Il Papa al ministero degli Affari Religiosi: “Condannare tutte le violenze in nome di Dio”

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Le situazione dei cristiani perseguitati davanti agli occhi, Papa Francesco incontra il presidente del Dyianet Mehmet Gormez e gli chiede di prendere una posizione precisa sui massacri religiosi perpetuati in Iraq, Siria e in tutto il Medioriente, con un chiaro riferimento all’auto-proclamatosi Stato Islamico, che non viene mai menzionato esplicitamente. Perché – dice il Papa – “in qualità di capi religiosi, abbiamo l’obbligo di denunciare tutte le violazioni della dignità e dei diritti umani”.

Forse la visita al Diyanet è la tappa più impegnativa del viaggio di Papa Francesco. La Presidenza degli Affari Religiosi è un organo governativo in Turchia, e si basa sull’articolo 136 della Costituzione turca. Istituito nel 1924, dopo l’abolizione del Califfato, ha il dovere di “eseguire il lavoro riguardo le credenze, il culto, e l’etica dell’Islam, illuminare il pubblico riguardo la loro religione, e amministrare i posti di culto sacro.

Un organo governativo che controlla i testi degli imam, e che può contare su un fondo (stimato nel 2006) di 900 milioni di dollari americani. Un organo governativo il cui presidente, Mehmet Görmez, solo poco tempo fa ha accusato il Papa di “lavare i piedi dei pellegrini e organizzare partite di calcio in Vaticano, invece di condannare la distruzione delle moschee in Germania”.

È lo specchio dell’islamizzazione del Paese, un processo lento, iniziato ben prima dei 12 anni di dominio di Erdogan. Una islamizzazione quasi ideologica. Tanto che nella Germania decantata da Gormez, ad Duisburg si è fondata una moschea chiamata Hagia Sophia, come la chiesa cristiana trasformata in moschea e ora un Museo.

Voleva andare in un campo rifugiati ai confini della Turchia, il Papa. Si dovrà accontentare di andare dai rifugiati accolti dai Salesiani in un centro proprio dietro la cattedrale del Santo Spirito. E la diplomazia vaticana pare non abbia preso bene il non intervento di Erdogan per salvare i curdi a Kobane. Sono tutte cose che pesano nel discorso di Papa Francesco.

Un discorso le cui linee guida sono state discusse nel Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, sovrinteso dal cardinale-diplomatico di lungo corso Jean Louis Tauran, il primo a chiedere ai leader religiosi una posizione netta di fronte al massacro dei cristiani in Iraq. Parole che vengono quasi ricalcate dal Papa.

“In qualità di capi religiosi, abbiamo l’obbligo di denunciare tutte le violazioni della dignità e dei diritti umani. La vita umana, dono di Dio Creatore, possiede un carattere sacro. Pertanto, la violenza che cerca una giustificazione religiosa merita la più forte condanna, perché l’Onnipotente è Dio della vita e della pace. Da tutti coloro che sostengono di adorarlo, il mondo attende che siano uomini e donne di pace, capaci di vivere come fratelli e sorelle, nonostante le differenze etniche, religiose, culturali o ideologiche.”

Papa Francesco è arrivato a queste parole partendo da lontano, ricordando l’incontro di Benedetto XVI con il Dyianet nel 2006, sottolineando che le buone relazioni e il dialogo tra leader religiosi rivestono infatti una grande importanza” perché questi “rappresentano un chiaro messaggio indirizzato alle rispettive comunità, per esprimere che il mutuo rispetto e l’amicizia sono possibili, nonostante le differenze.”

E l’amicizia “acquista speciale significato e ulteriore importanza in un tempi di crisi
come il nostro, crisi che in alcune aree del mondo diventano veri drammi per intere popolazioni,” di fronte a guerre che “seminano vittime e distruzioni; tensioni e conflitti inter-etnici e interreligiosi; fame e povertà che affliggono centinaia di milioni di persone; danni all’ambiente naturale, all’aria, all’acqua, alla terra.”

E’ a partire da qui che il Papa si riferisce alla “veramente tragica situazione in Medio Oriente, specialmente in Iraq e in Siria.”

“Tutti soffrono le conseguenze dei conflitti e la situazione umanitaria è angosciante. Penso a tanti bambini, alle sofferenze di tante mamme, agli anziani, agli sfollati e ai rifugiati, alle violenze di ogni tipo,” sottolinea il Papa.

Il Papa esprime la sua “particolare preoccupazione” per “il fatto che, soprattutto a causa di un gruppo estremista e fondamentalista, intere comunità, specialmente – ma non solo – i cristiani e gli yazidi, hanno patito e tuttora soffrono violenze disumane a causa della loro identità etnica e religiosa. Sono stati cacciati con la forza dalle loro case, hanno dovuto abbandonare ogni cosa per salvare la propria vita e non rinnegare la fede. La violenza ha colpito anche edifici sacri, monumenti, simboli religiosi e il patrimonio culturale, quasi a voler cancellare ogni traccia, ogni memoria dell’altro”.

Per quello chiede a tutti i leader religiosi di prendere una posizione netta. Ma chiede anche che “alla denuncia occorre far seguire il comune lavoro per trovare adeguate soluzioni. Ciò richiede la collaborazione di tutte le parti: governi, leader politici e religiosi, rappresentanti della società civile, e tutti gli uomini e le donne di buona volontà. In particolare, i responsabili delle comunità religiose possono offrire il prezioso contributo dei valori presenti nelle loro rispettive tradizioni.”

Papa Francesco mette in luce i “tesori spirituali in comune” tra cristiani e  musulmani: l’adorazione di Dio misericordioso, il riferimento al patriarca Abramo, la preghiera, l’elemosina, il digiuno elementi che, vissuti in maniera sincera, possono trasformare la vita e dare una base sicura alla dignità e alla fratellanza degli uomini”.

Il Papa guarda al viaggio di Giovanni Paolo II, a quando il Papa santo sottolineò che “riconoscere e sviluppare questa comunanza spirituale – attraverso il dialogo interreligioso – ci aiuta anche a promuovere e difendere nella società i valori morali, la pace e la libertà” e che “il comune riconoscimento della sacralità della persona umana sostiene la comune compassione, la solidarietà e l’aiuto fattivo nei confronti dei più sofferenti. A questo proposito, vorrei esprimere il mio apprezzamento per quanto tutto il popolo turco, i musulmani e i cristiani, stanno facendo verso le centinaia di migliaia di persone che fuggono dai loro Paesi a causa dei conflitti. E’ questo un esempio concreto di come lavorare insieme per servire gli altri, un esempio da incoraggiare e sostenere.” Ce ne sono circa due milioni, ha aggiunto.

E aggiunge che dopo aver parlato con il Presidente si  augura che il dialogo interreligioso divenga creativo e trovi nuove forme.

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