Le geometrie perdute di M. C. Escher

Condividi su...

Grande folla al Chiostro del Bramante per la mostra “Escher” curata da Marco Bussagli e visitabile fino al 22 febbraio 2015. Maurits Cornelius Escher (1898-1972) è stato un artista di grande popolarità: ha goduto di notevole fortuna negli anni ’30 e – di nuovo e in forma più ampia – negli anni ’60 del secolo scorso quando  (insieme a Poe, Carroll, Rimbaud, Borges) fu alimento della nuova vitalità del surrealismo e della psichedelica diffusi nella contro-cultura giovanile di quegli anni. Alcune sue opere sono poi divenute delle vere e proprie icone del secolo e hanno invaso il campo della figurazione e dell’illustrazione pubblicitaria e decorativa. Ma oggi, di fronte ad una mostra più ampia e completa di altre che l’hanno preceduta, merita conto di chiedersi – al di là dell’immediato effetto di stupore e di meraviglia che le sue opere suscitano sempre – quali contenuti più profondi esse stimolino nel pubblico.

Quella di Escher è integralmente una cultura visiva del Novecento. La sua appassionante ricerca grafica – che ha remote radici nella meticolosa tecnica figurativa del ‘500 e del ‘600 olandese e negli effetti trompe-l’oeil del Barocco – si inquadra compiutamente nella temperie delle avanguardie storiche del primo Novecento (metafisica, dadaismo, surrealismo, futurismo). In quella stagione – contrariamente alla veduta che la interpretò come un’epoca di crisi della tradizione pittorica europea – si cercò di salvare e rilanciare le arti visive ottocentesche modificandone in profondità i contenuti e le dimensioni estetiche, ma conservandone intatte la vocazione culturale e il valore didascalico. Lo spirito dell’avanguardia fu proprio questo: dilatare l’arte fino ad includervi le esperienze e le culture esotiche ed esoteriche da essa remote, ma preservandone il valore culturale, la capacità di messaggio e di condizionamento dell’esperienza. Infatti nel secondo Novecento – tramontata l’avanguardia storica – l’arte occidentale si è sgretolata sotto i colpi dei mass-media e delle tecnologie divenendo, concettuale, informale e comportamentale. Escher è quindi ancora “gutenbergiano”, anche se eretico e paradossale.

La mostra al Chiostro del Bramante è completa: ricca di grafiche originali e di stimolanti pannelli didattici. Predilige una impaginazione sobria e riferimenti alla psicologia della Gestalt e della percezione visiva piuttosto che lo svisceramento delle tematiche di un M.C. Escher supposto esoterico e surrealista.

Disegnatore, grafico e pittore (vi sono in mostra alcuni suoi dipinti) Escher ha vissuto lungamente in Italia (1922-1935) stabilendosi, in particolare, a Roma. Ciò che viene esaltato dalla collocazione topografica della mostra al Chiostro è proprio il nesso strettissimo fra il lavoro grafico e pittorico di Escher e il paesaggio architettonico italiano: sia quello dei centri storici antichi che quello dei piccoli comuni medievali. L’architettura gotica e rinascimentale nella sua ferrea e dirompente geometricità è il fondamento del suo intero lavoro. Le fughe d’archi di un chiostro, gli incroci di mattonelle di un pavimento, gli scorci delle cupole romane si imprimono negli occhi dei visitatori al punto che – quando escono dalla mostra – guardano il paesaggio che li circonda nel centro di Roma attraverso la grata dei disegni escheriani.

Molte teorie oggi formalizzate sono anticipate geometricamente nelle grafiche di Escher. I suoi rigorosi, anche se labirintici, disegni rinviano ad un reale tutto visibile ed esplorabile (anche nelle dimensioni apparentemente occulte). Il suo sublime disegnare svela il fatto che ogni figura ha origine da un segno che la precede, il quale è esso stesso una figura. Una estetica microfisica: una continua «mise en abyme», realizzata fuori opera sia nelle sfere metalliche offerte alle fotografie spontanee dei visitatori sia nella stanza degli specchi in cui ogni superficie è il riflesso di un’altra. Escher realizza nelle sue grafiche quello spiazzamento del soggetto visuale ottocentesco che la letteratura fantastica (come scrisse Tzvetan Todorov) attuava nel soggetto che leggeva romanzi e racconti.

Nel noto saggio: “Gödel, Escher, Bach: un’eterna ghirlanda brillante” di Douglas Hofstadter, pubblicato nel 1979, si mostrava come le forme logiche e astratte fossero presenti in tutti i livelli della realtà: anche in quelli organici, psichici, estetici. Se ne deduceva che l’apparente disordine che movimenta il reale altro non è che il suo ordine capovolto e uno sviluppo delle forme immanenti al reale stesso. Il patologico è l’espansione del biologico, così come l’organico è lo sviluppo dell’inorganico, la musica è la modificazione del rumore così come un teorema matematico frattale è la scoperta della regolarità nella mutazione.

Tuttavia è probabile che la cultura visiva paradossale, anche se lucida e precisa, di Escher non eserciti sul pubblico di oggi lo stesso tipo di fascinazione che ha esercitato nel ‘900. Il trasporto mentale della geometria, la molteplicità delle forme, l’immanenza del doppio nel reale che hanno dilatato la mente moderna non è detto che abbiano la stessa presa su di una mente post-moderna, una mente che ha fortemente modificato le sue strutture cognitive e percettive. L’amorfo, l’informale, l’immateriale, il casuale permeano la visione della realtà contemporanea (definita “liquida” dal sociologo Zygmunt Baumann). La posizione di turbamento e di sradicamento che era alla base della rivoluzione dell’arte di avanguardia (risvegliando l’attenzione critica del visitatore) è stata sostituita da un permanente effetto di flusso e di indeterminazione dovuto al bombardamento visivo e acustico contemporaneo. Ne può derivare una sorta di muta indifferenza e di insuperabile passività. Per questo si può considerare la mostra “Escher” come una sfida alla cultura irrazionalistica dominante condotta in nome della razionalità dell’arte.

Nella foto: Mauritius Cornelius Escher, “Ritratto in una sfera”, 1935.

Free Webcam Girls
151.11.48.50