Una “vittoria sulla morte” ancora capace di sorprenderci!

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“Ci stiamo confrontando con chi ha rubato la nostra religione con l’Islam cattivo, la violenza e le stragi. Si dichiarano successori del Califfato islamico, ma non hanno coscienza né cuore. Sulla mano destra hanno il sangue degli innocenti e con la sinistra incitano a condividere la loro legge barbara. Dobbiamo agire. Siamo in gara contro il tempo per adottare politiche che diano priorità reali sui temi attuali per eliminare l’ideologia dell’odio e del terrorismo… Quel che sta accadendo oggi è la prova più evidente che l’estremismo, sia esso religioso, politico o sociale, è estraneo ai nostri valori”. È l’accorato appello che la regina Rania di Giordania rivolge al mondo arabo dal Media Summit di Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti.

“I momenti più difficili – ha detto Rania –spesso ci mettono faccia a faccia con le nostre responsabilità. L’Islam è nostra responsabilità. La nostra identità è una nostra responsabilità. La responsabilità di coloro che sono uniti nell’umanità e che vogliono vivere e coesistere in pace, che sperano che quando non ci saremo più i nostri figli saranno al sicuro e vivranno dell’onore, tramandando alle generazioni future un mondo arabo e musulmano in pace”.

Il Regno Hascemita di Giordania, dopo l’uccisione del pilota giordano Muadh Kassasbeh, bruciato vivo dall’Isis, ha dichiarato guerra allo Stato Islamico. La situazione diventa ogni giorno sempre più grave, in atto vi è un vero e proprio genocidio; “i Daesh o Isis o Is, come li si chiama – ha dichiarato mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare caldeo di Baghdad –, fanno come vogliono, anche perché ci sono tanti evidentemente in tutto il mondo, che li aiutano. Li hanno aiutati o comunque hanno venduto loro tutte le armi che hanno … E per questo la nostra situazione è tragica. La nostra gente vuole lasciare il Paese quanto prima”.

Peraltro, constatato il rifiuto categorico di ogni confronto, tregua, o civile ravvedimento, fatto tutto ciò che era diplomaticamente necessario per offrire spiragli di dialogo e lavoro comune, non resta che prendere atto di un’ostinata e feroce volontà a voler continuare ad uccidere la gente, a ogni costo. In tanti chiedono adesso – come ultima strada percorribile per la salvezza di altre vite umane – un intervento risolutivo più deciso. Persino il Catechismo della Chiesa Cattolica a tal proposito recita: “La legittima difesa, oltre che un diritto, può essere anche un grave dovere, per chi è responsabile della vita di altri. La difesa del bene comune esige che si ponga l’ingiusto aggressore in stato di non nuocere. A questo titolo, i legittimi detentori dell’autorità hanno il diritto di usare anche le armi per respingere gli aggressori della comunità civile affidata alla loro responsabilità” (CCC 2265).

Papa Francesco – lo scorso agosto, rientrando dal viaggio apostolico in Corea – chiarirà ulteriormente: “dove c’è un’aggressione ingiusta, posso soltanto dire che è lecito fermare l’aggressore ingiusto. Sottolineo il verbo: fermare. Non dico bombardare, fare la guerra, ma fermarlo. I mezzi con i quali si possono fermare, dovranno essere valutati. Fermare l’aggressore ingiusto è lecito. Ma dobbiamo anche avere memoria! Quante volte, con questa scusa di fermare l’aggressore ingiusto, le potenze si sono impadronite dei popoli e hanno fatto una vera guerra di conquista!”.

Intanto i ventuno cristiani copti, recentemente uccisi, vanno incontro alla morte – probabilmente dopo aver rifiutato la conversione all’Islam in cambio della vita – pronunciando il nome di Gesù. Un labiale, «Signore Gesù Cristo», che il vescovo copto cattolico della città di Giuzeh ha riconosciuto nel drammatico video dell’esecuzione, una “vittoria sulla morte” ancora capace di sorprenderci!

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