Nullità matrimoniali: la prima cura è per la “salus animarum”

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Papa Francesco ha nominato una Commissione speciale che ha lo scopo «di preparare una proposta di riforma del processo matrimoniale, cercando di semplificarne la procedura, rendendola più snella e salvaguardando il principio di indissolubilità del matrimonio». La decisione è stata presa «in data 27 agosto 2014» ed è stata pubblicata con un comunicato della Sala Stampa della Santa Sede che ne ha elencato i membri.

Per comprendere meglio di cosa si tratta Korazym ha incontrato monsignor Piero Amenta, prelato uditore della Rota Romana.

Che cosa significa concretamente?

Ritengo che il Papa abbia voluto affidare ad “addetti ai lavori” la risoluzione di un problema eminentemente tecnico, che rischierebbe di essere stravolto o non valutato nella sua esatta dimensione se affidato a mani inesperte. Si tratta però appunto – stando alla denominazione ricavata dal comunicato ufficiale – di una commissione «di studio»: ciò vorrebbe dire, almeno a mio parere, che essa non sia finalizzata alla redazione di un testo compiuto, ma di linee di evoluzione del processo da proporre all’attenzione della Chiesa intera espressa nel Sinodo dei vescovi.   

L’idea del Papa è di “semplificare la procedura”, vuol dire che sarà più facile avere la nullità matrimoniale?

Questa è una indebita semplificazione – o forse banalizzazione – del problema. Il matrimonio cristiano rimane indissolubile. Questo mi pare un dato acquisito, anche se non gode di alcun pronunciamento solenne da parte del Magistero. Altro è concepire una procedura che, pur rimanendo basata sulle prove e non trasformandosi in procedura basata sulle sole dichiarazioni, eviti il più possibile i tempi lunghi che talvolta si verificano e che mortificano coloro che – sussistendone i presupposti – possono ottenere la dichiarazione di nullità e passare a nuove nozze. Il Papa, come Pastore che guarda anzitutto alla salus animarum, capisce bene che altro è trattare una causa contenziosa (che riguarda aspetti contrattuali, meramente economici), altro è trattare una causa de statu personarum, come si dice in gergo canonistico. Le cause che riguardano lo stato delle persone devono necessariamente essere trattate con ragionevole sollecitudine. Peraltro, l’iniziativa del Papa non è una novità assoluta: è da tempo che in campo canonistico si avverte il bisogno di semplificare e snellire le procedure. Un primo tentativo si fece in occasione della pubblicazione dell’Istruzione Dignitas connubii, che a mio parere mancò l’obiettivo in un primo tempo prospettato. Insomma, terminato il periodo caratterizzato da un esasperato clima di eccessiva attenzione e di moltiplicazione delle procedure giudiziarie che ha caratterizzato il primo sessantennio del secolo scorso, nella Chiesa come nella società civile si è inaugurata una linea di progressivo snellimento delle procedure ed addirittura, in qualche caso, la sostituzione di procedure contenziose con procedure di conciliazione. In sintesi, non si tratta di concedere più facilmente la nullità del matrimonio, ma di permettere alle parti di una causa alla quale non mancano i presupposti, di poter regolarizzare la loro situazione nella Chiesa in tempi più brevi.

In cosa consiste la “nullità matrimoniale”? Che differenza con lo “scioglimento del vincolo”?

Si tratta di due istituti essenzialmente diversi. La dichiarazione di nullità si ottiene a seguito di un vero processo giudiziario che esamina i presupposti, le prove addotte e pronunciando la dichiarazione di nullità, stabilisce che quel matrimonio, pur apparentemente valido, di fatto non lo era sin dal momento del suo nascere per motivi giuridici che sarebbe lungo spiegare e che in alcuni casi hanno un corrispondente anche nei codici civili. Lo scioglimento del vincolo è invece la soluzione di un vincolo valido, naturale o sacramentale, che il Papa personalmente concede come grazia a chi lo chiede, dati precisi presupposti (per esempio, che il matrimonio sia rimasto inconsumato). Quindi, è chiara la differenza: nel primo caso, il matrimonio non è mai esistito e la Chiesa lo dichiara attraverso l’attività giudiziaria, nel secondo il matrimonio esiste eccome, ma non più a partire dal momento in cui il Pontefice concede la grazia.

Come sono organizzati i tribunali ecclesiastici di prima istanza? E quando un processo arriva alla Rota Romana?

Nell’immaginario collettivo il tribunale della Chiesa per la dichiarazione di nullità del matrimonio è la «Sacra Rota», come veniva denominata una volta. Oggi è più semplicemente «Tribunale Apostolico della Rota Romana». Bisogna specificare però che la specificità di questo tribunale è quello di ricevere gli appelli ed è tribunale di terzo ed ulteriore grado. Questo significa che i processi matrimoniali vengono generalmente svolti nei tribunali periferici, che sono quelli diocesani per la maggior parte delle nazioni sparse nel mondo, mentre l’Italia è organizzata su base regionale. Vi sono poi anche tribunali interdiocesani, che cioè estendono la loro competenza al territorio di più diocesi limitrofe. Pertanto, i processi solitamente nascono e finiscono in loco, e giungono alla Rota solo in terza istanza (d’ufficio) oppure in appello, ma su istanza delle parti. Fortunatamente si tratta di un numero piuttosto esiguo di cause, altrimenti i 20 giudici che compongono il tribunale apostolico potrebbero fare ben poco. 

 Benedetto XVI aveva proposto una revisione del processo basato anche sulla reale conoscenza della fede e della dottrina cattolica degli sposi. La Commissione segue anche questa indicazione?

Non è esatto dire che Papa Benedetto XVI abbia proposto una revisione del processo: egli aveva solo proposto un argomento di dibattito e di approfondimento, quale il rapporto tra fede personale dei nubendi e consenso matrimoniale. Se poi per fede si debba intendere l’atto del credere oppure i contenuti della fede, la dottrina cattolica appunto, è già qualcosa che andrebbe adeguatamente specificato. Si tratta comunque di un argomento che riguarda la teologia del matrimonio, il diritto sostantivo e la giurisprudenza, mentre la Commissione dovrebbe occuparsi solo di questioni procedurali.

Il fatto che ci sia anche un prelato di rito orientale significa che ci sarà anche uno studio del “matrimonio di penitenza” in uso tra gli Ortodossi? E di cosa si tratta veramente?

L’inclusione di S. Ecc. Dimitrios Salachas, esperto conoscitore del diritto orientale come di quello latino, era un atto dovuto, visto che la Chiesa cattolica respira a due polmoni, cioè la Chiesa di tradizione latina (legata al mondo occidentale) e le chiese orientali, legate a tradizioni bizantine o slave. Per questo vi sono due Codici di diritto canonico, uno latino e l’altro orientale. Il matrimonio di penitenza, come Lei lo denomina, è invece in uso tra gli ortodossi e peraltro con accenti diversi anche all’interno del complesso mondo ortodosso. In sostanza, si tratterebbe di mantenere ferma l’indissolubilità del matrimonio con la possibilità però di ottenere dalla competente autorità ecclesiastica il permesso di convolare a nuove nozze, premettendo un periodo più o meno lungo di penitenza per aver permesso o provocato il tracollo dell’unione coniugale. Ultimamente qualcuno ha avanzato la proposta di adottare anche all’interno della Chiesa cattolica quella disciplina ortodossa o qualcosa di simile, lasciando ad esempio al Vescovo del luogo la responsabilità di esaminare, con l’ausilio di un esperto, la possibilità di dichiarare nullo un matrimonio o quanto meno di permettere le nuove nozze a colui che abbia di fatto subito un abbandono e non si sia reso responsabile della rovina della prima unione coniugale. Il Papa ha però avvertito, giustamente mi sembra, che non si deve ridurre l’adunanza sinodale al solo problema di coloro che versano in una situazione irregolare dal punto di vista matrimoniale.

 La commissione preparerà una proposta che forse sarà discussa nel sinodo del 2015?

Non saprei, mi pare di si, stando agli intenti dichiarati all’atto della sua costituzione. Certo, se la commissione prepara un testo compiuto, sarebbe molto meno complesso proporlo all’assemblea sinodale ordinaria del 2015 per riceverne suggerimenti e poi sottoporlo al papa per l’approvazione e la promulgazione, dopo gli eventuali emendamenti. Se invece si scegliesse di offrire al sinodo solamente linee di evoluzione processuale, per poi comporre un testo che risponda meglio ai desiderata dei Padri conciliari, allora si sceglierebbe una via notevolmente più lunga.

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