Nobel per la pace a Malala e Kailash non dimenticando Asia Bibi

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Il 10 dicembre ad Oslo si assegna il premio Nobel per la pace a due persone veramente speciali, che si battono contro le violenze contrapponendo la cultura e la legalità: Kailash Satyarthi, attivista indiano che si batte per i diritti dei bambini, e Malala Yousafzay, la 17enne pachistana che due anni fa fu ferita gravemente dai talebani per la sua lotta a favore dell’istruzione femminile.

Il comitato di Oslo li ha premiati ‘per la loro battaglia contro la repressione dei bambini e dei giovani e per il diritto di tutti i bambini all’educazione’, dedicando questa edizione del Premio alla lotta contro lo sfruttamento dei minori per fini economici: i bambini devono ‘andare a scuola e non essere sfruttati finanziariamente’, hanno scritto nelle motivazioni.

Nel comunicato del presidente del comitato, Thorbjoern Jagland, si legge che la scelta è ricaduta su Satyarthi perché, con la sua organizzazione Bachpan Bachao Andolan, dagli anni ’90 si batte “con grande coraggio personale, mantenendo la tradizione di Gandhi, guidando varie forme di protesta e dimostrazione, tutte pacifiche, contro il grave sfruttamento dei bambini a scopi di finanziari, contribuendo anche allo sviluppo di importanti convenzioni internazionali sui diritti dei minori”.

In questi anni, l’impegno di Satyarthi ha permesso di liberare almeno 80.000 bambini dalla schiavitù, favorendone la reintegrazione sociale. Malala Yousafzay, oltre ad essere uno dei simboli dei diritti dei minori, è stata premiata anche perché ha vissuto sulla propria pelle la violenza dello sfruttamento e della violazione dei diritti dei bambini: “Nonostante la sua giovane età Malala Yousafzay già da anni combatte per i diritti delle bambine all’educazione e ha dimostrato con l’esempio che i giovani possono anche loro contribuire a migliorare la situazione. E lo ha fatto nelle circostanze più pericolose: attraverso la sua battaglia eroica, è diventata una voce guida per i diritti dei bambini all’educazione”.

Malala diventa così la più giovane persona ad aver ricevuto il premio, ‘record’ detenuto da Lawrence Bragg, Nobel per la Fisica nel 1915 a soli 25 anni. Malala è diventata famosa per la sua decisione di donare, a soli 11 anni, il suo diario scritto in urdu alla Bbc, dove raccontava la vita di una bambina sotto il regime talebano nella Valle di Swat.

Per questo suo impegno nella lotta per i diritti delle bambine in Pakistan, subì un attacco da parte di guerriglieri taliban: il 9 ottobre 2012, mentre tornava da scuola in bus, un miliziano salì sul mezzo e sparò due colpi che la colpirono alla testa e al collo ‘non perché lottava i favore dell’istruzione femminile, avevano affermato i Taleban, ma perché faceva propaganda contro di noi e contro la Sharia”.

Anche Amnesty International aveva commentato positivamente l’evento: “Il lavoro di Kailash Satyarthi e Malala Yousafzai rappresenta la lotta di milioni di bambini in tutto il mondo. Questo è un premio per i difensori dei diritti umani che sono disposti a dedicarsi interamente alla promozione dell’educazione e dei diritti dei bambini più vulnerabili del mondo… Malala offre un potente esempio che ha ispirato persone di tutto il mondo e che è stato meritatamente riconosciuto dal Comitato per il Nobel.

Il coraggio che ha mostrato di fronte a tale avversità è una vera ispirazione. Le sue azioni sono un simbolo di ciò che significa difendere i diritti, con la semplice richiesta di soddisfare il diritto umano fondamentale all’istruzione. Kailash Satyarthi ha dedicato la sua vita ad aiutare i milioni di bambini che in India sono ridotti in schiavitù e costretti al lavoro in condizioni torride. Il suo premio è un riconoscimento alla instancabile campagna condotta da decenni dagli attivisti della società civile contro la tratta dei bambini e il lavoro minorile in India”.

E la giornalista Michela Coricelli ha scritto un libro sulle donne che vivono sulla propria pelle la discriminazione di essere donne, ‘Asia Bibi, Malala e le altre’, raccontando storie di giovani donne che si sono opposte all’angusto meccanismo d’intolleranza del Pakistan, che mostra il suo aspetto più violento proprio sui cittadini di sesso femminile: “Un po’ come Malala, ragazzina pure lei, che ora vive in Inghilterra dopo essere stata vittima di un attacco dei talebani nel nord del Paese: le hanno sparato alla testa e al torace.

La sua colpa? Difendere il diritto all’istruzione per le ragazze come lei dai fondamentalisti islamici che spesso distruggono le scuole. La sua storia è nota: l’ha raccontata lei stessa anche all’Onu, lo scorso giugno”. Ed in questo giorno di riconoscimento dei diritti di chi lotta per la libertà non possiamo dimenticare Asia Bibi, che ad ottobre ha subito una condanna assurda e ‘feroce’: “Sono stata condannata perché cristiana. Credo in Dio e nel suo grande amore. Se lui mi ha condannata a morte perché amo Dio, sarò orgogliosa di sacrificare la mia vita per Lui”.

Il suo avvocato Mushtaq Gill, 33 anni, tre figli e una ong nel Punjab, nel suo intervento all’Università Cattolica di Piacenza, ha affermato che Asia Bibi: “Sta molto male, ha febbre alta e forti mal di testa, ha perso la speranza… Però ci sono buone possibilità che la Corte Suprema annulli la sentenza”. Il prof. Mobeen Shahid, docente di Pensiero e religione islamica alla Pontificia Università Lateranense e fondatore dell’Associazione internazionale ‘Pakistani cristiani in Italia’, ha affermato a Radio Vaticana:

“Asia Bibi non sta male solo da ora, ma già da qualche anno, non avendo avuto grandi possibilità di vedere la sua famiglia. Ma non solo non riesce a vedere i suoi familiari, ha anche paura di essere uccisa da una delle sue compagne di cella. Per questo, fisicamente la donna è molto debole e su di lei influisce negativamente anche il suo isolamento. Inoltre il fatto triste è che un’Alta Corte confermi una condanna a morte basata su false accuse. Purtroppo, la situazione della persecuzione dei cristiani è un fatto quotidiano”.

Non dimentichiamo e non lasciamo sole nella lotta chi ogni giorno difende i diritti dei bambini e dei più deboli.

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