Verso il Sinodo. Prevenire il rischio di una tirannia della misericordia

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Negli anni Settanta lo chiamavano “pastoralismo”, ed è prepotentemente tornato di moda oggi. Perché il problema della misericordia, messo in luce da Papa Francesco sin dal suo primo Angelus da Papa, interroga profondamente anche la pratica pastorale. Se la misericordia è il centro della pastorale, cosa ne è di verità e giustizia? E soprattutto, se la misericordia è il centro della pastorale, non può capitare che troppa misericordia in fondo sia un soluzione peggiore del problema?

Se lo chiede Michael Matheson Miller, ricercatore dell’Acton Institute, in un lungo articolo pubblicato su Catholic World Report in tempi non sospetti, il 18 ottobre, al termine del sinodo per la famiglia. Un articolo che parte da un esempio concreto: quello di Haiti, anche questa un’isola cui il Papa presta molta attenzione, tanto che viene da lì Chilby Langlois, l’unico cardinale non arcivescovo creato da Papa Francesco nel suo finora unico concistoro convocato per conferire le “berrette rosse”.

Perché ad Haiti, Matheson aveva incontrato Shelly e Corrigan Clay. Erano lì per adottare un bambino e far partire un orfanotrofio. E, quando le pratiche stavano per essere concluse, il direttore dell’orfanotrofio aveva chiesto alla coppia se avessero voluto vedere la madre biologica. Loro credevano il bambino fosse stato abbandonato. Quando parlarono con la madre, si resero conto che la madre amava il bambino, e che lo dava in adozione solo perché non poteva sostenere le spese.

E così venne fuori che nell’orfanotrofio 22 su 24 bambini avevano almeno un genitore in vita. Addirittura, secondo il governo haitiano, l’80 per cento dei bambini nell’orfanotrofio hanno almeno un parente vivente. “Corrigan spiegò che il nostro desiderio di aiutare gli orfani li stava creando. La carità senza prudenza può portare all’ingiustizia”, scrive Matheson.

Che applica poi il ragionamento alla “pastorale della carità” proposta per garantire un accesso più libero alla comunione per i divorziati risposati. Ma a cosa porterebbe una apertura di quel genere? Come – si chiede Matheson – la misericordia proposta dal cardinal Kasper si applica a quanti seguono il chiaro insegnamento evangelico, e da sposati vivono momenti difficili, anche momenti in cui non si parlano, ma realizzano che si sono impegnati l’uno con l’altro, e con Dio, di stare insieme per tutta la vita.

L’avere compassione per loro, l’idea che “se solo potessero rompere e trovare finalmente il vero amore”, ha “causato una tragedia nascosta e una tristezza non solo per un numero in definitivo di coppie, ma anche per milioni”. E alla fine – conclude Matheson – “viene fuori che un matrimonio infelice è meglio di nessun matrimonio”.

Perché la realtà è differente, e spiega che vivere le proprie passioni non sempre paga. Le inchieste sottolineano che le donne più soddisfatte sessualmente sono le donne sposate e che vivono in maniera stabile, e questo perché – come scriveva Giovanni Paolo II sviluppando la sua teologia del corpo – è che in una coppia stabile si sviluppa un senso di fiducia reciproca che viene da un impegno pubblico e permanente del partner. Questo migliora la vita, perché rende sicuri.

Per Matheson, la proposta di Kasper non può fare altro che alleggerire il peso delle scelte per quanti non vogliono affrontare fino in fondo la vita matrimoniale, e questo aumenterà le separazioni. Queste persone dovrebbero ricevere la comunione perché non si sentano escluse. “Il Cardinal Kasper pensa davvero che questo non aprirà le porte a molti che considerano l’idea di divorziare e impegnarsi in un nuovo matrimonio?

Ma la proposta vanificherebbe anche lo sforzo di quanti, dopo una separazione, non si sposano. Il loro sacrificio risulterebbe vano. “Sono profondamente convinto che la proposta di Kasper, se portata avanti, porterà certamente a una crescita nei divorzi e secondi matrimoni tra i cattolici”, e quelli che ne beneficeranno saranno solo gli uomini di mezza età, mentre donne e bambini ne saranno vittime.

Ma questo avrà anche una ricaduta sul modo in cui le persone concepiscono la comunione. Perché “se la proposta del cardinale è accettata e quanti sono in una persistente relazione adultera possono ricevere la comunione, perché altri che sono in persistente e pubblico peccato non la possono ricevere? Perché ci dovrebbe essere qualche contraddizione per i politici pro-aborto nel ricevere la Comunione? E perché non si dovrebbe permettere a cristiani di altre confessioni di ricevere la comunione? E ci saranno altri peccati mortali che non richiederanno più la confessione o solo alcuni tipi di relazione adultera?”

Domande che bruciano, di fronte all’interpretazione Kasper e al modo in cui molta stampa l’abbia descritta. Ma partivano da un dato preciso, i moltissimi vescovi che hanno criticato l’impostazione, e che al sinodo hanno avviato un dibattito che ora viene derubricato “ad aperta discussione”; ma che secondo alcuni era una “nota di attivo dissenso” sull’impostazione pastoralista. E questo dato è che la proposta di Kasper non fallisce solo dal punto di vista teologico e scritturistico. Fallisce anche pastoralmente.

Scrive Matheson: “Misericordia, carità e cura pastorale sono efficaci solo se ancorate alla verità. ‘Senza verità’, ricordava Benedetto XVI, la carità degenera in sentimentalismo”, e quello che otteniamo non è la misericordia, ma “la tirannia della gentilezza.

Sono anche questi temi su cui ragionare, nonostante il mainstream dei media secolari si ponga in tutt’altra prospettiva, in vista del Sinodo del 2015

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