Lebbra: vivere è aiutare a vivere. A colloquio con AIFO

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Oggi si celebra la giornata mondiale dei malati di lebbra, che purtroppo ancora continua a propagarsi. Gli oltre 200.000 nuovi casi identificati annualmente non riflettono tutta la realtà: altrettanti uomini, donne, bambini, abitanti in zone prive di infrastrutture sanitarie, sfuggono ogni anno alle stime con grande pericolo di sviluppare postumi invalidanti e contaminare tutto l’ambiente circostante.

Secondo l’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) sono oltre 215.000 i nuovi casi diagnosticati nello scorso anno (1 nuovo caso ogni 2 minuti) di cui oltre 129.000 sono ‘multibacillaires’, la forma cioè più contagiosa. A preoccupare poi sono i dati relativi ai bambini colpiti, quasi 18.000 con meno di 15 anni, e a coloro che presentano delle incapacità ‘di grado due’ visibili ed irreversibili, oltre 13.000. L’Oms ha poi reso nota la diffusione geografica della malattia: la maggior parte dei malati di lebbra si trova nel sud-est asiatico con ben 155.385 casi (72%); seguono l’America con poco più di 33.000 malati (15%) e l’Africa con 20.911 casi (10%); più staccati il Pacifico occidentale (4.596 casi) e il Mediterraneo orientale con 1.680.

Eppure scientificamente l’eliminazione della lebbra è stata raggiunta nel 2000 e, attualmente, esiste meno di un caso di malattia ogni 10.000 abitanti nel mondo. Quindi questa giornata, giunta al 62^ anno, con il tema ‘Vivere è aiutare a vivere’ serve a sensibilizzare quanta più gente possibile a fare qualcosa di concreto affinché la lebbra, considerata in passato una maledizione di Dio e incurabile, diventi sempre meno temibile e meglio curabile.

Per comprendere meglio la situazione abbiamo chiesto aiuto ad Anna Maria Pisano, presidente dell’Associazione Italiana amici di Raoul Follereau (Aifo), che disse: ‘O gli uomini impareranno ad amarsi o, infine,l’uomo vivrà per l’uomo o gli uomini moriranno. Tutti e tutti insieme. Il nostro mondo non ha che questa alternativa: amarsi o scomparire. Bisogna scegliere. Subito. E per sempre’:

“Forse mai come in questo momento storico ci rendiamo conto della realtà di queste parole e dell’importanza di tener viva la speranza,di tener vivo quell’anelito di giustizia e di pace ( e di pace con un po’ di giustizia),di difendere l’uomo e la sua dignità al di là delle molteplici lebbre dell’egoismo e dell’indifferenza. Riporto dal mio editoriale di novembre, che penso possa spiegare perché ‘Vivere è aiutare a vivere’ è il nostro tema di quest’anno. Noi siamo una ONG, ma anche una Associazione che (riporto sempre le frasi del Fondatore) crede che è necessario ‘cambiare noi per cambiare il mondo’ e che siamo tutti ‘sotto uno stesso cielo’, per cui una parte importante della nostra attività è proprio l’educazione all’intercultura,alla fratellanza, alla mondialità.

Ha detto Follereau: ‘Fintanto che ci sarà sulla terra un innocente che avrà fame,che avrà freddo,che sarà perseguitato, fintanto che ci sarà sulla terra una carestia che si può evitare… né io né voi avremo il diritto di tacere o di riposarci!’ Vincere la lebbra e renderla ‘una malattia come le altre’ resta sempre un forte impegno dell’AIFO. Non c’è più nel mondo la situazione che spinse Follereau alla denuncia e a fare 30 volte il giro del mondo: 15.000.000 di malati abbandonati dietro il filo spinato,nei cimiteri,nei lebbrosari.

La lebbra è una malattia che dagli anni ‘80 è perfettamente curabile: non solo,ma dopo neanche un mese di terapia il malato non è più contagioso. Milioni di malati sono stati curati efficacemente e resi alla famiglia ed alla società. In questi ultimi anni però il numero di nuovi casi resta attestato a più di 200.000 malati registrati (calcoliamo che per la lebbra questo vuol dire che ne esistono almeno altrettanti non registrati), ancora con alta percentuale di bambini e con alta percentuale di pazienti che arrivano già disabili.

Perché la lebbra è una malattia cronica, con un tempo di incubazione anche di 20 anni,si trova ora soprattutto in Paesi poveri e presenta ancora un forte stigma, che può emarginare un malato, anche solo un sospetto malato, per tutta la vita. L’India è ancora il Paese che presenta di gran lunga il maggior numero di casi, seguita dal Brasile, da vari stati dell’Africa e poi, man mano, con numero di casi molto minore, in tanti altri Paesi in tutto il mondo. Ci sono poi i milioni di malati, dimessi dai centri sanitari guariti, ma disabili, con anestesia degli arti, con ulcere croniche, ciechi: hanno bisogno di cure e di essere inclusi nella società. I nostri Centri continuano le cure necessarie, formano il personale, promuovono gruppi di auto-aiuto e microcredito perché riprendano il controllo della propria vita, ritornino ad essere ‘uomini come gli altri’”.

Allora come si può sconfiggere la lebbra?
“Non considerarla una maledizione, ma non abbassare la guardia. Formazione del personale e controllo del territorio (con la globalizzazione tutti i medici dovrebbero almeno ricordarsi che esiste, per questo la nostra collaborazione è anche con gli Ordini dei medici). Riuscire a curare i bambini e tutti i malati prima che comincino le disabilità:è una vergogna che tanti bambini restino disabili per tutta la vita,perché non li abbiamo trovati in tempo”.

Non solo lebbra: l’AIFO è impegnata anche in Liberia nella lotta contro l’ebola. Quale è il suo impegno?
“ L’AIFO collabora per i malati di lebbra con l’Associazione Follereau tedesca e lavora in Liberia in varie Contee per le persone con disabilità in un Progetto nazionale di Riabilitazione su base comunitaria. Il Progetto va avanti da alcuni anni in collaborazione con Governo, Istituzioni e Associazioni locali e con la fiducia della popolazione.

Con la terribile realtà dell’ebola quasi tutto nel Progetto si è dovuto fermare, ma non potevamo abbandonare questa gente che si fidava di noi. Essendo inseriti nel territorio al centro e in periferia e nella realtà dei villaggi, abbiamo cominciato ad aiutare nel far arrivare medicinali e disinfettanti in alcune Contee.

‘Stop ebola’ si chiama il nostro progetto: e questo vogliamo ottenere con l’educazione sociale e igienico sanitaria della popolazione, anche della più periferica, che è spesso abbandonata, ascoltando, rispettando le usanze, fin dove e possibile, perché si arrivi ad una preparazione e prevenzione che duri nel tempo,perché la Liberia riesca in futuro a difendersi subito da sola. Vivere è aiutare a vivere”.

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