Migrazioni, il Pontificio Consiglio dedica il Congresso Mondiale alla cooperazione

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Seconda giornata di lavori alla Pontificia Università Urbaniana, per il VII Congresso Mondiale organizzato dal Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli itineranti sul tema “Cooperazione e sviluppo nella pastorale delle migrazioni”.

Ad aprire la sessione del mattino è stato S.E. Mons. Joseph Kalathiparambil, Segretario del Pontificio Consiglio, che ha introdotto il tema delle migrazioni come mezzo per raggiungere nuove opportunità di lavoro. Una motivazione che spinge sempre più persone a spostarsi per raggiungere nuove e migliori prospettive di vita. Una realtà che costringe chi parte a lasciare la famiglia di origine o a partire con tutto il nucleo familiare e proprio la famiglia è stata al centro degli interventi della mattinata.

S.Em. Card. Luis Antonio G. Tagle, Arcivescovo di Manila (Filippine) ha sottolineato come il concetto di diaspora porti in sé un forte senso di separazione che le famiglie migranti si trovano ad affrontare; uno strappo tra la vita del Paese di origine e quella, incerta, del Paese di arrivo. Storie di incertezza e di pericolo, di viaggi e di rifiuto. Ma diaspora significa anche cooperazione; il movimento umano porta spesso collaborazione, vicinanza, reti di sostegno. E proprio attraverso la cooperazione si vedono nascere storie di solidarietà, di sviluppo e di speranza.

 In seguito è intervenuto S.E. Mons. John C. Wester, Vescovo di Salt Lake City (USA), che ha trattato il tema dei bambini migranti, spesso partiti dalla propria terra da soli e diventati facili vittime dei fenomeni criminali che si nascondono dietro la diaspora. Bambini che vivono sentimenti di abbandono e di alienazione che sfociano anche in forte insicurezza causata della loro separazione dai genitori. Allo stesso tempo, i genitori in partenza verso nuovi Paesi lottano per garantire ai figli migliori condizioni di vita, un’adeguata assistenza sanitaria, e una adeguata istruzione.

Anche S.E. Mons. Lucio Andrice Muandula, Vescovo di Xai-Xai (Mozambico), ha sottolineato come le famiglie in diaspora vivano uno sradicamento dal Paese di origine che, sommato alla difficile integrazione nel nuovo luogo di arrivo, crea l’ansia per la ricerca difficoltosa di una nuova identità. Un passato lasciato alle spalle che continua  a far parte della propria storia, un presente e un futuro incerti, ricchi di aspettative e di preoccupazioni. In questo scenario, la Chiesa è chiamata a fare proprio il dolore in cui la Famiglia migrante si trova a vivere ed è sollecitata ad imparare a condividere il dolore offrendo accoglienza, vicinanza e “dando voce a chi non riesce a far sentire il grido del dolore e dell’oppressione”

Ultimo intervento della mattinata è stato di S.E. Mons. Mario Toso, SDB, Segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace che ha paragonato le famiglie migranti alla Sacra Famiglia. Per questo la Chiesa, ancora di più, si deve fare prossima a chi soffre. “Dio non abbandona la famiglia nel momento in cui questa, o uno dei suoi membri, è costretta o decide di migrare altrove. Anzi, sull’esempio della Santa Famiglia, il cristiano è chiamato a credere ed avere fiducia in un Dio Padre che cammina al suo fianco in ogni pur difficile esperienza di migrazione”.

Nel pomeriggio le delegazioni delle conferenze episcopali del Brasile, di Taiwan e dall’Italia hanno presentato il lavoro svolto con i migranti portando testimonianze concrete.

 

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