Poveri, vittime della violenza e giovani, le sfide comuni di Francesco e Bartolomeo

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“Neanche il dialogo tra cristiani può sottrarsi alla logica dell’incontro personale” dice Papa Francesco al Patriarca Ecumenico, e poi presenta le tre sfide comuni: i poveri, le vittime di conflitti, i giovani. Domenica mattina, 30 novembre solenne festa di San’ Andrea Apostolo e patrono della Chiesa ortodossa, Papa Francesco, come i suoi tre predecessori, partecipa alla Divina Liturgia, che nella Chiesa Orientale è la celebrazione eucaristica. Lo ha fatto molte volte Bergoglio, lo ha ricordato lui stesso, da arcivescovo di Buenos Aires. Ma ora è Pietro che incontra Andrea.

Una storia di lento avvicinamento umano quella tra i pontefici e i patriarchi ortodossi, ma anche di immutata distanza teologica, nonostante la Unitatis Redintegratio e il Codice dei canoni delle Chiese Orientali.

“Un autentico dialogo dice il Papa nel suo discorso, è sempre un incontro tra persone con un nome, un volto, una storia, e non soltanto un confronto di idee. Questo vale soprattutto per noi cristiani, perché per noi la verità è la persona di Gesù Cristo.” 

Il Papa ha ricordato i passaggi principali del Decreto del Concilio Vaticano II sulla ricerca dell’unità tra tutti i cristiani, Unitatis redintegratio, “documento fondamentale con il quale è stata aperta una nuova strada per l’incontro tra i cattolici e i fratelli di altre Chiese e Comunità ecclesiali.”

La comunione non è sottomissione uno all’altro “né assorbimento, ma piuttosto accoglienza di tutti i doni che Dio ha dato a ciascuno per manifestare al mondo intero il grande mistero della salvezza realizzato da Cristo Signore per mezzo dello Spirito Santo.” E Francesco afferma: “l’unica cosa che la Chiesa cattolica desidera e che io ricerco come Vescovo di Roma, “la Chiesa che presiede nella carità”, è la comunione con le Chiese ortodosse.”

Poi Il Papa parla di quello che già oggi, insieme, anche se non in comunione, cattolici e ortodossi possono condividere: ascoltare le voci dei poveri e aiutarli e difendere le loro dignità: “ Ci chiedono inoltre di lottare, alla luce del Vangelo, contro le cause strutturali della povertà: la disuguaglianza, la mancanza di un lavoro degno, della terra e della casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi. Come cristiani siamo chiamati a sconfiggere insieme quella globalizzazione dell’indifferenza che oggi sembra avere la supremazia e a costruire una nuova civiltà dell’amore e della solidarietà.”

Insieme, spiega il Papa cattolici e ortodossi devono ascoltare la voce delle vittime dei conflitti: “questa voce la sentiamo risuonare molto bene da qui, perché alcune nazioni vicine sono segnate da una guerra atroce e disumana. Turbare la pace di un popolo, commettere o consentire ogni genere di violenza, specialmente su persone deboli e indifese, è un peccato gravissimo contro Dio, perché significa non rispettare l’immagine di Dio che è nell’uomo.” E’ una voce che deve interrogarci: “come possiamo annunciare credibilmente il messaggio di pace che viene dal Cristo, se tra noi continuano ad esistere rivalità e contese?”

Infine la voce dei giovani che oggi  “influenzati dalla cultura dominante, cercano la gioia soltanto nel possedere beni materiali e nel soddisfare le emozioni del momento. Le nuove generazioni non potranno mai acquisire la vera saggezza e mantenere viva la speranza se noi non saremo capaci di valorizzare e trasmettere l’autentico umanesimo, che sgorga dal Vangelo e dall’esperienza millenaria della Chiesa.” Ma i buoni esempi ci sono, come ricorda il Papa, come esempio i raduni internazionali organizzati dalla comunità di Taizé. Senza ignorare il “significato delle differenze che ancora ci separano” ma vedendo oltre, per “cogliere l’essenziale che già ci unisce.”

E il Papa conclude: “siamo già in cammino verso la piena comunione e già possiamo vivere segni eloquenti di un’unità reale, anche se ancora parziale. Questo ci conforta e ci sostiene nel proseguire questo cammino.”

Il Patriarca nel suo discorso pronunciato prima di quello del Papa al termine della celebrazione ha ricordato il pellegrinaggio comune in Terra Santa a 50 anni da quel primo riavvicinamento post conciliare tra Paolo VI ed Atenagora e il successivo comune cammino, per arrivare alla implicita richiesta di una decisione significativa per il Sinodo pan ortodosso del 2016. Riprende le idee del documento di Ravenna 2007 e spera nel futuro.

Bartolomeo ricorda le visite reciproche, la fede comune per un millennio e pone una domanda: “a cosa serve la nostra fedeltà al passato, se questo non significa nulla per il futuro? A cosa giova il nostro vanto per quanto abbiamo ricevuto, se tutto ciò non si traduce nella vita per l’uomo e per il mondo di oggi e di domani? “Gesù Cristo è sempre lo stesso , ieri e oggi e nei secoli” (Eb. 13, 8-9). E la sua Chiesa è chiamata ad avere il suo sguardo volto non tanto all’ieri, quanto all’oggi e al domani. La Chiesa esiste per il mondo e per l’uomo e non per se stessa.”

Anche il Patriarca si fa domande sulla violenza “addirittura nel nome di Dio? Come sarà distribuita la ricchezza della terra in modo più equo, cosicché domani la umanità non viva la schiavitù più esecrabile, che abbia mai conosciuto? Quale pianeta troveranno le prossime generazioni per abitarvi, quando l’uomo contemporaneo nella sua cupidigia lo distrugge senza pietà ed in modo irrimediabile?”

E saluta Francesco come “araldo dell’amore, della pace e della riconciliazione. Insegnate con i Vostri discorsi, ma soprattutto e principalmente con la semplicità, la umiltà e l’amore verso tutti, per i quali esercitate il Vostro alto ufficio. Ispirate fiducia agli increduli, speranza ai disperati, attesa a quanti attendono una Chiesa amorevole verso tutti. Tra le altre cose, offrite ai Vostri fratelli Ortodossi, la speranza che durante il Vostro tempo, l’avvicinamento delle nostre due grandi antiche Chiese continuerà a edificarsi sulle solide fondamenta della nostra comune tradizione, la quale da sempre rispettava e riconosceva nel corpo della Chiesa un primato di amore, di onore e di servizio, nel quadro della sinodalità, affinché “con una sola bocca ed un sol cuore” si confessi il Dio Trino e si effonda il Suo amore nel mondo.”

Il Patriarca ricorda che nel 2016  si celebrerà il Grande Sinodo della Chiesa Ortodossa. “Purtroppo, la rottura millenaria della comunione eucaristica tra le nostre Chiese non permette ancora la convocazione di un grande comune Concilio Ecumenico. Preghiamo dunque che, ristabilita la piena comunione tra di esse, non tardi a sorgere anche questo grande ed importante giorno. Fino a quel benedetto giorno, la partecipazione di entrambe le nostre Chiese alla vita sinodale dell’altra, si esprimerà attraverso l’invio di osservatori, come già succede, su Vostro cortese invito, durante i Sinodi della Vostra Chiesa e come – speriamo -, vogliamo succeda, con l’aiuto di Dio, anche durante la realizzazione del nostro Santo e Grande Sinodo.”

E Bartolomeo conclude: “I problemi, che la congiuntura storica innalza davanti alle Chiese, impongono a noi il superamento della introversione e il fatto di affrontarli per quanto possibile con più strette collaborazioni. Non abbiamo più il lusso per agire da soli. Gli odierni persecutori dei Cristiani non chiedono a quale Chiesa appartengono le loro vittime. L’unità, per la quale ci diamo molto da fare, si attua già in alcune regioni, purtroppo, attraverso il martirio. Tendiamo dunque insieme la mano all’uomo contemporaneo, la mano del solo che è in grado di salvarlo per mezzo della Croce e della Sua Resurrezione.”

Dopo la celebrazione il Papa e il Patriarca si sono recati nella sede del Patriarcato per firmare una dichiarazione congiunta e benedire insieme dalla loggia del Patriarcato, i fedeli presenti.

Nella mattina,dopo aver celebrato la Santa Messa in privato nella Rappresentanza Pontificia di Istanbul, il Santo Padre Francesco aveva incontrato il Gran Rabbino di Turchia, S.E. Isak Haleva.

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