutto in una giornata? Quando farò questo e quando quello? Come farò a cominciare questo e quello? Allora ci prende l’agitazione, vorremmo balzar giù e precipitarci nell’azione; è il momento di por mano al freno e dirci: adagio, adagio!». Secondo la dotta filosofa – che nel 1932 insegnava all’Istituto tedesco di Scienze Pedagogiche di Münster – la prima ora del giorno dev’essere del Signore, «e solo in seguito mi darò a quelle opere che Egli mi comanda, e sarà Lui a darmi la forza di condurle a termine. Voglio avvicinarmi dunque all’altare di Dio: qui non si tratta di me e dei miei piccoli affari, ma del grande Sacrificio espiatorio.

Io posso parteciparvi, purificarmi, diventare lieta, e con tutto ciò che dovrò fare o patire mettermi sull’altare durante il sacrificio. Quando poi il Signore viene nel mio cuore nella santa Comunione, posso domandargli: “Dimmi che vuoi da me, Signore, dimmi che vuoi” (S. Teresa di Gesù), e mi metterò al compito che nel silenzioso colloquio avrò riconosciuto più immediato». Edith Stein ritiene che all’inizio della giornata, dopo un’ora mattutina di raccoglimento, «l’anima sarà silenziosa e vuota di tutto ciò che vorrebbe assalirla e aggravarla, sarà colma di santa letizia, di coraggio ed energia». Un’anima capace di uscire da se stessa per entrare nella vita divina e guardare all’orizzonte una nuova prospettiva. La giovane Stein – nel suo discorso – comincia poi a dettagliare e descrivere i momenti principali vissuti nell’arco di una giornata.

«Forse l’insegnamento, da quattro a cinque ore tutte di seguito, e bisogna applicarvisi seriamente […]. In questa o quella non ci riuscirà di raggiungere quello che ci eravamo prefisse, forse ci succederà in tutte: stanchezza, interruzioni impreviste, incapacità degli alunni, un cumulo di noie fatte apposta per esasperare e perfino angosciare… Oppure il servizio in ufficio: necessità di trattare con superiori e colleghi magari spiacevoli, i quali hanno con noi esigenze che ci sentiamo incapaci di soddisfare, o ci fanno rimproveri ingiustificati; miserie umane, forse anche pene di ogni sorta. Arriva mezzogiorno: sfinite, spossate, ritorniamo a casa. Qui ci aspettano probabilmente nuove difficoltà». Ma dov’è andata a finire quella soprannaturale freschezza d’animo acquistata la mattina? Ci si sente assaliti da moti di ribellione, di rancore e rimorso e c’è ancora tanto da fare prima che si concluda la giornata.

Come arrivare fino a sera con le tante attività ancora da svolgere? Sono domande lecite che potrebbero farci accantonare le buone e sante intuizioni raccolte al mattino. «Ma no, – risponde Edith Stein – non prima di aver fatto silenzio nell’anima nostra almeno per un momento: ognuna deve conoscere ed esaminare se stessa, per sapere dove e come può riacquistare una serena tranquillità. La cosa migliore, se possibile, sarebbe di sostare per breve tempo davanti al Tabernacolo per esporre confidentemente le proprie preoccupazioni. Chi non può farlo, chi forse ha bisogno anche di un po’ di riposo, cerchi di ritirarsi nella sua camera per una breve sosta. E se è impossibile permettersi il riposo esterno, se non si ha un ambiente ove ritrovarsi sole, se doveri indispensabili proibiscono questa pausa silenziosa, cerchiamo allora d’isolarci per un istante da tutto, e rifugiarci nel Signore: Egli è qui che ci aspetta, e in un solo momento può darci ciò di cui abbiamo bisogno».

E così che la giornata continua, con un’ulteriore freschezza e nella pace, «e quando giunge la notte, e uno sguardo retrospettivo ci mostra che tutto è rimasto frammentario, che molto di ciò che ci eravamo prefisso è rimasto incompiuto, che abbiamo molti motivi di vergognarci e di pentirci: ebbene, accettiamo ogni cosa tale qual è, e abbandoniamo tutto nelle mani di Dio. Allora potremo riposare, realmente riposare, ricominciare il nuovo giorno come una nuova vita». La Stein, in questo suo parlare, offre un suggerimento su come organizzare la giornata «per far posto alla grazia di Dio». Ogni donna – prosegue – «saprà meglio da parte sua quale dovrà esserne l’applicazione pratica, secondo le proprie condizioni di vita. […] Sarà dunque compito di ciascuna il riflettere, tenendo conto delle rispettive condizioni fisiche e morali, delle attuali esigenze di vita, sul modo di organizzare la propria giornata e disporre tutto l’anno per preparare la via al Signore».

Inoltre, la giovane filosofa, suggerisce i mezzi adatti a procurare, a tener desta, ed anche a ristabilire l’unione col Signore: la meditazione, la lettura spirituale, la preghiera liturgica, la partecipazione alle diverse funzioni in chiesa. È in questo breve itinerario – che potremmo definire umano e divino – che il carisma della donna si manifesta in tutta la sua particolare bellezza. Tenuto conto del fatto che Edith Stein entrerà in un monastero di suore carmelitane (assumendo il nome di Teresa Benedetta della Croce) nel 1934 a Colonia, due anni dopo dalle riflessioni appena proposte, non si può certo dire che questo ritratto femminile di donna descritto dalla Stein non sia stato vissuto con grande coerenza e consapevolezza quando Edith era, nel mondo, una donna “laica” come tante altre.

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