I ritmi della preghiera

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Se osserviamo i ritmi della preghiera all’interno della Celebrazione Eucaristica, fonte e culmine della vita della Chiesa, vediamo che essi sono orientati verso Dio Padre. Se crediamo ai criteri che ci offre la Sacrosanctum Concilium 5, che la Liturgia è “l’oggi della storia della salvezza”, nella celebrazione viviamo e godiamo l’esperienza di essere salvati.

La celebrazione liturgica conduce sempre i suoi ritmi oranti dal Padre, per il Figlio, nello Spirito Santo, al Padre. I Riti d’ingresso della Messa si concludono, infatti, con l’orazione Colletta che è preghiera rivolta al Padre. La Chiesa orante si rivolge a Dio chiamandolo Padre. Il Rito della Presentazione dei doni si chiude con la preghiera sulle offerte: il dinamismo eucaristico oblativo è orientato a contemplare il Padre. I Riti di comunione hanno come conclusione l’orazione dopo la comunione che nella speranza fa pregustare la contemplazione del volto del Padre. Cuore e culmine di questi ritmi è la Prece Eucaristica. La preghiera parte dal Padre e si conclude col Padre: Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te, Dio Padre onnipotente nell’unità dello Spirito Santo, onore e gloria per tutti i secoli dei secoli. Nella Celebrazione Eucaristica il popolo santo di Dio, convocato da Cristo, nella fecondità dello Spirito Santo accede al volto del Padre. Celebre è la frase di Ambrogio, ripresa da san Bonaventura: ascensio animae in Deum. Tutti i ritmi della preghiera sono orientati verso il Padre. Ritorna spontanea la domanda di Filippo: Signore, mostraci il Padre e ci basta. Questo desiderio dal cuore dovrebbe animare ogni nostra celebrazione evitando così qualsiasi tentazione idolatrica.

Nella tradizione della Chiesa la preghiera del “Padre nostro” ha avuto sempre un posto centrale. Come Gesù si rivolgeva al Padre invocandolo Abbà, così anche i discepoli, con il cuore del Maestro, si rivolgono a Dio. San Paolo, con chiarezza, lo scrive nella lettera ai Romani: Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: Abbà! Padre! (8, 14-15). Lo Spirito è il principio della vita divina in Cristo.

Il senso e l’orientamento della nostra esistenza è innestato nel vivere la sublime vocazione della divina paternità. Il “Padre nostro” appartiene alla disciplina dell’arcano. Nella sua Lettera a Proba, sant’Agostino, parlando della preghiera del Pater, così scrive: “Chiunque prega con parole che non hanno alcun rapporto con questa preghiera evangelica, forse non fa una preghiera malfatta, ma certo troppo umana e terrestre. Del resto stenterei a capacitarmi che una tale preghiera si possa dire ancora ben fatta per i cristiani. E la ragione è che essendo essi rinati dallo Spirito, devono pregare solo in modo spirituale” (130, 22). Il mistero contenuto nel “Padre nostro” ci insegna a pregare in modo autentico perché ci introduce nella stessa personalità di Gesù e nel suo atteggiamento orante, avvertendo dallo Spirito l’urgenza di condividere questa esperienza di preghiera come discepoli di Cristo.

La liturgia antica ci tramanda che, nelle due famose Traditio, al catecumeno veniva consegnato non solo il Simbolo ma anche la preghiera del Signore. La consegna della struttura fondamentale delle verità di fede era in simbiosi con la preghiera che accompagnava la vita quotidiana del credente. Dalla struttura della Didachè sappiamo che ogni pio israelita, tre volte al giorno, recitava lo Shemà che era la professione di fede dell’Alleanza. La Didachè esorta di sostituire lo Shemà con il Pater noster perché costituisce la scelta del discepolato cristiano. Essa, infatti, inserisce il Pater nel capitolo ottavo e lo colloca, tra il settimo, sul battesimo e il capitolo nono e decimo, sull’Eucaristia essendo la verità del battesimo e l’iniziazione all’Eucaristia. Sant’Agostino considera addirittura come “sacramento” la proclamazione del Padre nostro, perché è invocazione che dice Cristo con noi e noi con Cristo, nell’energia dello Spirito Santo.  La divina Liturgia è nostalgia della visione del volto del Padre. In modo diverso e complementare il “Simbolo” e il “Padre nostro” immergono sacramentalmente il discepolo nell’esperienza intima di Gesù. Se col cuore si crede e con la bocca si professa la fede, scrive Paolo nella Lettera ai Romani 10,10, da quello stesso cuore credente sgorga la preghiera del Pater che, nella celebrazione sacramentale, è desiderio che lo Spirito Santo genera in noi di vedere presto il volto del Padre, rivivendo l’esperienza del Figlio Gesù. Il credente, ripetendo quotidianamente la preghiera del Padre nostro, non vive un’abitudine, talvolta arida e incosciente, ma approfondisce, gustando, la Verità. E’ un continuo esercizio nello Spirito a scegliere con Cristo la Verità all’interno del fluire della storia. Il Padre nostro ci istruisce a stabilire una stretta relazione tra la professione di fede, il duetto d’amore della preghiera e lo stile del vissuto quotidiano. La professione di fede non interessa soltanto l’intelligenza, ma permea la persona del credente determinandone le suggestioni del cuore e i gesti della vita.

Chi sceglie Gesù Cristo deve vivere alla scuola del Vangelo, deve essere un Vangelo vivente. L’espressione della conversione comporta l’accoglienza della Verità di fede trascritta nella formula. Nella parabola del figliol prodigo convivono paternità e conversione: la verità di fede diventa vita quando si esprime attraverso la conversione. Meditando la parabola, vediamo che tante volte affiora sulle labbra del figlio giovane la parola “padre”, mai detta dal figlio maggiore. Il fariseo ipocrita che non ha capito il Vangelo, al “delitto” fa seguire il “castigo”. Solo chi vive la preghiera del Padre nostro declina l’intreccio tra “peccato” e “misericordia”. Il “Padre nostro” è scuola di Vangelo. I ministri della misericordia dovrebbero essere i mistagoghi oranti che introducono all’esperienza della preghiera dove la paternità divina diventa luce e guida.

Quando si pensa alla celebrazione della Messa come una hit-parade di belle liturgie con musiche elevate, si precipita in una sorta di “lussuria spirituale”; ma c’è anche il pericolo di assistere a brutte celebrazioni con le insopportabili profanazioni di volgarità musicali. Quando celebra il Sacramento, l’assemblea liturgica è ricolmata dalla sobria ebbrezza dello Spirito Santo. La mistagogia del Pater ci dona la vera intelligenza teologica del Mistero e con essa il gusto sapienziale, il valore della vita spirituale e l’arte raffinata di esprimere il Mistero in quella nobile semplicità che si traduce del vissuto quotidiano.

Nel battesimo ci è stato consegnato il Pater noster per trovare la nostra identità di figli nel Figlio. Guidati dallo Spirito, preghiamo questa sublime invocazione con il cuore di figli nel cuore del Figlio Gesù!

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