In attesa dell’ aurora

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Il De profundis è uno dei Salmi più amati e più pregati dal popolo orante, forse perché è pervaso da quel clima d’attesa, di fiducia e di speranza che lo rende attraente. Il grido d’invocazione che sgorga dalla profondità dell’essere e dell’esistere dell’uomo si trasforma in sereno abbandono alla misericordia divina.

Nel suo libro Le Confessioni, sant’Agostino, oltre all’appassionato commento che fa del salmo, cita anche i primi versetti in forma autobiografica e scrive: «Ma per chi vado narrando tali cose? Non certo per te, mio Dio; le rinnovo dinanzi a te per il genere umano, il mio, sia pur piccolissima la parte di esso che avrà per le mani questo mio libro. E con quale scopo? Perché da me e da chiunque mi legga si rifletta da quali profondità bisogna innalzare a te il nostro grido» (II,3,5).

Il De profundis è canto d’Avvento che contempla la venuta di Cristo, Verbum Caro, che, nell’incontro con l’uomo, s’incarna per condividere e redimere il “profondo” abisso della fragilità creaturale. Il grido di speranza, che erompe dal cuore umano e va verso Dio “ricco di misericordia e di perdono”, elimina l’angoscia che il peccato produce nel cuore pentito. Soltanto la coscienza del peccato, illuminata dall’Amore, può fare vibrare le profondità del cuore umano che attende perdono, grazia e misericordia.

Questa supplica penitenziale e individuale è inserita all’interno dei “Salmi delle ascensioni” (120-134). Definiti anche “Canti delle salite”, erano pregati dai pellegrini durante il viaggio che li conduceva verso Gerusalemme per chiedere perdono col “cuore contrito e umiliato”. Il Salmo diventa così il canto dell’uomo che si avvia di giorno in giorno verso la Gerusalemme celeste. Il pellegrinare è grido orante, attesa ardente, speranza serena e paziente di redenzione cosmica. Al grido della voce, che sale dal profondo della propria miseria, risponde, in contrappunto d’amore, l’ascolto di Dio che è perdono e redenzione: la sua misericordia è più grande di ogni peccato. L’incarnazione di Dio nell’abisso della natura umana è innalzamento dell’uomo nell’immensità dell’amore divino. Il salmista, pregando con i verbi della speranza e dell’attesa, anima il suo grido con l’immagine luminosa del vegliare in attesa dell’aurora. Il suo sguardo implorante rivolto verso l’alto è orientato verso la sorgente luminosa dell’aurora.

Il Salmo 130 (129) non è lamento di sfiducia ma di speranza che esprime fiducia in Dio redentore che vede, ascolta e perdona. Esso si articola tra il grido e l’ascolto, le colpe e il perdono, la speranza e l’attesa, la grazia e la redenzione.

Dal profondo a te grido, o Signore;

Signore, ascolta la mia voce.

Siano i tuoi orecchi attenti

alla voce della mia supplica (vv. 1-2).

Il peccato è l’abisso più profondo che ci sia, ma, dal buio dell’abisso, l’uomo grida e invoca perdono. Nel pericolo fisico il grido nasce dall’istinto ma rimane soltanto un grido. Nel vedersi peccatore, il grido diventa invocazione di perdono, richiesta di soccorso, mezzo per chiedere salvezza. È il grido di Paolo: Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore (Rm 8,24-25). Il grido orante, che si trasforma in speranza luminosa e gioiosa, è rivolto al Signore che, con orecchio attento e paterno, ascolta, perdona e redime.

Se consideri le mie colpe, o Signore,

Signore, chi ti può resistere?

Ma con te è il perdono:

così avremo il tuo timore (vv. 3-4).

Dinanzi alla suprema santità di Dio, nessuna coscienza umana può reggere e restare impassibile. Se il peccato nasce da un gesto di sfiducia, il perdono è offerto da un atto di fede nell’amore. Riconoscersi peccatori non dev’essere gesto disperante, ma fiduciosa apertura all’amore di Dio che libera e redime.

Il timore non è spavento disperato e disperante, ma stupore e gioia perché esperienza di misericordia infinita. San Paolo, nella lettera ai Romani, dopo avere denunciato il bassofondo della miseria umana e affermato che la grazia è più potente del peccato, parla della liberazione dal peccato, dalla morte e dalla legge e ripete quasi come un ritornello l’avverbio “molto più”. Noi, figli di Adamo, afferma Paolo, siamo peccatori ma c’è l’altro Adamo, più potente del primo, che ci libera dal male e ci salva: Ma il dono di grazia non è come la caduta: se, infatti, per caduta di uno solo tutto morirono, molto di più la grazia di Dio e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo si sono riversati in abbondanza su tutti… Infatti, se per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più coloro che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regnarono nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo (5,15.17). Se il peccato è un torrente di male e di miseria, il perdono divino è un oceano d’amore e di grazia, gioia di contemplazione perché esperienza di misericordia.

Io spero nel Signore,

Spera l’anima mia, attendo la sua parola.

L’anima mia è rivolta al Signore

Più che le sentinelle all’aurora (vv. 5-6).

L’itinerario redentivo inizia dal cuore e si fa fiducia, fiorisce sulle labbra oranti nella speranza d’attesa e si fa luce d’aurora.  Il grido del peccatore è preghiera che spera, è speranza che attende la Parola di misericordia che è certezza di perdono redentivo. Quella parola di luce e di gioia che Gesù dona al paralitico risanato: Coraggio, figlio, ti sono perdonati i peccati (Mt 9,2).

Più che le sentinelle l’aurora,

Israele attenda il Signore,

perché con il Signore è la misericordia

e grande è con lui la redenzione.

Egli redimerà Israele da tutte le sue colpe (vv. 7-8).

Il cuore dell’orante che ha ricevuto il dono della misericordia, ora palpita con il cuore della comunità. Il perdono ricevuto dal Signore non chiude egoisticamente in se stessi, ma spalanca le porte del cuore per annunciare agli altri la salvezza ricevuta. La grazia del perdono non si esaurisce così nel singolo orante, ma si proietta in quella stessa comunità dalla quale egli attinge il dono della parola che salva e nella quale vive l’esperienza di fede nel Dio della redenzione. In questo respiro ecclesiale ogni figlio prodigo può sollevare il grido dal profondo del suo peccato e può ottenere la certezza sacramentale del perdono dal suo Dio ricco di misericordia. La redenzione può e sa donarla soltanto il nostro Dio che è Amore eterno e infinito.

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