Volevo dirgliene quattro

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“Quando sto per lasciarmi andare, dentro di me sento la sua voce che mi dice: cosa fai? Non stare lì a piangere, alzati, vai e continua a vivere! E poi realizzo giorno dopo giorno che nel cuore mi ha regalato serenità e pace, quasi tranquillità…” A parlare è Anna, giovane mamma di Intra, Verbania. Suo marito Filippo, trentenne, è morto l’11 settembre 2013, un mese prima della nascita del loro piccolo Luca. Erano sposati solo da un anno quando, nell’agosto 2013, la diagnosi dei medici cancellava ogni speranza di poter abbracciare il bimbo assieme.

Una tragedia, che tuttavia la giovane coppia è riuscita pian piano ad “accettare e accogliere”, sostenuta dall’aiuto dei famigliari e dalla vicinanza dei tanti amici dell’oratorio. Aggiunge Anna: “Per camminare c’è anche bisogno di buone scarpe. Per noi queste scarpe sono state il nostro percorso di crescita personale proprio in oratorio.”

Ilaria Nava, per raccontare la storia di Filippo Gagliardi nel libro “Volevo dirgliene quattro…” (Edizioni San Paolo 2014, 121 pagine), ha intervistato una ventina di parenti, amici e conoscenti, e raccolto numerose altre testimonianze scritte. “Molti mi hanno confidato, stupiti: andavo a trovarlo e uscivo contento, edificato. C’era serenità attorno al suo letto.” La giornalista stessa ricorda: “Questo libro è nato da un sorriso, quello di Anna. L’ho incontrata per la prima volta qualche giorno dopo la morte di Filippo, su segnalazione di una signora di Verbania che ci aveva scritto parlandoci della loro storia. Ovviamente non ero particolarmente felice di andare ad intervistare una giovane vedova da una settimana e incinta all’ottavo mese, ma Anna subito mi ha sorriso, e da quel sorriso ho capito che sarebbe stata tutta un’altra storia: una storia di fede, amicizia e amore.”

E’ stato don Fabrizio, coadiutore dell’oratorio in cui Filippo e Anna erano da anni animatori, a celebrare il funerale. Durante l’omelia, il giovane sacerdote quasi avvertiva i frutti che, da quel momento, la vita di Filippo avrebbe continuato a donare: “Tornate al Signore, fidatevi! Pippo sempre pregava e lavorava per questo. Non siate arrabbiati, lui non lo era! Fidatevi e lasciatevi prendere per mano… Sono certo che siamo solo agli inizi di tanti piccoli miracoli, di tante conversioni.”

Avrebbe poi commentato il vescovo di Novara, mons. Franco Giulio Brambilla, nella Messa del trigesimo: “Stasera, guardo la vostra chiesa e penso a questa città, alla gente che passa in un’estate: se costoro potessero vedere quanto è avvenuto, le persone che cantano, che proclamano “Pippo c’è”… forse potrebbero comprendere la ragione profonda per cui noi speriamo, per cui noi viviamo, per cui noi lottiamo. Anche quando sembra che noi finiamo, non tutto finisce: questa è la questione, anzi è la verità più profonda della vita. Ecco, se qualcuno ci vedesse questa sera, potrebbe dire che a Intra è successo qualcosa in questo mese in cui si vede la differenza della fede cristiana, perché o c’è la risurrezione o, come dice san Paolo, noi saremmo i più disperati tra gli uomini: tutto sarebbe una grande apparenza, se Cristo non fosse risorto. Ecco: una morte così non dà la risposta al “perché”, ma diventa una risposta se noi vediamo come ci trasforma.”

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