La Turchia in attesa di papa Francesco

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Papa Francesco è in Turchia con il desiderio di dialogo e di incontro tra le diverse confessioni religiose, culture e popoli. Nel Paese ci sono pochi cattolici, ai quali è garantita giuridicamente la libertà di culto, su cui però pesano quasi un divieto di proselitismo e un mancato riconoscimento giuridico che distingue i cattolici da altre minoranze religiose, come gli armeni e gli ortodossi, che rientrano nel Trattato di Losanna.

Per comprendere meglio le finalità del viaggio abbiamo chiesto spiegazioni alla dott.ssa Maria Laura Conte, direttore editoriale e della comunicazione della Fondazione Internazionale ‘Oasis’, la cui mission è quella di favorire la conoscenza tra cristiani e musulmani, per creare spazi di dialogo, documentando la reciproca rilevanza culturale del Cristianesimo per l’Islam e viceversa, in vista dell’edificazione della vita buona personale e comunitaria:

“Papa Francesco risponde a un invito plurale: quello rivoltogli dal presidente della Repubblica di Turchia, dal patriarca Bartolomeo I e dal presidente della Conferenza episcopale turca. Parteciperà alla festa di sant’Andrea, il fondatore della Chiesa di Costantinopoli, innestandosi in una tradizione che vuole che una delegazione vaticana prenda parte alle celebrazioni del Patriarcato di Costantinopoli così come un rappresentante ortodosso partecipa sempre a Roma alla solennità dei SS. Pietro e Paolo.

Ma accanto a queste ragioni di carattere più istituzionale la Turchia si presenta particolarmente provocante rispetto a temi che stanno a cuore a Papa Francesco: la cura particolare per quelle ‘periferie’ nelle quali i cristiani sono minoranza e affrontano quotidianamente discriminazioni di natura diversa; la sollecitudine per la promozione dell’unità dei cristiani; la dedizione al dialogo interreligioso, in particolare con l’Islam che qui è la religione della stragrande maggioranza della popolazione; la difesa a tutto campo della libertà religiosa, non riducibile alla libertà di culto, come si è ascoltato nei suoi interventi in Albania.

Dei cristiani in questo grande Paese, non è facile avere numeri certi, ma la loro vita non è semplice. Si parla di circa 100.000 presenze su una popolazione di 85.000.000 di abitanti. I cattolici latini sono circa 20.000 e perlopiù stranieri; i greci ortodossi a Istanbul sono circa 3000, 5000 circa in tutta la Turchia. Più numerosa è la comunità degli armeni ortodossi, circa 60.000, mentre gli armeni cattolici sono attorno ai 3000. Poi c’è una sparuta presenza di siro cattolici e di caldei, ora accresciuta dalla presenza dei profughi iracheni. E a questi vanno aggiunte alcune migliaia di protestanti.

Il punto critico che sembra insuperabile per un concorso di fattori è che la Chiesa cattolica di rito latino non gode del riconoscimento giuridico da parte dello Stato e quindi non può avere seminari, né scuole, né può acquistare o erigere nuovi luoghi di culto. Le ricadute nella vita quotidiana dei cattolici sono pesanti, deprimenti. Dunque a quello che resta il movente principale dei viaggi apostolici, e cioè confermare nella fede i fedeli che gli sono affidati, si aggiungono tutti gli spunti che offre la Turchia per il suo profilo particolare:

è al centro dell’attenzione globale per lo sviluppo economico, gioca un ruolo importante nel contesto mediorientale, sta accogliendo decine di migliaia di profughi dalla vicina martoriata Siria, Paese laico per costituzione ha visto vincere le elezioni e rimanere al potere per oltre dieci anni un partito islamista… Anche in questa occasione Francesco stupirà tutti. E cresce l’attesa di ascoltare e vedere fin dove lo spingerà la sua audacia e la sua libertà, che lo rendono capace di gesti inediti”.

E’ un viaggio sulle orme dei due ultimi papi santi verso l’unità della Chiesa?
“Certamente, è ancora molto fresco il ricordo del viaggio in Turchia di Benedetto XVI nel 2006 che a sua volte si pose sulle orme dei suoi predecessori, di Giovanni XXIII che fu nunzio qui per 10 anni prima di diventare papa, di Paolo VI che visitò il Bosforo nel 1967 e di Giovanni Paolo II nel 1979. Difficile osare bilanci sbrigativi sui viaggi papali, i semi che gettano maturano nel tempo e, soprattutto a proposito di ecumenismo, è necessaria tanta pazienza quanta determinazione. I tempi sono geologici, direbbe qualcuno.

Ma alla vigilia di questo nuovo viaggio, più di qualche esponente della comunità locale spera che questa sia l’occasione di un gesto più forte, di un passo più coraggioso di Francesco e Bartolomeo insieme proprio in virtù del cammino precedente e senza dimenticare il Sinodo pan-ortodosso annunciato per il 2015. Che sia possibile a partire da Istanbul 2014 una svolta nell’unità dei cristiani?”

Quale l’attesa dei cristiani turchi?
“Come sempre in questi casi la comunità si mobilita per offrire la migliore delle accoglienze, per cogliere il senso di ogni parola e gesto del Papa. C’è grande fermento e non solo di tipo organizzativo. Il cuore incandescente di questa attesa è, come credo avvenga per le comunità di qualsiasi angolo del pianeta, avvertire con concretezza l’abbraccio della Chiesa universale, che ti dice ‘non sei solo, siamo un popolo in cammino’.

Ma dalle voci che Oasis ha potuto ascoltare tra i cattolici in Turchia, emerge in più un desiderio generato dalla condizione di minoranza in cui vivono: essere aiutati a riconoscere il senso della loro presenza in un Paese che manifesta spesso indifferenza nei loro confronti. Dopo le ferite profonde subite, basti ricordare gli omicidi di don Andrea Santoro e di mons. Luigi Padovese, in questi ultimi anni ciò che grava sempre più come un peso insopportabile è l’indifferenza.

Questa piccola minoranza, tra le altre minoranze che caratterizzano il tessuto della nazione, in gran parte non riconosciuta giuridicamente è trattata come irrilevante. Se decidessero di andarsene tutti, chi in Turchia si alzerebbe per tentare di trattenerli? Eppure non è possibile cancellare un’eredità di secoli così, lasciarla scivolare nell’oblio dell’indifferenza. Tutti ci perderebbero”.

Quale è la politica del governo di Erdogan verso il cristianesimo?
“A questo proposito c’è una narrativa delle parole e poi c’è la realtà dei fatti. La prima è sempre molto positiva, ottimista e bene augurante: Erdogan a parole è molto rispettoso, da anni avanza promesse sulla riapertura del seminario della Chiesa ortodossa nell’isola di Halki, per citare un esempio, o appunto sulla riconsegna al culto della chiesa di San Paolo a Tarso, ridotta a museo e dopo tante trattative concessa per celebrare la messa solo in determinate circostanze.

Ma i fatti dicono altro. Un piccolo esempio: lo scorso settembre è entrata in vigore la riforma della scuola che tra l’altro impone l’insegnamento e l’educazione religiosa coranica a tutti i tipi di scuole, di ogni ordine e grado, mentre fino a ieri era limitato ai licei religiosi. C’è chi descrive questo atteggiamento del nuovo presidente come ‘neo-ottomano’: concede ‘protezione’ alle minoranze, partecipa con magnanimità ad alcune delle loro feste religiose, ma tutto si ferma a gesti simbolici.

Nulla è stato fatto a proposito del riconoscimento di personalità giuridica della Chiesa cattolica di rito latino, questione che come accennato ha ricadute pesanti sul diritto di proprietà, sui permessi di residenza per sacerdoti stranieri, sulla possibilità di trovare un lavoro, per citare le implicazioni più gravi. Mentre il Paese continua a crescere economicamente, con l’ultima elezione diretta del presidente, Erdogan è uscito confermato nel suo potere.

Ha sbaragliato le opposizioni e in previsione c’è una riforma del sistema elettorale che gli garantirà probabilmente di restare al potere fino al 2023. Che fastidio gli può dare un piccolo resto di cristiani?”

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