La diocesi di Macerata e la missione in Argentina

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Don Frediano Salvucci, già parroco di San Catervo, ha presentato a Tolentino ed a Macerata il libro ‘Quaranta anni della missione in Argentina’, a cura dello stesso, ora monaco benedettino. Nella prefazione al libro, mons. Claudio Giuliodori, già vescovo di Macerata ed ora assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha scritto:

“La storia recente della diocesi di Macerata è segnata dalla missione. Quella missione intesa come cooperazione tra le chiese che ha ricevuto grande slancio con il Concilio Vaticano II ed in particolare con il decreto ‘Ad Gentes’. Nello spirito del Concilio si è sviluppata una straordinaria avventura missionaria che ha visto numerosi sacerdoti della chiesa maceratese farsi prossimi alla Chiesa argentina animando nel tempo, fino ai nostri giorni, diverse comunità dalle periferie di Buenos Aires alla Patagonia”.

Così don Frediano Salvucci ha raccontato la genesi del libro sulla missione diocesana in Argentina: “L’occasione concreta che mi ha spinto a fare questo racconto è stato l’invito di mons. Claudio Giuliodori: ero ritornato da Subiaco a Pasqua del 2011 e, dopo il viaggio del vescovo in Argentina, mi disse che occorreva mettere per iscritto quella storia di cui aveva visto le testimonianze, perché era rilevante per la nostra diocesi: ‘Tu che hai familiarità con la penna, vedi se puoi scrivere qualcosa’. Ritengo anche che è un importante contributo alla vita della nostra diocesi”.

Perché la diocesi di Macerata ha scelto l’Argentina come terra di missione?
“La diocesi scelse l’Argentina durante l’ultima sessione del Concilio Vaticano II, nel 1965, per il fatto che il nostro vescovo del tempo, mons. Silvio Cassulo, aveva conosciuto mons. Raspanti, un vescovo argentino che chiedeva sacerdoti per la sua nuova diocesi, piuttosto grande. Il motivo che spinse il vescovo a dire di sì era per il fatto che c’erano molti migranti italiani e occorreva accompagnarli”.

Come ha risposto la diocesi di Macerata all’invito alla missione del Concilio Vaticano II?
“In quel tempo, ci fu uno scrittore, che fece un libro dal titolo ‘Rilancio e crisi dell’azione missionaria dopo il Concilio’; in effetti, dopo il Concilio ci fu un rilancio dell’azione missionaria e diverse diocesi si entusiasmarono all’idea di poter collaborare direttamente alle missioni, mandando sacerdoti ‘fidei donum’, istituiti da papa Pio XII con un’enciclica apposita nel 1956”.

Ancora oggi si può affermare che la chiesa maceratese è una chiesa missionaria?
“La Chiesa maceratese è missionaria da secoli. Abbiamo missionari illustri come padre Matteo Ricci e san Tommaso da Tolentino. Anche noi abbiamo conosciuti altri missionari del secolo scorso di grande valore. Questa tradizione è arrivata fino a noi e tuttora abbiamo bravi missionari, anche se in numero minore rispetto ad alcuni decenni fa. Grazie a Dio, la nostra diocesi ancora può mandare missionari ‘fidei donum’ , anche per il fatto che abbiamo anche molti sacerdoti del seminario ‘Redemptoris Mater’”.

Quanta influenza ha avuto in questa vocazione alla missione l’esempio di san Tommaso da Tolentino e di padre Matteo Ricci?
“Fino al Concilio Vaticano II queste figure non erano tanto ricordate; furono valorizzate con l’esigenza del Concilio di incarnare la fede nelle culture. Matteo Ricci e san Tommaso da Tolentino lo hanno fatto! Anzi di questo ultimo missionario occorrerebbe riscrivere la vita o ripubblicare qualche libro di fine XIX secolo. Ma il fatto più importante per la nostra diocesi fu, al termine del Concilio Vaticano II, la visita dei vescovi cinesi a Macerata e dei vescovi indiani a Tolentino. Ricordo bene che i vescovi cinesi dicevano che bisognava fare santo padre Matteo Ricci”.

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