Turner al cinema

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“Turner” (Mr. Turner) è il titolo del film del 2014 diretto da Mike Leigh – formidabile protagonista Timothy Spall – che ricostruisce gli ultimi 25 anni di vita del celebre pittore britannico Joseph Mallord William Turner (1775-1851). Il film è molto bello: le ampie inquadrature e i colori sono davvero eccezionali – ricordano la bellezza delle immagini distanti di “Barry Lyndon” (1975) del grande Kubrik – e consentono allo spettatore di rivivere luoghi e tempi di una Inghilterra lontana.

Il film rientra nella categoria del migliore cinema storico britannico: dialoghi appropriati, costumi e scene eccellenti, attori di grande scuola teatrale, colonna sonora sobria, inoltre è privo – last but not least – di effetti speciali e di stramberie fictionistico-televisive. Ciò che va precisato – per questo come per altri films che hanno avuto come argomento la vita di artisti (pittori, letterati, musicisti) – è che le immagini e la biografia del pittore Turner non devono per nulla venire intese come una introduzione alla sua opera o, peggio ancora, come una sua spiegazione.

Le opere d’arte (poesie, sinfonie, statue …) – in questo caso i quadri di Turner, ma il ragionamento può valere anche per Caravaggio, Modigliani, Giuseppe Verdi, Charlie Parker, Giacomo Leopardi … – non conservano il cordone ombelicale di colui che le ha prodotte: vivono di vita propria ed appartengono al mondo della bellezza e dei segni intemporali della storia dell’arte. Richiedono quindi, per essere comprese, la specifica fruizione dell’osservatore nel loro supporto materiale (che sia un libro, una tela o una sinfonia) e nel luogo di esperienza estetica che è loro specifico (la parete di una chiesa, una sala da concerto, la luce di una lampada sulla pagina aperta …).

Va quindi scartata l’illusione didascalica e positivistica che porta a intendere un’opera d’arte come l’estroflessione della psichicità o dell’esistenzialità del suo autore, quasi fosse la naturale estrinsecazione della sua vita interiore o delle sue vicende personali. L’opera d’arte, quale che ne sia il linguaggio creativo, si sviluppa tutta nel mondo esteriore dei segni, delle tecniche estetiche e della loro storia. Dentro un’opera d’arte è già contenuto il mondo e il messaggio per il fruitore, senza che sorga il bisogno di andarselo a cercare nella biografia dell’artista.

Certamente gli storici dell’arte fanno riferimento alla vita e alla storia dell’artista per identificare le sue opere, per classificarle e giudicarle. Ma l’analisi critica di un’opera d’arte – del suo rapporto con il mondo dei fruitori e con le altre opere – va ricavata dall’esame interno di essa e dalla comprensione delle sue relazioni con lo spazio fisico e sociale. Contano pure molto – come scrisse Roland Barthes – il “piacere del testo” e della visione, la densità dell’ascolto e della partecipazione all’evento espositivo o esecutivo. Insomma, le opere d’arte – per nostro diletto e per nostra fortuna – non appartengono agli artisti che le hanno create se non in senso estrinseco e molto limitato. Le opere d’arte vanno ad arricchire il paesaggio interiore dell’amatore e la sua esperienza del mondo in una forma che è molto lontana da quella di colui che le ha create.

La sintesi ermeneutica fra opera e mondo – di cui noi stessi in quanto fruitori, lettori, ascoltatori siamo gli agenti – non andrà quindi intesa come un fraintendimento del “significato” autentico – psicologico e autoriale – dell’opera, quasi fosse una forma di arbitraria interpretazione, ma piuttosto come un incremento di “senso” dell’opera, come la realizzazione della sua specifica funzione estetica e mondana. Guardando i dipinti di Turner alla Tate Gallery scopriremo cosa vuol dire che sia stato un pittore romantico e capiremo come la sua pittura abbia anticipato scelte pittoriche e estetiche del XX secolo più della figurazione dei successivi preraffaelliti. Tornando al film di Mike Leigh – che pure è, nel suo genere, un’opera d’arte – ribadiamo che è un film ecellente, appena troppo lungo, che poche volte scade nella banalità e nella convenzionalità della narrazione dell’artista eccentrico e strampalato – genio infelice e maledetto – che tanto gratifica coloro che collocano “gli artisti” nella categoria delle persone “sui generis”. Anzi, Leigh usa il linguaggio cinematografico per raccontare in modo mirabile una vicenda umana che è quella di ognuno. Nella foto: una immagine del film “Turner” (2014)

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