“Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore”

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Quanta umanità, quanta contemporaneità ci ha regalato il Caravaggio con questo dipinto! E’ la “Madonna dei pellegrini”, realizzata nel 1606 e collocata nella cappella del Cavalletti, presso la chiesa romana di Sant’Agostino. In realtà il Cavalletti, ricco notaio bolognese, aveva richiesto di dipingere un quadro mariano che doveva raffigurare la Madonna di Loreto. 

I piedi della Vergine  e quelli del Bambino sono puliti, candidi, mentre i piedi del pellegrino sono sporchi. Questa evidente contrapposizione ci scuote e ci annuncia come il mondo divino della Vergine e del Bambino si offre ad un’umanità che ha i piedi sporchi, si offre a questa umanità e non ad una umanità ideale. Caravaggio propone ai nostri occhi la crudezza dell’esistenza umana che, comunque, è toccata dalla presenza del divino. La disposizione dei personaggi nell’opera mostra la relazione tra il Bambino Gesù ed il pellegrino: si toccano, sono in contatto. La grazia di Dio offre se stessa: questo particolare è evidente nel movimento della Madonna che si  presenta sulla soglia, appena scesa dal cielo con il suo piccolo, per farsi incontro all’uomo ed alla donna. Contemporaneamente viene evidenziato il valore del pellegrinaggio, una delle opere meritorie proposte nei secoli dalla chiesa come occasione di maturazione spirituale e di crescita nella fede.

Preparandoci alla festa dell’Immacolata Concezione, penso agli attributi che, nel corso dei secoli, sono stati assegnati alla Vergine Maria: “primo Tabernacolo della storia”, “madre di Dio”, è nostra madre, è una modello che la Chiesa deve imitare per portare Gesù all’umanità.

Mentre ammiro il dipinto, rifletto sulle parole di Papa Francesco all’Udienza Generale del 23 ottobre 2013. 

In che modo Maria è per la Chiesa esempio vivente di amore? Pensiamo alla sua disponibilità nei confronti della parente Elisabetta. Visitandola, la Vergine Maria non le ha portato soltanto un aiuto materiale, anche questo, ma ha portato Gesù, che già viveva nel suo grembo. Portare Gesù in quella casa voleva dire portare la gioia, la gioia piena. Elisabetta e Zaccaria erano felici per la gravidanza che sembrava impossibile alla loro età, ma è la giovane Maria che porta loro la gioia piena, quella che viene da Gesù e dallo Spirito Santo e si esprime nella carità gratuita, nel condividere, nell’aiutarsi, nel comprendersi.

La Madonna vuole portare anche a noi, a noi tutti, il grande dono che è Gesù; e con Lui ci porta il suo amore, la sua pace, la sua gioia. Così la Chiesa è come Maria: la Chiesa non è un negozio, non è un’agenzia umanitaria, la Chiesa non è una ONG, la Chiesa è mandata a portare a tutti Cristo e il suo Vangelo; non porta se stessa – se piccola, se grande, se forte, se debole, la Chiesa porta Gesù e deve essere come Maria quando è andata a visitare Elisabetta. Cosa le portava Maria? Gesù. La Chiesa porta Gesù: questo è il centro della Chiesa, portare Gesù! Se per ipotesi, una volta succedesse che la Chiesa non porta Gesù, quella sarebbe una Chiesa morta! La Chiesa deve portare la carità di Gesù, l’amore di Gesù, la carità di Gesù.

Abbiamo parlato di Maria, di Gesù. E noi? Noi che siamo la Chiesa? Qual è l’amore che portiamo agli altri? E’ l’amore di Gesù, che condivide, che perdona, che accompagna, oppure è un amore annacquato, come si allunga il vino che sembra acqua? È un amore forte, o debole tanto che segue le simpatie, che cerca il contraccambio, un amore interessato?  Un’altra domanda: a Gesù piace l’amore interessato? No, non gli piace, perché l’amore deve essere gratuito, come il suo. Come sono i rapporti nelle nostre parrocchie, nelle nostre comunità? Ci trattiamo da fratelli e sorelle? O ci giudichiamo, parliamo male gli uni degli altri, curiamo ciascuno il proprio “orticello”, o ci curiamo l’un l’altro? Sono domande di carità!

Chiediamo al Signore che ci doni la sua grazia, la sua forza, affinché nella nostra vita e nella vita di ogni comunità ecclesiale si rifletta il modello di Maria, Madre della Chiesa. Così sia!”

Mi concedo ancora qualche minuto davanti al quadro del Caravaggio e penso a Maria come madre e penso alla dolcissima definizione riconosciuta anche alla Chiesa: la Chiesa è madre!

Ci sono, però, tante persone che non incontrano  una Chiesa madre, anzi, si allontanano dalla Chiesa perché, vivendo “situazioni irregolari”, si sentono giudicate, e sanno che non possono, in certi casi,  accostarsi all’Eucaristia. Ma allora perché la Chiesa è Madre? Come dimostra il suo amore materno?

Una madre è colei che genera ed esercita funzioni educative, una mamma, invece, ci riporta ad una dimensione di madre che si prende cura di qualcuno con affetto materno e, quindi, è materno tutto ciò che evoca un sentimento di tenerezza.

Nella mia esperienza personale di mamma, quando i miei figli si comportano male, si ribellano, fanno una cosa sbagliata, non rispondono alle mie aspettative, io mi fermo, me li guardo, li ascolto, cerco di capire le loro ragioni, suggerisco loro come sarebbe meglio  agire e poi li abbraccio, li bacio, gioco e scherzo con loro, mi faccio vicina a loro, non gli dico prima ripara il danno, fai il tuo dovere e poi  in ultimo, forse, ti dimostro di volerti comunque bene con un bacio.

La Chiesa, per non sbagliare, sceglie spesso la via educatrice, l’applicazione della legge prima e l’accoglienza della persona dopo; il giudizio sul modo di vita con la conseguente condanna e dopo la carità ed il perdono. Una Chiesa che è disposta ad ascoltare solo se uno prima si cosparge il capo di cenere.

Non sarebbe preferibile, in molti casi, trovare una Chiesa mamma più che Madre? Una Chiesa che prima abbraccia, accoglie, perdona, e poi indica la via migliore per crescere e camminare come  persone battezzate e redente in Cristo Gesù; una Chiesa tenera come Maria nostra madre, non un tribunale che addita i peccatori e li allontana; una Chiesa umile che sa di essere peccatrice, che non crea problemi ai problemi già esistenti, che non chiede documenti e non pretende di accogliere fra le sue braccia i promossi a pieni voti?

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