Cardinale Parolin, una settimana al Palazzo di Vetro

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Una settimana al Palazzo di Vetro per il Segretario di Stato vaticano. Una settimana per incontrare Ban Ki Moon, sottolineare che è “lecito e urgente” fermare l’aggressione del terrorismo transnazionale, ribadire ancora una volta che non si può uccidere in nome di Dio. E per incassare l’invito per Papa Francesco di intervenire all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, magari, auspicabilmente, il prossimo anno, quando il Papa dovrebbe essere già negli USA per partecipare alla Giornata Mondiale delle Famiglie (ma tutto è da confermare) mentre proprio in quei giorni le Nazioni Unite festeggiano il loro settantesimo anniversario.

Dal vertice ONU sul clima, al Consiglio di Sicurezza, all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite: Pietro Parolin inaugura così l’era del nuovo osservatore permanente all’ONU di New York, quel Bernardito Auza che fu borsista di Aiuto alla Chiesa che Soffre e che porta con sé una speciale attenzione per i poveri.

Ma è il terrorismo internazionale la principale preoccupazione. Papa Francesco, di ritorno dalla Corea del Sud, aveva sottolineato la necessità di un intervento, e aveva fatto capire che serviva un intervento internazionalmente riconosciuto. Senza mai dirlo apertamente, probabilmente pensava alle “forze di frapposizione” delle Nazioni Unite, a quell’ingerenza umanitaria di cui già aveva parlato Giovanni Paolo II.

Il cardinal Parolin ha ribadito all’ONU che la Santa Sede ritiene “lecito e urgente” fermare l’aggressione del terrorismo transnazionale” con una “azione multilaterale e un uso proporzionale della forza”, per “garantire la difesa dei cittadini inermi”.

Di fronte alla 69esima sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Parolin ha citato la drammatica situazione nel Nord dell’Iraq e in alcune parti della Siria, che testimonia “un fenomeno del tutto nuovo: l’esistenza di una organizzazione terroristica che minaccia tutti gli Stati, impegnandosi a sostituirli con un governo mondiale pseudo-religioso”.

Con un Papa che si fa promotore di una “cultura dell’incontro” (Francesco la vuole citata in ogni documento diplomatico, in ogni incontro bilaterale importante), Parolin non poteva poi non criticare la nozione di “scontro di civiltà”. Anche perché “ha ignorato le esperienze profonde e di lunga data di buone relazioni tra culture, etnie e religioni, e interpretato attraverso questa visione altre situazioni complesse come la questione mediorientale e quei conflitti civili che attualmente si verificano altrove”.

Ci vuole una azione “multilaterale” perché il terrorismo è diventato transnazionale, ma gli Stati membri – lamenta Parolin – non hanno preso posizione sul terrorismo, ed è “deludente che la comunità internazionale sia stata caratterizzata da voci contrastanti e addirittura con il silenzio sui conflitti in Siria, Medio Oriente e Ucraina”.

Per quanto riguarda la Santa Sede, il Papa ha fatto ripetuti appelli, e le Caritas e le comunità ecclesiastiche sono da sempre in prima linea in favore della popolazione, ma la stessa attività diplomatica è stata caratterizzata da una certa prudenza. Forse si darà un nuovo slancio a questa attività dal 2 al 4 ottobre, quando i nunzi dell’area Mediorientale si riuniranno finalmente a Roma per delineare la situazione e stabilire un piano di azione diplomatico.

Un piano di azione che avrà come linea guida la consapevolezza che non si può uccidere in nome di Dio. Lo ha ribadito il Cardinal Parolin, parlando la scorsa settimana al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, un consiglio che – aveva raccontato il Segretario di Stato – “nacque a seguito di un’epoca in cui una visione nichilista della dignità umana ha cercato di dividere e di distruggere il mondo”.

E oggi, di fronte al terrorismo transnazionale, la sfida per le nazioni è quella di proteggere le persone sul loro territorio, ma anche di affrontare la componente socioculturale della sfida terroristica, perché – e qui Parolin si riferiva ai giovani europei arruolati nell’ISIS – “giovani spesso provenienti da famiglie povere vanno all’estere e delusi da quella che sentono come una mancanza di integrazione o di valori entrano in organizzazioni terroristiche”.

Ma il punto è ancora più alla radice. “La Santa Sede – ha sottolineato il Cardinal Parolin – afferma che le persone di fede hanno la grave responsabilità di condannare coloro che cercano di separare la fede dalla ragione e strumentalizzare la fede come una giustificazione alla violenza”.

E fede e ragione dovrebbero anche essere i fili conduttori della prossima enciclica sull’ecologia. Papa Francesco ha ricevuto un testo che in realtà rappresenta una sequenza di diversi contributi, ma il Pontificio Consiglio per la Giustizia e per la Pace sta lavorando a un testo più condensato e tutto basato sull’ecologia umana, un tema di Benedetto XVI.

Il quale era stato chiamato “il Papa verde” per i suoi discorsi sull’ecologia, mentre il Vaticano era considerato lo stato più verde del mondo per i suoi progetti di riduzione delle emissioni di CO2 e l’introduzione delle prese per auto elettriche in tempi non sospetti.

Nel suo intervento al summit globale sull’ecologia, Parolin ha citato “un consenso scientifico piuttosto consistente” intorno al riscaldamento globale, ha sottolineato che la causa principale di questo riscaldamento “sembra essere l’aumento nell’atmosfera delle concentrazioni di gas a effetto serra provocate da attività e antropiche”, e ha detto che la Santa Sede “vuole dare il suo contributo”, prima di tutto mettendo in luce che non si deve cadere in atteggiamenti “eccessivi e sbagliati.”

Il primo di questi atteggiamenti è quello di considerarsi padroni del creato, dice Parolin. Il quale poi stigmatizza i “comportamenti free riders” sul bene comune, la “diffidenza, o mancanza di fiducia, da parte degli Stati, così come degli altri attori partecipanti, sul tema del riscaldamento globale.

Per chiamare gli Stati alla corresponsabilità, Parolin ha utilizzato il concetto di dovere di proteggere. “Gli Stati hanno la responsabilità comune di proteggere il clima mondiale attraverso azioni di mitigazione, di adattamento e di condivisione delle tecnologie e del know how,” ha detto Parolin.

Il quale ha poi sottolineato che dietro la risposta politica devono essere chiare “le motivazioni etiche che la orientano”. “Si tratta adesso di consolidare una profonda e lungimirante reimpostazione deii modelli di sviluppo e degli stili di vita, per correggerne le numerose disfunzioni e ritorsioni”, ha affermato il Segretario di Stato, citando la Caritas in Veritate.

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