La vera malattia è la pedofilia, non la Chiesa

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Ci è voluta la penna di Joaquin Navarro Valls, direttore della Sala Stampa Vaticana, per mettere in guardia dalla facile equazione Chiesa = pedofilia. In editoriale su “Repubblica” che commentava l’arresto dell’ex nunzio nella Repubblica Dominicana Jozef Wesolowski, l’ex portavoce vaticano ha messo in chiaro che l’arresto rappresenta il culmine di un percorso di pulizia lungo venti anni, cominciato sotto Giovanni Paolo II e proseguito sotto Benedetto XVI, di cui lui è stato testimone. E ha sottolineato che “la vera malattia non è la Chiesa, ma la pedofilia”.

Un chiarimento necessario, anche perché l’accelerata vaticana nei confronti dell’ex nunzio ha colto molti di sorpresa. L’arcivescovo Jozef Wesolowski, un passato da nunzio nell’Est Europa, e per quattro anni a capo della delegazione vaticana in Repubblica Dominicana, è stato accusato di aver adescato ragazzini in spiaggia per avere rapporti sessuali. Richiamato in Vaticano, è stato sottoposto a processo canonico nella Congregazione per la Dottrina della Fede al termine del quale gli è stata comminato il massimo della pena, ovvero la riduzione allo stato laicale. Era una sentenza di primo grado, e Wesolowski ha annunciato il ricorso. Nel frattempo, padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa della Santa Sede aveva annunciato che l’ex prelato aveva cessato le sue funzioni di nunzio e non godeva più dell’immunità diplomatica. E aveva fatto sapere che dopo la sentenza di secondo grado il Vaticano avrebbe iniziato anche il processo penale dello stato.

Il procedimento penale è iniziato prima, su decisione del Papa, con gli arresti domiciliari comminati perché l’ex arcivescovo avrebbe potuto inquinare le prove. Sebbene non sia più cittadino vaticano (una cittadinanza che si acquisisce ex officio, ovvero per via dell’incarico ricopero), Wesolowski può comparire davanti al tribunale vaticano perché era cittadino di quello stato e officiale nell’esercizio delle sue funzioni nel momento in cui ha commesso il reato. Nonostante ci sia un nuovo codice penale vaticano che ha inasprito le pene per pedofilia, a Wesolowski saranno eventualmente comminate delle pene secondo il vecchio codice: le norme penali non sono mai retroattive. Rischia fino a sette anni di reclusione, dieci con eventuali aggravanti.

In attesa di vedere come sarà istruito il processo in Vaticano e in che modo verranno chiamati a deporre i testimoni, si deve registrare l’insofferenza della Repubblica Dominicana, che si è lamentata che il nunzio è stato richiamato prima che lo stato potesse procedere penalmente nei suoi confronti – un dato che i media secolari non hanno mancato di notare. E c’è da registrare anche la possibilità che la stessa Polonia, nazione di origine dell’ex prelato, possa incriminarlo.

Il Vaticano però ha preso in mano l’intera situazione. “L’efficacia dell’intervento del Papa è stato possibile all’interno di una linea di rigore giuridico che da vent’anni, ossia da quando si è saputo dei primi abusi, la Chiesa ha mantenuto contro la pedofilia,” scrive Navarro Valls, un testimone di quegli anni.

Il quale sottolinea che “c’è da apprezzare la decisione di Papa Francesco ben sapendo però che essa è la logica e coerente conseguenza di un’impostazione pienamente attuata e totalmente condivisa dai suoi predecessori”.

Navarro Valls va anche oltre, mette in campo la sua esperienza di medico, cita dati. Scrive: “I dati più recenti – pur sempre insufficienti poiché la maggioranza degli abusi non è dichiarata – ci forniscono un quadro tutt’altro che rassicurante: una ragazza su tre ha subito, nei Paesi sviluppati, abusi sessuali, e un ragazzo su cinque è stato oggetto di violenza”.

L’ex portavoce vaticano dice che il Law Enforcement Bullettin dell’FBI ha messo in luce che i casi di abuso su minori sono i meno denunciati; ricorda che la CNN ha calcolato nel 5 per cento della popolazione media i bambini sessualmente molestati, “un numero a dir poco agghiacciante”; cita gli studi di Diana Russell – secondo cui il 90 per cento degli abusi sessuali avviene in famiglia e lì resta nascosto – e l’ufficio statistico del ministero di giustizia americano (i cui dati mettono in luce come la metà dagli abusi avvenga da parte di famigliari, anche stretti).

Da medico, Navarro ci tiene anche a notare che “il profilo di un pedofilo non include mai adulti normali che sono attratti eroticamente da minori come il risultato di una astinenza temporanea protratta nel tempo. Quindi non emerge clinicamente nessun legame tra pedofilia e celibato”.

Insomma, c’è bisogno di allargare l’orizzonte. “La vera malattia non è la Chiesa, ma la pedofilia”. E se “infatti è vero che la pedofilia è una piaga umana che anche la Chiesa sta conoscendo, è anche vero che la Chiesa stessa è l’unica realtà comunitaria e istituzionale che stia efficacemente intervenendo per estirparla sia penalmente, sia canonicamente e sia culturalmente.”

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