La quiete di Morandi

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L’ampia mostra: “Giorgio Morandi 1890-1964” si può visitare al Complesso del Vittoriano fino al 21 giugno 2015. L’esposizione è significativa poiché documenta il percorso artistico del pittore bolognese attraverso un numero cospicuo di opere (sia grafiche che pittoriche) che provengono da importanti istituzioni pubbliche – tra le quali il Museo Morandi di Bologna, il Centre Pompidou (Parigi), i Musei Vaticani, la Galleria degli Uffizi (Firenze), la Pinacoteca di Brera (Milano), il MART (Rovereto) – e da prestigiose collezioni private. Il progetto espositivo è stato pensato da Maria Cristina Bandera, direttrice della Fondazione Longhi e specialista di Morandi.

Questa esposizione conferma l’attenzione che il Museo del Vittoriano riserva alla pittura italiana del Ventesimo secolo. Come ricordano gli appassionati, si tratta di un itinerario – iniziato nel 2012 con Renato Guttuso e proseguito nel 2013 con la mostra “Cézanne (1839-1906) e i pittori italiani” e, nel 2014, con la mostra “Mario Sironi. 1885-1961” – che ha consentito di guardare a fondo dentro le vicende della nostra pittura nel corso del Novecento.

Si possono ammirare – con la necessaria lentezza che una mostra di Giorgio Morandi richiede – circa 100 dipinti ad olio e numerose opere incisorie: è stata questa una attività non secondaria che valse a Morandi nel 1953 il Gran Premio per l’Incisione alla Biennale di San Paolo in Brasile. Queste opere sono affiancate dalle rispettive matrici in rame provenienti dall’Istituto Centrale per la Grafica. È anche visibile una sezione di disegni e di acquerelli che consentono di esplorare tutte le diverse tecniche figurative attraverso cui si è manifestata l’essenzialità iconica di Morandi. Suggestive le due sezioni di documenti d’archivio dedicate ai rapporti epistolari di Morandi con Roberto Longhi e Cesare Brandi, i due grandi storici dell’arte che per primi sottolinearono l’importanza della sua opera pittorica.

La pittura di Giorgio Morandi – sicuramente sintonica con la figurazione di Cézanne e con le modalità rappresentative delle prime avanguardie, tra cubismo e metafisica – suggerisce una impressione di silenziosità, di assenza, di semplicità. Indubbiamente, per Morandi, disegnare, dipingere o incidere significava trasporre nel perimetro del quadro una icona astratta, una immagine depurata dell’oggettività. Anche i suoi paesaggi, lo stesso autoritratto piacevolmente visibile in mostra, suggeriscono una intenzione “chiarista”, una sublimazione eidetica delle cose. Tuttavia, ad una osservazione accurata, il linguaggio artistico di Morandi si rivela più complesso. I colori, ad esempio, segnalano un elemento memoriale, una forma di pensiero affettivo verso gli oggetti – pure umili e lineari – disposti nelle nature morte. La pastosità del colore ad olio allude ad una tridimensionalità della figura, che si solleva dal fondo del dipinto. La presenza discreta delle ombre (e quindi dei volumi) rinvia al movimento della luce e alla conseguente dinamizzazione degli oggetti che diventano così corpi solidi, linee e punti rotanti.

A proposito di Giorgio Morandi, lo storico dell’arte pone in risalto il suo discreto rapportarsi alle vicende storiche e politiche contemporanee alla sua vita. Morandi fu sempre lontano dall’arte celebrativa ed enfatica del Fascismo, dai ritorni all’ordine e alieno dalle retoriche classicistiche e romanistiche. Praticò un disegnare, incidere e dipingere crepuscolare, esistenzialista, ma anche nutrito di ironia. Alcuni sui dipinti potrebbero venire interpretati – in chiave ironica e non lirica – come parodie della figurazione e della storia.

Superando la sensazione iniziale di vuoto, che l’icona morandiana suggerisce, si coglie un elemento etico, una tensione di sommessa lotta tra la quiete delle cose – immobili nella memoria – e il continuo inesorabile dinamismo del reale. In questo elemento, che è temporale e antimetafisico, si colloca l’astrazione pittorica e esistenzialistica di Morandi. Il semplice guardare del visitatore vivifica il moto delle cose celato nelle pennellate del pittore. La quiete della luce e la velatura dei colori – che esteticamente prevale – fa sì che le cose sembrino dormire, giacere indisturbate. In realtà, è il pittore che le ha colte in uno stato di abbandono, di accumulo casuale, nella stasi inerte di luoghi banali dello spazio. Si legge quindi nell’icona lo sguardo dell’artista, l’opera del suo disegno. In sostanza il visitatore ha la ventura di veder moversi gli oggetti, di intuire dentro di essi una quiete solo apparente: riesce a tradurre il linguaggio enigmatico di Morandi nei rapporti geometrici e di posizione, nel numero e nella forma. In alcuni casi il colore si fa più forte, più contrastato e scintillante. In altri casi, vasi e bottiglie si affollano e sembrano incarnare volti e persone, gruppi ed eventi. In altri dipinti ancora, si ritrova una eco dell’Autoritratto (1924) nella firma del pittore, tracciata in grafia semplice, a volte infantile, ma sempre elemento iconico significante.

Per tutto questo, la pittura di Morandi richiama in primo piano l’umano, nello spettatore come nel pittore. La figurazione umana è presente nel suo apparente assentarsi. SI tratta certamente di un congedarsi dalle cose – come ci dice il “Viaggiatore cerimonioso” (1965) di Giorgio Caproni – oppure anche, soltanto, di un riporle presto nel ricordo. La pittura si giustifica nel mondo dell’immagine tecnologica e riproducibile come un artificio della memoria e una evocazione della più privata soggettività.

Nella foto: Giorgio Morandi, “Natura morta”, 1946.

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