Papa Francesco e la pastorale urbana: missione e testimonianza per una Chiesa in uscita
E’ un racconto personale quello di Papa Francesco ai partecipanti al congresso della pastorale delle grandi città. La sua è la esperienza diretta della vita di un vescovo di una città di 13 milioni di persone.
Per prima cosa il Papa para di nuove “mappe” per la pastorale. Il cristianesimo non è più cultura dominante e riconosciuta dalla maggioranza e quindi la pastorale deve cambiare senza per questo diventare una “pastorale relativista” – no, questo no – che per voler esser presente nella “cucina culturale” perde l’orizzonte evangelico, lasciando l’uomo affidato a sé stesso ed emancipato dalla mano di Dio. No, questo no. Questa è la strada relativista, la più comoda. Questo non si potrebbe chiamare pastorale! Chi fa così non ha vero interesse per l’uomo, ma lo lascia in balìa di due pericoli ugualmente gravi: gli nascondono Gesù e la verità sull’uomo stesso. E nascondere Gesù e la verità sull’uomo sono pericoli gravi! Strada che porta l’uomo alla solitudine della morte.”
Ma bisogna annunciare con coraggio “non avere vergogna o ritrosia nell’annunciare Gesù Cristo; cercare il come… Questo è un lavoro-chiave.”
Le grandi città sono multiculturali e anche questo chiede una dialogo senza paura, spiega il Papa. E serve usare tutte le scienze e le conoscenze che possono spiegare questo fenomeno. “Ci aiuterà molto- ha detto il Papa- conoscere gli immaginari e le città invisibili, cioè i gruppi o i territori umani che si identificano nei loro simboli, linguaggi, riti e forme per raccontare la vita.” E il Papa pensa a san Paolo.
Infine il Papa punta alla pietà popolare, la religiosità del popolo: “Dio abita nella città. Bisogna andare a cercarlo e fermarsi là dove Lui sta operando.” Parla anche delle religiosità non cristiane: “non possiamo misconoscere né disprezzare tale esperienza di Dio che, pur essendo a volte dispersa o mescolata, chiede di essere scoperta e non costruita. Lì ci sono i semina Verbi seminati dallo Spirito del Signore. Non è bene fare valutazioni affrettate e generiche del tipo: “Questa è solo un’espressione di religiosità naturale”. No, questo non si può dire! Da lì possiamo cominciare il dialogo evangelizzatore, come fece Gesù con la Samaritana e sicuramente con molti altri al di là della Galilea.”
Poi parla dell’ esperienza dell’ America Latina e dice che la forza religiosa viene dai poveri.
E parla dei “pellegrini della vita, in cerca di “salvezza”, che molte volte hanno la forza di andare avanti e di lottare grazie a un senso ultimo che ricevono da un’esperienza semplice e profonda di fede in Dio.” In loro, dice il Papa c’è grande fede “un potenziale enorme per l’evangelizzazione delle aree urbane.”
Ovviamente la Chiesa non può rimanere insensibile alla voce degli “scartati”.
Vedere, giudicare, agire, il metodo latinoamericano diventa proposta con due parole chiave: “uscire e facilitare.”
Con spirito profondamente gesuita il Papa dice: “Tutto pensato in chiave di missione. Un cambiamento di mentalità: dal ricevere all’uscire, dall’aspettare che vengano all’andare a cercarli.”
Andare incontro alla gente: “Uscire per incontrarsi, per ascoltare, per benedire, per camminare con la gente. E facilitare l’incontro con il Signore. Rendere accessibile il sacramento del Battesimo. Chiese aperte. Segreterie con orari per le persone che lavorano. Catechesi adatte nei contenuti e negli orari della città.” Ed altre proposte operative. E poi “esserci”, la Chiesa samaritana di cui il Papa parla sempre: “Papa Benedetto, quando ha detto che la Chiesa non cresce per proselitismo ma per attrazione, parlava di questo. La testimonianza che attrae, che fa incuriosire la gente.
Qui sta la chiave. Con la testimonianza possiamo incidere nei nuclei più profondi, là dove nasce la cultura.” Testimonianza e misericordia.
Il Papa ha concluso parlando delle tante organizzazioni ecclesiali con le quali, dice “possiamo farci carico dei più poveri con azioni significative, azioni che rendano presente il Regno di Dio manifestandolo e dilatandolo. Anche imparando a lavorare insieme a quanti già stanno facendo cose molto efficaci in favore dei più poveri. E’ uno spazio assai propizio alla pastorale ecumenica caritativa, in cui assumiamo impegni di servizio ai più poveri insieme a fratelli di altre Chiese e comunità ecclesiali.”
Impegno ecumenico, impegno dei laici e degli stessi poveri e “libertà del laico, perché quello ci imprigiona, che non fa spalancare le porte è la malattia del clericalismo. E’ uno dei problemi più gravi.”
Per concludere il Papa cita Montini “che durante il suo episcopato a Milano curò con zelo appassionato la grande missione cittadina. Negli scritti del beato Paolo VI, quando era arcivescovo di Milano, c’è un cantiere, un cantiere di cose che ci potranno aiutare in questo.”